Capitolo 22 - Noah


Le ginocchia mi cedettero come rovi spezzati dal vento, crollai a terra rovesciandomi con i palmi sulle ante dell'armadio in cui ero chiuso da più di tre ore. Affondai le unghie nella moquette color crema e vidi due gocce scarlatte infrangersi sulla stoffa e impegnarla di un morbo incurabile. Mi ero spinto al limite. Tirai su con il naso per fermare l'emorragia, tra un respiro affannato e l'altro; i miei occhi erano fissi su una delle due macchie rosse, che ormai aveva quasi raggiunto la sua massima espansione.

Era la prima volta che spingevo in quel modo i miei poteri, la prima volta che ero stato costretto a celare ogni mia traccia percepibile per così tanto tempo. Il ghiaccio mi striava ancora il petto e la gola, i capelli erano bagnati e non seppi distinguere se fosse opera della mia corazza glaciale o delle sette camicie che avevo sudato dallo spavento. Non immaginavo che la paura mi avrebbe reso così fragile.

La voce di Sam mi aveva sorpreso per i corridoi dell'hotel come un graffio lungo la schiena, la sua armatura leggera lo avvolgeva come un guanto nero e argento; i muscoli possenti della spalla nuda erano completamente ingabbiati dal faad shadari, già pronto per un eventuale combattimento: non erano lì per divertirsi. Dietro di lui marciavano gli altri della cerchia stretta di Eurias, e Sam non poteva essere lontano dal suo braccio destro.

In quel momento mi ero chiesto il perché di una volgare moquette rossa lungo il corridoio; mi era servito qualche secondo di troppo per intercettare la linea in cui il rosso vivido tornava a sfumare nel chiaro più assoluto. Sangue, c'erano sangue e cadaveri dappertutto, e poi un inquietante silenzio. I Cavalieri stavano uccidendo ogni forma di vita che intralciava il loro passaggio; trovavano diletto nel martoriare i corpi, o forse era solo il loro modo di lasciarmi un messaggio. Avrei potuto porre fine a quella mattanza e palesarmi, ma avevo deciso di chiudermi in un ripostiglio per le scope e aspettare. L'attesa era stata lunga ed estenuante.

Alzai gli occhi dalla macchia scarlatta e mi sollevai con fatica. Accanto a me giaceva un uomo con una divisa, più semplice, ma dello stesso stampo di quella che avevo rubato al concierge. Non era più blu ma nera; nera bagnata, nera di sangue. Uno squarcio creava una pozza amaranto sulla schiena del mal capitato, mentre il suo cuore a brandelli grondava appeso a uno dei ganci per le scope alla parete alla mia destra.

Il ghiaccio mi inglobò il braccio sinistro per intero, mentre il faad shadari pulsava e strisciava sotto la fodera umida della mia giacca. Non avevo più forza di occultare la mia presenza, ma le voci e le sirene della polizia mi davano la certezza che Eurias e la sua banda avessero lasciato l'hotel. Attraversai il corridoio a passi svelti, salii la rampa di scale che mi divideva dall'ultimo piano e raggiunsi la mia suite.

Un uomo con una strana tuta bianca mi afferrò per un braccio, per fortuna riuscii a trattenermi in tempo dal congelare ogni traccia d'acqua nelle sue vene. Era difficile tenere a bada i miei poteri quando la paura prendeva il sopravvento. Erano solo poliziotti, non potevo dare spettacolo anche io.

«Non può passare, l'area è sotto sequestro.» I suoi guanti erano sporchi di sangue, entrambi fissammo la macchia che mi aveva appena lasciato sulla manica bianca della giacca di pelle. «Mi scusi, ma non dovrebbe essere qui. I clienti devono essere tutti trasferiti.»

«Questo deve vederlo, Capitano.» Un secondo uomo, molto più giovane di quello con la tuta, si affacciò lungo il corridoio con gli occhi provati e il viso pallido.

L'attenzione mi cadde sul distintivo al collo dell'uomo, sul nome in stampatello dietro la plastica lucida della custodia improvvisata. I nostri sguardi ci misero solo un istante a incrociarsi. I suoi occhi azzurri, cerchiati da profonde borse, si rilassarono in balia del mio potere.

«Capitano Klester, lei ora raduna tutta la sua squadra e va a raccogliere prove di estrema importanza nel ripostiglio del piano inferiore. C'è un uomo morto e mutilato che non può attendere.» Il Capitano lasciò la presa del mio braccio e si guardò intorno spaesato. «La ringrazio, Capitano» incalzai con una pacca sulla spalla.

Lui si rivolse a un collega. «Ivan, raccogli tutto. Di' ai ragazzi che ci sono prove di estrema importanza al piano inferiore.»

Questo si girò e accigliò gli occhi.

«Ma non abbiamo finito qui, Capitano.»

Mi avvicinai al giovane poliziotto e afferrai con delicatezza il bavero della sua uniforme nuova di zecca, la sua pelle chiara si chiazzò di rosso dalla tensione.

«Assecondalo, fai come ti dice.» Lui non obiettò e mi congedò con un cenno del capo.

Mentre tutti lasciavano la camera io entrai; stentai a riconoscere la mia suite. Le ante dell'armadio erano rovesciate a terra e le tende divelte dal muro con la violenza tipica di un Cavaliere annoiato e insoddisfatto. Mi avevano cercato, ma senza successo. Nelle mie narici, il tanfo di sangue stava soccombendo a un odore più acre. Mi voltai e vidi una sostanza densa e scura segnare una scia verso la sala da bagno, la seguii con il respiro mozzato. Kadir.

Aumentai il passo e raggiunsi l'interno del bagno. Lo specchio rotto di fronte a me rivelò la sagoma sconnessa di un cadavere longilineo appeso alla parete alle mie spalle. Il riflesso azzurro iridescente mi fermò il cuore per qualche secondo.

L'odio mi serrò la gola e il ghiaccio risalì lungo le costole serrandomi il respiro. Mi girai e i miei occhi trovarono i resti di un jerah carbonizzato. Solo la testa era stata lasciata quasi intatta, la bocca e gli occhi traboccanti di sangue.

Una scritta sfregiava la parete, sporcandola quasi per intero. I tratti sinuosi dipinsero nella mia testa l'immagine di Kadir strofinato con violenza contro il muro. Strinsi i denti alla sagoma nitida della coda, se ne poteva ancora distinguere la trama pitonata, nonostante il sangue fosse colato.

Non puoi sfuggirmi.

Eurias mi cercava, mi voleva; lui più di mio padre. Mi aveva usato per tutti quegli anni e non si sarebbe arreso proprio ora che la ricerca di Dramidia era imminente. Rappresentavo la sua chiave per il trono, non ero stato nient'altro per lui negli ultimi trecento anni.

Mi avvicinai ai resti del jerah e costatai che non fosse il mio Kadir. La testa non era la sua. Era stato un avvertimento di cattivo gusto: se non fossi tornato alla Corte avrei trovato il mio serpente appeso sull'uscio del mio prossimo alloggio. Ero in trappola.

La rabbia mi offuscò la vista facendomi serrare le palpebre a tal punto da creare un'unica lastra di melma marrone di fronte a me. Kadir, Brianna: avevo qualcosa da perdere, non ero invulnerabile. Stavo sbagliando tutto. Non avevano preso Kadir, ma sicuramente Eurias avrebbe notato la mancanza di una delle serve, la mia preferita.

Uscii di corsa dal bagno e, con le parole scritte sul muro ancora impresse in testa, mi riversai per il corridoio. Scesi le scale a una velocità eccessiva, noncurante degli sguardi increduli dei presenti. Resistetti all'impeto di ucciderli tutti all'istante. Appena l'ascensore suonò e si aprì, afferrai il fattorino per il colletto e lo scaraventai all'interno della cabina.

«Ma, che ti prende?»

Premetti un piano a caso e subito dopo il pulsante di stop. Il mio respiro convulso appannava ritmicamente lo specchio dietro la testa rasata della mia vittima. Lui era in apnea. Gli occhi terrorizzati e la divisa scomposta imbrattata di sangue.

«Non uccidermi, ti prego.» Era quasi senza voce e deglutì diverse volte, mentre le sue mani ossute si reggevano con forza ai miei avambracci. Quando sentì il faad shadari muoversi sotto la manica, sobbalzò e iniziò a piangere e strillare. Bloccai l'aria nella sua gola e lo feci tacere.

«Non urlare e dimmi cosa è successo.»

Era terrorizzato, il suo cuore pulsava come un palloncino stretto in mano e sul punto di esplodere. Lo avrei stritolato con piacere, volevo distruggere tutto, cancellare ogni cosa che mi capitasse per le mani.

Calmati. Stai facendo il gioco di Eurias.

Respirai e mi concentrai sul fattorino.

La mia voce tornò fredda e ogni parola ponderata, dovevo gestire il terrore più profondo provato da quell'uomo, e allo stesso tempo assicurarmi che la sua mente fosse in mio pieno potere; nonostante la rabbia e la paura che mi torcevano lo stomaco.

«Non ho fatto niente.» Il fattorino si difese scuotendo la testa, i suoi occhi però restarono agganciati ai miei.

Visualizza qualcosa che ti calma.

«Tu non hai paura, stai bene e ora mi racconti tutto quello che hai visto durante l'attacco.» Il suo respiro si calmò e il battito si regolarizzò insieme al mio. Mi sorpresi di ritrovarmi a pensare alle mani di Artemis mentre accarezzava Athos, per riuscire a creare quella finta tranquillità.

«Sono mostri, hanno ucciso tutti con uno sguardo. Non contenti poi, hanno strappato il cuore e gli occhi ad alcuni o messo in mostra i loro corpi appendendoli per la lingua come cappotti.» L'ansia tornò a far tremare l'uomo, gli strinsi il viso tra le mani e respirai insieme a lui. «Come cappotti» disse piangendo.

«Cercavano qualcuno. Chi?»

«Un principe, e un ragazzo.»

Il sangue divenne fuoco lungo il mio petto.

«Che ragazzo?» Strinsi forte il viso dell'uomo e lui strizzò gli occhi scuri.

«Era come un angelo oscuro, vuole l'erede.»

«Ha fatto un nome?»

«Cercano un guardiano. Sorveglia qualcosa, ma non so cosa.» Il fattorino mi guardò con fare assente. La sua mente era ormai completamente in mio potere.

«Va tutto bene. Non preoccuparti, non sorveglia nulla. Tu cerca solo di ricordare quello che hanno detto e fatto.»

Il fattorino deglutì. «Anomalo, ha qualcosa di diverso, qualcosa che non può lasciarci indifferenti.»

Iniziai ad assaporare il ghiaccio sulle mie stesse labbra.

Anomalo, diverso, non può lasciarci indifferenti.

«Lo hanno trovato? Il ragazzo?» Lottai con tutto me stesso per controllarmi.

«No, non hanno trovato niente. Hanno ucciso tutti per avvertire il principe. La prossima volta non sbaglieranno.»

Non ci sarà una prossima volta.

«Tu non ricorderai più nulla. Non mi hai mai visto, e quello che è accaduto oggi è solo un attentato terroristico.»

«Ma non...»

«Dormi.» Mollai il viso del fattorino, che cadde a terra in un sonno profondo. Mi lasciai scivolare lungo lo specchio dell'ascensore e rilasciai tutte le mie emozioni. Il cuore iniziò a bussarmi con violenza contro le costole e i brividi a scuotermi di dosso il ghiaccio residuo che le ricopriva.

Era Artemis che stavano cercando? O Nathan?

Non può lasciarci indifferenti.

Erano entrambi appariscenti, seppur in modo diametralmente opposto.

Chi volevo prendere in giro? Avevo fatto un patto di sangue con un Guardiano; tra i due era Artemis, quello che mi aveva confuso. Era possibile che avessi avuto sotto gli occhi il mio rivale per tutti quei giorni senza accorgermene? Eravamo davvero io e lui contro la Corte e l'Élite?

Feci per stringere il faad shadari e teletrasportarmi sul davanzale della sua finestra. Era folle stare accanto ad Artemis ridotto in quelle condizioni, se erano ancora nei paraggi, i Cavalieri avrebbero potuto intercettare la mia energia e trovarlo. Non avevo le forze per schermarmi. Tremai all'idea di trovare il cuore di Artemis appeso sul suo attaccapanni. Dovevo rischiare. Strinsi forte il bracciale e lasciai fluire l'energia lungo il mio corpo.

***

Mi materializzai a mezz'aria e atterrai con un tonfo sul pavimento accanto alla finestra. Maledetta gravità dell'Altrove! Era così feroce, rispetto a quella di Knephas...

«Artemis!» Lo chiamai e la mia voce uscì come un grido disperato. Mi resi conto della cosa stupida che stavo facendo e mi tappai la bocca. Non avevo abbastanza forze per occultare la mia presenza ed ero nel covo dei miei nemici giurati. Aprii la porta del bagno, quasi certo di trovarlo abbracciato al water, ma trovai vuoto anche quello.

Chiusi la porta della camera a chiave e mi sporsi con cautela dalla finestra. La Divisione 7 era silenziosa e disabitata in modo sospetto. Mi sedetti sul letto disfatto e cercai di ragionare.

Non potevo girare in un covo di baphtias urlando il suo nome, non potevo neanche presentarmi da Megumi e chiedere di lui. Non potevo fare nulla.

Forse avrei potuto andare da Brianna, ma usare di nuovo il teletrasporto mi avrebbe steso definitivamente. Mi lasciai cadere sul cuscino e respirai profondamente, l'odore di Artemis era ovunque. Il battito del mio cuore era così forte da rimbombarmi nelle orecchie e lo stomaco era un pugno di ferro sotto lo sterno.

Lo rivedrai, sta bene, lo rivedrai.

Era l'unica cosa che la mia mente riusciva a generare in quel momento e la ripeteva senza il mio controllo. Cosa mi stava prendendo?

Kadir, lo rivedrai. Eppure i miei pensieri slittavano in un istante a quel Guardiano incapace. Non sarebbe durato un istante contro Eurias. Girai la testa attirato da un carosello di luci alquanto fastidiose, lo sguardo mi cadde sulla sveglia a forma di panino che dominava il comodino alla mia sinistra. Mancavano tre ore al nostro appuntamento. Sarebbe venuto, ne ero certo.

Per ingannare l'attesa mi alzai e afferrai uno degli album da disegno posati sulla scrivania. Le copertine erano ruvide e di varie sfumature di verde, presi quella più cupa e aprii il blocco a metà. Un ritratto di Louise occupava quasi tutto il foglio. I tratti delineati a matita erano particolari ed eleganti, Artemis aveva talento, non potevo negarlo. Lou era molto più bella e dolce che nella realtà, e altrettanto più armoniosi e delicati erano gli skyline e i passanti raffigurati nello sketch della pagina seguente. Una pace che durò solo tre o quattro disegni, poi venne sostituita da una serie di drammatici ritratti di Fabian.

Eccolo, quel dolore che si portava dietro. Era questo l'amore che decantavano umani e Guardiani? Sguardi persi e parole interrotte tra i tratti di una matita?

Gli schizzi erano da togliere il fiato, la bellezza angelica di Fabian era stata sporcata da quella tragica fatalità con cui Artemis finiva per macchiare ogni cosa. Erano tutte pose dinamiche: sorrisi acciuffati, sguardi incerti, respiri rubati a qualcuno che non avrebbe mai avuto fuori dai suoi pensieri. Era poetico e drammatico. Bellissimo e devastante.

Qualcosa mi disse che quei disegni non erano mai stati mostrati a nessuno. Quelle ultime pagine di album erano così intime da farmi arrossire. Non avevo mai visto davvero il cuore di qualcuno prima di quel momento, ed era buffo pensare che, nella mia vita, mi ero trovato in mano quello di decine e decine di vittime.

Voltai la pagina con le dita che tremavano, avevo paura di ritrovare il mostro che ero tra quegli schizzi. Le mie aspettative furono tradite, e il silenzio affogò i miei pensieri per un momento. Mi sentii offeso. Fui tentato dal cercare i miei ritratti negli altri album, ma mi fermai. Forse non ero pronto a vedermi attraverso gli occhi di Artemis.

Posai l'album e presi il barattolo del miele dal comodino, il cucchiaino era stato lasciato dentro e il livello era diminuito di parecchio dall'ultima volta che lo avevo mangiato. Ne assaporai qualche cucchiaio e sperai che bastasse a farmi tornare nel pieno delle energie. Al quinto mi chiesi dove cavolo fosse quel baphtias, dopo il sesto avevo già schermato le mie energie e mi ero teletrasportato alla Colonna della Vittoria.

***

Il calpestio delle foglie secche sotto le suole era un rumore confortante rispetto al brusio ripetitivo delle auto e alle sirene in lontananza. L'aria era gelida e le nuvole si scontravano in un manto antracite sopra l'immenso parco che circondava la piazza. Il boato di un tuono scosse il suolo e la pioggia iniziò a cadere. Era la prima volta che la vedevo e mi diede la sensazione di essere perdonato. Da cosa? Da tutto, forse.

Aspettai che il ritmo aumentasse e che i capelli mi si attaccassero alle guance, concessi alle lacrime di nascondersi tra i rivoli d'acqua. La pioggia lavò via quelle strisce di sangue che rigavano il mio giubbotto di pelle, e il fatto che fossi un ricercato senza dimora fu un pensiero più lontano. Mi accovacciai sotto a un lampione, dove la pioggia cadeva sferzata dal vento; la osservai controluce segnare graffi nel buio in diagonale. I miei occhi non riuscivano a staccarsi da quella cascata ripetitiva, da quel suono, da quell'odore del quale avevo letto solo nelle poesie di Hikmet, prima di quel momento. All'improvviso un'energia familiare mi strinse lo stomaco e l'idillio si spezzò.

Mi alzai per voltarmi alla mia destra. Artemis arrestò la sua corsa e mi afferrò per le spalle. Era bagnato, i capelli scuri gli cadevano parzialmente intrecciati in modo disordinato sulla spalla sinistra, mentre una ciocca incorniciava i suoi occhi; non verdi in quel momento, ma di un castano intenso. I fiori della sua giacca stavano virando a un rosso sempre più scuro, quasi nero. Le gocce di sangue sul pavimento mi tornarono in mente serrandomi il respiro.

Presi Artemis e lo strinsi a me. Il peso dei suoi abiti, carichi di pioggia, mi avvolse come una doccia di acqua calda. Il suo corpo scottava, il suo respiro si fermò nel mio affondare il viso nel suo collo, ma poi si arrese e mi tirò a sé anche lui con forza; gli sussurrai all'orecchio: «Sei venuto.»

«Non ti ha trovato» disse, più a se stesso che a me. Gli accarezzai i capelli e lo strinsi ancora più forte, lui si staccò.

«Quel disegno era orrendo.»

Le sensazioni negative scemarono guardando il broncio contrariato sul suo viso spigoloso, eppure non riuscii a sorridere. Ci fissammo, il suo sguardo accigliato si distese nel mio. Le sue ciglia erano così cariche d'acqua che dovette strofinarsi gli occhi con il dorso di una mano.

Il mio disegno era orrendo, ma i tuoi sono bellissimi. Non lo dissi, ma forse lui lo percepì. Artemis mi scostò i capelli dal viso, un gesto che finì per assomigliare a una carezza.

«Stai bene?» mi chiese con voce calma.

Paura, sollievo, tensione. Il suo cuore pulsava rapido nelle mie orecchie mentre il mio continuava a perdere colpi sotto il suo sguardo. Quelle sue labbra bagnate, non riuscivo a non fissarle; e la sua attrazione mi sfiorava la pelle, l'anima. Perché reagivamo in quel modo quando ci avvicinavamo?

Respirai e lui fece un passo indietro.

«Non riesco a schermare la nostra presenza. Sono esausto, sono stato ore a nascondermi da Eurias.»

Il suo sguardo si fece cauto. «Il jerah nel bagno...»

«Non era Kadir.»

Sospirò e afferrò le mie mani, se le portò al petto.

«Puoi assorbire emozioni, ma anche energia. Non è quello che fate fare ai Cavalieri?» Per uccidere, per ucciderci. Artemis lo avrebbe rimarcato in ogni modo solo fino al giorno prima, ma in quel momento non lo disse. Ingoiò quelle parole mozzando la frase appena in tempo. Mi resi conto che qualcosa era cambiato tra di noi. Avvertii i cristalli di ghiaccio formarsi e morire tra il calore intenso del suo petto. Strinsi la stoffa della sua maglia tra le dita.

«Non lo so ancora cosa sono in grado di fare.»

«Prova a prendere un po' della mia forza. Devi riuscire a schermare almeno la tua energia, o ci troveranno prima dell'alba.»

Artemis era spaventato ma si sforzava di apparire calmo, restai a guardare le mie mani che facevano su e giù con il suo respiro agitato per qualche secondo; fissava con timore il mio faad shadari. Si stava avviluppando lungo tutto il mio braccio, sotto la giacca. Mi concentrai su quell'aura di energia che percepivo in lui e immaginai di tirarla a me. Riuscii a sentire la sua essenza solleticarmi la pelle e rinvigorirmi. Mi fermai appena un brivido gelido mi percorse la schiena.

«Eurias è vicino, lo sento.»

Artemis tirò fuori il suo kindjal e si guardò intorno. Occultai la mia presenza, ma non riuscii a fare nulla per la sua. Non doveva vederlo. Se non era ancora stato impalato a qualche muro, era solo perché Eurias ancora non sapeva della sua esistenza. Stava cercando un ragazzo senza nome né volto. Ero ancora in tempo per salvarlo e depistare i Cavalieri.

«Dopo la strage al Palace, la città è praticamente deserta. Non so se possa essere un deterrente o l'occasione perfetta per farci ammazzare» disse lui, guardandosi intorno. Alzai lo sguardo verso la colonna della Vittoria, l'angelo dorato svettava nel buio in un silenzio surreale, interrotto solo dalla pioggia. «Farmi ammazzare, mi correggo. Tu sei immortale.» Ignorai la nota ironica con cui mi canzonò e lo trascinai per un polso. Lo spinsi verso le scale sotterranee che collegavano Tiergarten con la piazza della colonna. «Nasconderci in un sottopassaggio? Pensavo che a Knephas vi insegnassero almeno le basi del crimine. Chi si nasconde in un posto isolato muore sempre nei film.»

Tornai visibile per il tempo necessario a rifilare ad Artemis uno sguardo tagliente, tanto da spingerlo a continuare a correre. Avrei voluto solo strappargli l'aria dalla bocca e farlo tacere. Scendemmo i gradini saltandone alcuni, e i nostri passi rimbombarono per tutto il sottopassaggio. Mi guardai intorno, cercando l'entrata lungo l'imponente muro perimetrale della torre. La pioggia era sempre più impetuosa e s'infrangeva sul marmo come una cascata. Sarei rimasto volentieri ad assaporare quella forza sulla mia pelle, ma non era il momento giusto per fermarmi a rimirare i fenomeni atmosferici dell'Altrove. Mi concentrai e, non percependo più l'energia di Eurias, tornai visibile. Artemis mi bloccò e mi indicò una porta.

«Di qua.» Lo vidi fermarsi e cercare di ricordare qualcosa, fissava un tornello che si intravedeva dal vetro. Lo strattonai.

«Che fai? Entra!»

«Non so come mettere fuori uso questo coso. È collegato alla sorveglianza. Se lo brucio suonerà.» Sbuffai, e con un tocco liberai energia e creai un falso contatto alla porta che precedeva il tornello. Scavalcai Artemis, il quale mi guardò in imbarazzo nel vedere la serratura scattare senza far entrare in funzione l'allarme.

L'energia di Eurias tornò a farsi viva nel mio stomaco. Un tuono rimbombò nelle pareti mal stuccate e piene di buchi; mi fece sobbalzare. Erano sempre così potenti le tempeste dell'Altrove?

«Hai paura del temporale?»

«Stai zitto.» Afferrai Artemis e lo costrinsi a seguirmi, risalimmo le scale a chiocciola e le vibrazioni del metallo lungo la torre crearono un'eco inquietante.

«Usciamo» fece lui, spalancando una porta su un meraviglioso portico. Colonne di marmo lucidissimo spezzarono l'orizzonte simmetrico e rassicurante formato da Tiergarten e da un rettilineo senza fine.

Non puoi sfuggirmi.

Le gocce di sangue, il cuore appeso al muro, la moquette tinta di rosso... Il sudore mi rigò la schiena bagnata dalla pioggia. Da dove sarebbe sbucato Eurias? Guardai Artemis, immobile con il kindjal in mano in balia di chissà quale destino; lo afferrai per la giacca.

«Devi sparire.»

«Non posso teletrasportarmi.» La sua voce era stizzita.

«Sei un Discendente, svegliati!»

«Ci sono delle regole, non posso. Se mi scoprono...»

Non capiva, perché non capiva?

«Allora non sparire fisicamente... trasformati! Ora, subito.»

Lui mi guardò indignato.

«Ok, me ne vado. Ho parlato al vento ieri sera.» Artemis fece per rientrare nella torre e lo bloccai prendendogli la mano.

«Eurias non deve vederti. Non deve sapere di te, lo capisci?»

Lui si accigliò in una smorfia.

«Non mi trasformo in lui. Specie se sei tu a chiedermelo.»

Mi chiesi se fosse stupido o solo incosciente.

«Però per spassartela in qualche bagno in discoteca non esiti un istante, vero?» La rabbia mi fece formicolare le mani. In un soffio mi ritrovai con le spalle al muro e la lama del suo kindjal al collo.

«Ti disprezzo» disse lui sottovoce. Lo fissai negli occhi, verdi come smeraldi, e lo implorai.

«Fai pure, detestami baphtias, ma trasformati in Fabian. Fallo ora.» Gli afferrai il polso e mi tolsi dalla sua morsa. «O Eurias ucciderà te e il tuo disprezzo.» Artemis deglutì e si guardò intorno, la paura stava iniziando a indurirgli i lineamenti. Stava percependo anche lui energia knephaniana. Mi avvicinai al suo viso e lo fissai. Avevo promesso che non lo avrei mai più manipolato, ma stavolta c'era in ballo la sua stessa vita.

«Fallo. Trasformati in Fabian.» Artemis fece una risata esasperata, lo sdegno nel suo sguardo si fece insostenibile.

«Non puoi manipolarmi, lo hai detto tu.» Chiusi il canale emotivo che mi legava a lui e accettai il fatto che mi avrebbe odiato per sempre. Lo afferrai per un braccio e glielo torsi dietro le spalle. Tenni fermo l'altro e con violenza lo spinsi faccia al muro. «Che cazzo ti prende?»

Ponderai le parole, scegliendo quelle con il suono più sibilante possibile. I miei poteri non erano le uniche doti con cui avrei potuto ammaliarlo. «Silenzio, Artemis. Resta in silenzio.» Lui respirò profondamente. Mi avvicinai e lo intrappolai con il mio corpo alla parete.

Mentre osservavo di sbieco le tessere del mosaico che la decoravano, assorbii ancora più energia dal suo corpo. Abbastanza da facilitarmi ciò che avrei fatto a breve. Lui se ne rese conto.

«Feccia di Knephas.» Il mio petto aderiva alla sua schiena senza lasciargli via d'uscita. Era esattamente una cosa che avrebbe fatto Eurias... ma io lo stavo salvando da morte certa. Era diverso, ed era efficace.

«Ti do ancora l'opportunità di trasformarti di tua iniziativa» dissi con tono deciso. Artemis fece un respiro profondo e tentò di opporre resistenza, ma ormai era esausto. Il risultato fu che lo feci sbattere ancora più forte al muro e un rivolo di sangue gli colò sulla fronte.

«Cosa cazzo vuoi fare?» Tentò di voltare la testa e di intercettare il mio sguardo. Mi feci strada con il naso e il mento tra i suoi capelli, ormai quasi del tutto asciutti, e con la guancia gli impedii il movimento. Il suo calore mi scaldava il petto e il viso.

Ignorai quel vuoto che mi stava scavando dentro e posai le labbra sulla mandibola di Artemis, respirai il suo profumo misto all'odore di pioggia a pochi centimetri dalle sue labbra e lo sentii andare in apnea. Scesi giù lungo il suo collo, sfiorando la sua pelle calda con la bocca. Il suo cuore inciampò e la sua voce imprecò. L'immagine che stavo cercando di creare nella sua testa e la paura di fallire furono le uniche cosa a impedirmi di eccitarmi.

«Le sue labbra che ti sfiorano, che ti fanno questo. Quelle di Fabian.» Iniziai a baciargli il collo e infilai una mano sotto la sua maglietta. Lo tenevo così stretto che a malapena riuscii a farmi strada tra la stoffa umida e la sua pelle rovente. «Che ti sussurrano all'orecchio in questo modo, che si arrendono a te.»

Mi rifiutai di percepire le sue emozioni, avrebbero potuto anche spezzarmi in quell'istante. Era davvero tutto concesso, per salvargli la vita?

«Lasciami.» La sua voce uscì come un gemito mentre la mia bocca succhiava la pelle della sua clavicola. Non lo assecondai, continuai ad assaporarlo e a toccarlo mentre i suoi battiti impennavano. Avvertii la stoffa della sua maglia strapparsi in qualche punto e i suoi addominali contrarsi sotto le mie dita.

La sua mente non era ancora abbastanza permeabile, rinunciai a preservarmi e lasciai cadere la barriera che avevo posto tra me e lui. Le sue emozioni mi travolsero. Il tormento di affondare le dita nella mia carne lo stava dilaniando. Mi pregava di mollarlo ma stava lottando per non afferrarmi con ancor più decisione e baciarmi. Si stava odiando, flagellando per quel piacere che stava provando. Ne fui contagiato e tentai di sovrastare quella sensazione. Presi il polso che tenevo ancora stretto dietro la sua schiena e lo girai per farlo voltare. Gli bloccai anche l'altro sopra la testa mentre il mio viso affondava nel suo collo.

Lo stai salvando. Lo stai solo salvando.

Sentii gli occhi pungermi dalle lacrime mentre percepivo la sua mente farsi vulnerabile. Cominciai ad alterare le sue percezioni. Se fossi riuscito a soggiogarlo sarebbe stato tutto più semplice e meno brutale.

Devi salvarlo, non esitare.

«Lui è qui, davanti a te. Cosa vuoi fare, Artemis?» Lo fissai, era di fronte a me, spalle al muro e respiro mozzato. Le sua bocca così bella, che tremai dal desiderio di assaggiarla.

Potrebbe essere l'erede.

I nostri nasi si sfiorarono e il suo respiro smise di scaldarmi le labbra. Guidai le sue mani tra i miei capelli. Li strinse forte e non lì lasciò. Le mie dita intanto scivolarono nei suoi pantaloni, stretti al limite dell'impossibile, li slacciai e ciò che ne ottenni fu un suo timido tentativo di spostarmi spingendomi per le spalle; era eccitato e sul punto di arrendersi completamente. Fremeva sotto il mio tocco. Il battito del suo cuore era convulso tanto quanto il mio mentre lo toccavo, le sue dita strinsero così forte le mie ciocche che avvertii dolore. Mi chiesi se fosse il pensiero di Fabian a eccitarlo in quel modo, se vedesse lui davanti a sé, e per un istante il mio ego ne fu ferito.

Artemis alzò il viso e mi fissò, i suoi respiri mozzati mi facevano annegare e i suoi occhi erano un colpo al cuore. Erano di nuovo castani e vulnerabili. Seguii le lacrime scendere sulle sue guance mentre lottava per mantenere il controllo e non trasformarsi. La sua mente stava opponendo resistenza, ma stava cedendo.

Non mollare adesso.

Indugiai sulle sue labbra, il suo sguardo era un giudizio feroce che non riuscivo a sopportare in quel momento. Eravamo immobili a contare ognuno i respiri dell'altro, lui non riusciva più a parlare. Probabilmente ero Fabian ai suoi occhi, perché non oppose alcuna resistenza quando lo baciai. Chiusi gli occhi e sperai che questa follia funzionasse.

Le dita di Artemis mi arpionarono le spalle, il suo sapore era dolce e mi fece perdere il controllo. Il suo dolore, la sua rabbia il suo imbarazzo nel provare un piacere che non riusciva a reprimere, mi arrivarono al cuore come una freccia avvelenata. Eppure lui non si staccò dalla mia bocca. Avrei voluto restare così per sempre e non guardare in faccia la realtà. Forse non avevo imparato nulla dalla storia con Brianna.

All'ennesimo bacio le sue labbra si fecero più morbide e fredde. Mi staccai e, quando riaprii gli occhi, trovai le iridi blu di Fabian a fissarmi immerse nelle lacrime. Nello stesso momento la voce di Eurias riecheggiò nella tromba delle scale poco distante da noi. Il battito veloce dei nostri cuori creava un gran baccano nella mia testa.

«So che sei lì. Puoi scappare ma non avrebbe molto senso.»

Tentai di prendere Artemis per il viso e lui si spostò.

Non riusciva a dire una parola. Lo afferrai e lui si irrigidì. Le lacrime gli bagnavano le guance rendendo le labbra di Fabian scarlatte e gonfie. Di fronte a quei lineamenti perfetti mi chiesi se avrei mai più sfiorato la bocca del vero Artemis.

«Ascoltami. Non dire una parola con Eurias. Non fare niente, fai solo quello che ti dico. Qualsiasi cosa io ti dica.» Artemis girò il viso di lato ed evitò i miei occhi. «Ascoltami, ti prego. Devi sembrare soggiogato.» Lui mi ignorò, mentre i passi di Eurias si facevano sempre più vicini. Gli strinsi il mento e fissai gli occhi blu di Fabian. Erano terrorizzati. «Resta vivo. Ti prego, resta vivo.» Poi mollai la presa.

«Mi dispiace interrompere il vostro momento di svago. Spero che questa sveltina sotto la pioggia sia valsa ogni goccia di sangue che ci hai fatto versare oggi.»

La luce delle colonne fece splendere i capelli dorati di Eurias e per un momento la somiglianza con Fabian fu così evidente da spingere il Cavaliere fissare Artemis per qualche secondo di troppo.

Mi posizionai tra di loro.

«Potevi evitare quello show penoso» dissi.

Eurias alzò le spalle e si sistemò una giacca nera sull'avambraccio celando in parte il faad shadari d'argento che indossava. La sua pelle candida era accecante e perfetta sotto le luci terrestri. L'altro braccio era coperto da una manica di soffice e preziosa seta nera, delicata e raffinata, non esattamente un capo da combattimento.

«Potevi evitare di scappare. Principe.» Con le mani in tasca e un'occhiata superba, gli stivali di Eurias mangiarono ulteriore distanza tra lui e Artemis. Quest'ultimo fissava il pavimento con occhi vitrei e assenti. Stava morendo dentro e non per la presenza del Cavaliere. Un vuoto mi scavò il petto e subito mi imposi freddezza.

Eurias era asciutto e immune alla pioggia, forse una delle illusioni di cui aveva parlato mio padre. Era calmo, annoiato; Il faad shadari giaceva immobile al suo polso, come se non fossimo abbastanza temibili da scatenare in lui alcuna reazione. La sua calma di fronte allo sconvolgimento evidente di Artemis era agghiacciante. Sarei anche io diventato così, dopo quella notte?

Gli occhi caldi di Eurias mi lanciarono un'occhiata maliziosa e dopo si riversarono sulle labbra di Fabian. Indugiò nello studiare i suoi lineamenti, e un sorriso prese forma sul suo volto; si allargò ancora quando vide i pantaloni di Artemis sbottonati e la maglia, ormai troppo aderente per le fattezze di Fabian, squarciata all'altezza dell'addome.

«Non pensavo avessi una cotta segreta per me, Noah.»

«E io non pensavo che tu avessi parenti nell'Élite, Eurias. O forse dovrei dire tra gli umani?»

La sua somiglianza con Fabian lo stava turbando, lo percepivo sulla pelle. Eurias si rigirò l'anello di smeraldo che aveva all'anulare sinistro e si avvicinò ad Artemis.

«Dimmi. È per questo che sei scappato? Perché hai scoperto di essere mezzo Guardiano? Vedo che ci hai messo poco ad ambientarti.» Eurias sfiorò il collo della sua maglia, strappato su un lato. «Forse hai imparato anche più del dovuto da me.»

Artemis abbassò ancora di più gli occhi a quella frase, e io sentii il cuore pungermi. Eurias accarezzò la mandibola perfetta di Fabian con un dito e non resistetti a bloccargli il polso. Lo sguardo del Cavaliere mi trafisse.

«Fabian Ashtide; tutto splendore e sorrisi ammalianti. Hai scelto bene, ma non puoi certo lasciarlo tornare a casa, dopo... dopo questo

Intercettai gli occhi di Eurias e lui si fece serio.

«Se lo uccidessi ora, tutto il sangue di oggi sarebbe davvero andato sprecato. Lui mi serve.» Eurias socchiuse gli occhi e io continuai. «Hai detto bene, è tutto splendore e bellezza... come una spada di cristallo che nessuno può toccare, nessuno tranne me.»

Eurias sorrise e si appoggiò con grazia alla parete, accanto ad Artemis. Si sfilò dalla mia presa con delicatezza.

«Dunque, hai saputo dell'erede... Hai davvero mobilitato l'intera Corte di Knephas per trovare un tuo sostituto

«Se c'è davvero un secondo erede, io lo troverò. Fabian è la chiave per infiltrarmi nell'Élite. Troverò il fantoccio con cui potrai spartirti ciò che brami da sempre, non temere.»

«Sei tu l'erede di Ashberg, sei tu che devi muovere il culo e venire con me a trovare quella maledetta spada.» Si stuzzicò le pellicine del pollice destro, unica cosa che faceva trapelare la sua tensione.

«Lo farò, lo faremo. Ma solo quando avrò scovato anche l'altro erede. Non ho intenzione di farlo trovare prima a mio padre. Voglio la spada, e c'è una remota possibilità che io non sia il principe della profezia. Avrai il tuo re, Eurias, tranquillo. Avrai il regno di Kiridia, o quello di Knephas; a me non interessa. Voglio solo dimenticare la menzogna in cui mi avete fatto vivere.»

Il Primo Cavaliere tirò la testa indietro e si appoggiò alla parete con fare annoiato. «La tua vita è a Knephas, il tuo destino è costruire l'impero che Aramis ha iniziato.»

«Lo farai tu.»

Eurias spianò le pieghe della giacca con attenzione poi tornò a guardarmi. «Tuo padre mi ha ordinato di radere al suolo anche tutto l'Altrove, ma di riportare il suo erede a casa.»

Il suo erede, non suo figlio.

«Lui non mi lascerà andare. Per questo devo trovare Dramidia e ucciderlo, ma dammi tempo.»

Gli occhi castani di Eurias si accesero di soddisfazione e curiosità. «Vuoi fare un colpo di stato? Sei cambiato, Noah. Finalmente, oserei dire.»

Ignorai il suo entusiasmo, mi sembrava tutto troppo semplice: lui che mi copre, che mi spalleggia contro mio padre. Dovevo essere cauto.

«Ho solo aperto gli occhi. Dammi il tempo di avere la piena fiducia dell'Élite e di trovare l'altro erede; Fabian è la mia chiave per riuscirci. Devi solo coprimi le spalle quando sarò a Kiridia e non farmi trovare da mio padre mentre starò qui.»

Un tuono più forte degli altri scosse le pareti e mi fece sobbalzare.

«Mi piace la pioggia, la amo.» Lo guardai in silenzio per qualche secondo. I suoi occhi castani si persero nel cielo. Eurias tacque. Forse per la prima volta nella mia vita lo vidi riflettere in silenzio.

«Che farai? Mi coprirai o vuoi rimirare la pioggia ancora un altro po'?»

Incrociò le braccia, tamburellando le dita ingioiellate sulla stoffa della giacca. Si rivolse ad Artemis e si morse il labbro inferiore.

«Faccia d'angelo ti tradirà; è un Ashtide, ce l'ha nel sangue» disse alla fine. Io scoppiai in una risata nervosa.

«Credi possa esserci qualcosa di reale tra noi? Credi davvero che possa pretendere la sua adorazione dopo... questo? Lo manipolerò, come ho fatto finora.»

Gli occhi di Eurias non si staccavano dai lineamenti di Fabian, dalla curva dritta del suo naso, dai solchi dell'addome che sbucavano dalla maglia corta e striminzita.

«Come hai fatto con Brianna» disse gelido. Ignorai la sua provocazione e la rigirai a mio favore.

«Posso farlo, lo sai che ne sono in grado. Fabian e i suoi amici mi servono.»

Eurias diresse i suoi occhi verso di me in un unico scatto felino.

«Un'altra parola per dissuadermi dall'ucciderlo e penserò che tu sia davvero innamorato di lui.» Mi avvicinai. Lo fissai dritto negli occhi. Lui minimizzò e accennò un sorriso. «Hai gusti raffinati. Sei proprio un principe.»

Lottai per reprimere la voglia di mollargli un pugno in faccia. «Non mi prendi sul serio.»

Sbuffò. «Sono serissimo, e anche un po' tentato di farmi un giro sul tuo ennesimo giocattolo usato. Specie su uno così bello. Fammi sapere quando ti stuferai di lui.»

Il mio cuore accelerò bruscamente. «Cosa intendi per ennesimo

Eurias si guardò le unghie con interesse.

«Smettila di spiarci, vieni qui.»

Brianna si affacciò dall'interno e uscì nel porticato, era grondante d'acqua e indossava un abitino bianco che ormai non lasciava più nulla da intuire. Era infreddolita e spaventata, con le labbra livide e gli occhi azzurri che mi fissavano terrorizzati.

«Non ricordi il tuo innamorato?» Eurias poi si rivolse a me abbassando la voce «O amante? Forse facevi a giorni alterni?» Lo guardai con tutto il disprezzo possibile. Lui continuò «Fa lo stesso.»

Brianna scosse la testa mentre tremava, non sapeva nemmeno che io esistessi. Fu un pugno allo stomaco. Il ghiaccio si formò sui miei polpastrelli e cercai di domarlo prima che salisse verso il collo e il petto. Mi rivolsi ad Artemis per cercare appiglio; mi stava guardando con odio, abbassò subito gli occhi per non incrociare i miei.

«Cosa c'entra lei?» Eurias mi lasciò attendere, era troppo impegnato a togliersi un capello dalla manica. Una volta terminato si tirò indietro le ciocche dorate che gli oscuravano la visuale e solo allora fece cenno indicando Brianna.

«Per quanti anni hai giocato con lei? Due, tre? Pensa che ho collegato solo qualche giorno fa la relazione che c'era tra la tazza che si rompeva ogni mattina e il tuo sghignazzare alle tre di notte. Che costanza che hai avuto, corteggiarla ogni giorno. Ogni giorno il primo bacio, ogni giorno una prima volta... Hai sempre avuto un qualcosa di romantico, Noah. Ogni cosa di te è bella e drammatica; anche la tua violenza, ha una tale grazia che diventa poesia.»

Grattai nervosamente i cristalli che continuavano a formarsi al centro del palmo della mano destra. Ero a disagio e senza via d'uscita.

«Cosa c'entra questa storia? Non cambiare argomento, stavamo parlando di tutt'altro.» Guardai Brianna e non riuscii a trovare un'espressione adeguata. Ai suoi occhi ero un estraneo, ma per me lei era la cosa più cara che io avessi mai avuto insieme a Kadir, anche se in quel momento era solo un ricordo lontano e annacquato. Ebbi un vuoto allo stomaco a ricordare quelle notti in cui cercava di spiegarmi cosa fosse la luce del sole. Avrei voluto dirle che aveva avuto ragione. Che era bellissima.

«Lei non ricorda nulla, non sa chi sono. Lasciala andare.»

Eurias sbarrò gli occhi e alzò le spalle.

«Ovvio che non ricordi nulla; ogni mattina la facevi innamorare di te, te la spassavi tutto il giorno, te la sbattevi in ogni angolo del castello come foste in luna di miele, poi la notte... puff! Fine. E il giorno dopo, tutto daccapo.»

Lo stava facendo apposta, voleva farmi odiare da Fabian, voleva mettermi in difficoltà... ma lì dentro quelle iridi di zaffiro non c'era Fabian Ashtide. I miei occhi andarono ad Artemis e furono trafitti da odio e sgomento. Eurias non stava mentendo, ogni sua parola era una crudele verità, ma una così distante da averne cancellato i contorni. Era una di quelle cose che a lui non avrei mai raccontato.

«Non fingere. Lo sappiamo entrambi che le avresti riservato un trattamento molto meno dolce del mio.» Eurias mi guardò, e le parole scivolarono lungo la curva ripida del suo sorriso facendo un gran tonfo nella mia testa.

«Hai ragione, ma non tutti sono poesia; io sono solo una tragedia dimenticata. Una senza alcun sopravvissuto a raccontarla. Sei tu ciò di cui leggende e arazzi parleranno tra secoli. Sei un Haredias, Noah. Che ti piaccia o meno. Lo sei più tu in questo momento, di quanto potrà mai esserlo tuo padre.

Presto capirai che i sentimenti non sono che un ostacolo, se si supera il limite; ma possono essere anche la tua arma più letale se non sei tu a valicarlo. Allora sarà tutto più semplice; riuscirai a gestire certe situazioni in maniera più... veloce.»

Non riuscii a controbattere. Rimasi a fissare l'orlo dell'abito di Brianna, incollato alle sue cosce tornite. Lei si strinse ancora di più su se stessa e io distolsi lo sguardo per non metterla a disagio.

«Riportala a casa. È stato versato troppo sangue oggi, la città è nel panico. L'ultima cosa che serve è un altro omicidio irrisolto.» Mi portai indietro i capelli, li avrei voluti strappare dalla rabbia e dalla frustrazione.

«Non ci penso proprio.» Eurias sorrise, quel sorriso pieno di eccitazione e malizia che ormai collegavo a lui. Prese Brianna e le posò sulle spalle la giacca che teneva appesa all'avambraccio, lei se la strinse addosso. Poi si avvicinò ad Artemis e gli scostò una ciocca di capelli dalla guancia. Lui chiuse gli occhi a quel tocco, ma non fiatò.

«Ti prego, dimmi che fai lo stesso giochetto anche con il biondino perché, detto fra noi, è una meraviglia.» Un brivido mi irrigidì la schiena, il pensiero di Artemis come gioco erotico di Eurias mi fece mancare l'aria.

«Ciò che faccio con lui non ti riguarda. Riporta Brianna a casa.»

«Lo prendo come un sì.»

Eurias sorrise e diede una piccola pacca alla punta del naso di Fabian, come chiunque avrebbe fatto a un cucciolo con cui giocare. Respirai per calmare la rabbia. Artemis fece scivolare la schiena a terra e si accovacciò. Era esausto e avevo paura che potesse svenire da un momento all'altro.

«Torna a Kiridia e trova un modo per distrarre mio padre. Io penserò alla spada.» Eurias ridacchiò e i suoi occhi perversi indugiarono ancora su Artemis.

«Non ho dubbi che penserai alla spada, spero sia quella giusta stavolta.»

Feci un passo di troppo e mi resi conto di stentare a controllarmi.

«Mi fai schifo.»

Eurias non si scompose minimamente. Sbadigliò e poi tirò su con il naso.

«Non è vero, sono la cosa più simile a un padre che tu abbia mai avuto. Non siamo così diversi, ho solo dormito qualche centinaio di anni in meno di te.» Si rilassò con la schiena sul mosaico della parete e strinse Brianna ancora più a sé. Le pettinò i capelli con le dita, tutte bagliori e pietre preziose. Sembrava rassicurante, una dolce illusione. Forse non aveva tutti i torti sul fatto di essere simili.

«Ti sbagli.» Eurias sorrise ancora. «Mi coprirai con la Corte?» dissi.

Guardò Artemis accigliando la fronte e gli occhi.

«Sì, ma lui sa troppe cose e tu sei sconvolto. Uccidilo, ti creerà solo guai.» Mi imposi di non avvicinarmi ad Artemis, quel gesto avrebbe rivelato troppo interesse alla sua vita. Eurias aspettava solo un mio sbaglio, solo un pretesto per ferirmi ancora. E ancora. E ancora.

«Non ricorderà nemmeno il mio nome domani, mi basta volerlo.»

Eurias fece spallucce e mi guardò. Gli occhi azzurri di Brianna mi fissarono in ansia.

«Va bene, come vuoi. Ma dimostralo. Fammi vedere che sei pronto. Mostrami come riesci a soggiogare Fabian e lo lascerò andare. Lo sai che qui nell'Altrove i nostri poteri sono attenuati.»

«Come desideri.» Mi avvicinai ad Artemis e gli tesi la mano per farlo alzare. Lui rifiutò il mio aiuto e mi rivolse uno sguardo pieno di disprezzo.

Ti prego, perdonami.

Avevo bisogno di un contatto fisico per manipolare le sue emozioni e farlo apparire calmo e devoto. Cercai di pensare a qualcosa di bello, e l'unica cosa che mi venne in mente furono i suoi disegni. Quando fui pronto afferrai Artemis per i capelli e lo feci alzare. Lui non fece un fiato e continuò a fissarmi mentre la sua rabbia scemava, confusa dalle mie emozioni pilotate.

Quando la mia mano mollò la sua testa, cercai di tenere a bada le sensazioni negative che avevo assorbito da lui. Era difficile, finii per schermare ogni mia emozione a Eurias. Dovevo ingannarlo, non poteva percepire la paura che Artemis aveva nei miei confronti. Per fortuna, come Cavaliere, non avrebbe potuto carpire molto altro.

Guardai gli occhi blu di Fabian, la sua espressione calma come quella di una bambola di porcellana. Una bambola rotta. Dentro di lui c'erano solo cocci, quelli di Artemis; lo sapevo. Era colpa mia.

«Inchinati a me.» Artemis si prostrò ai miei piedi dolorante, poi si abbandonò posando la fronte sul ginocchio.

Mi voltai verso Eurias, lui mi scrutò dalla testa ai piedi.

«Digli di baciarti.»

«Non sono il tuo intrattenimento personale.»

Eurias si avvicinò ad Artemis e lo prese per i capelli come avevo fatto io poco prima. «Allora possiamo anche liberarcene. Fino a prova contraria sono ancora il tuo tutore. Devo difenderti da ciò che può ferirti.»

Deglutii e respirai a fondo mentre Artemis mi guardava. L'effetto della calma che gli avevo infuso era svanita. Il suo sguardo era terrorizzato.

«Baciami, Fabian. Vieni qui e baciami.»

Eurias mollò la presa e Artemis abbassò gli occhi al pavimento mentre iniziò ad avanzare verso di me. Io restai immobile, non avevo più il coraggio di sfiorarlo per primo, attesi che le sue dita s'intrecciassero tra i miei capelli per guardarlo in faccia.

Lui mi baciò. Un bacio delicato e casto che mi fece sentire sporco e inadeguato, poi le sue dita mi strinsero i capelli e la sua lingua mi invitò con decisione a farlo entrare. La sua rabbia prese il sopravvento. Se avesse potuto avvelenarmi con un bacio lo avrebbe fatto. Baciare Fabian era come un pugno allo stomaco, mi ritrovai a desiderare di nuovo di avere i lunghi capelli di Artemis e gli spigoli del suo viso tra le dita.

«Mmm, bene. Ora fagli uccidere Brianna.»

Il cuore mi si fermò nel petto e mi staccai subito dalle labbra di Fabian. Artemis si girò verso di me implorandomi di non superare quel limite. Brianna si scostò da Eurias, ma lui la prese per il collo e la fece sbattere con la schiena al muro. Si avvicinò al suo orecchio e la ragazza si irrigidì.

«Shh, non ti succederà nulla. Spaventiamo solo un po' il nostro principe ribelle.» Lei smise di dimenarsi ed Eurias le sorrise. A volte sembrava innocente e spensierato, era in grado di celare ogni sua oscurità e intenzione dietro quella giovane faccia d'angelo.

«Brianna è mia, faccio ciò che voglio di lei.»

«Vuoi troppe cose, principe; prima prenditi il tuo regno, poi penserai al tuo harem.» Lo sguardo di Eurias era quello di qualcuno che ha già vinto ancora prima di giocare. «Scegli: lei o lui.» Fissai Brianna negli occhi e mi rifiutai di fare lo stesso con Artemis. Non doveva finire così. Cosa avevo sbagliato? Eurias prese Artemis sottobraccio con delicatezza e grazia. «Cosa scegli, Noah? L'amore, o il buon senso?»

L'amore. L'idea di aver amato Brianna mi investì come una fiammata. Non avevo mai dato un nome a ciò che avevo provato per lei, ma se quello era stato amore, allora io ero senza cuore; se era stato amore, allora nulla mi avrebbe mai smosso davvero. Mi sentii in colpa e sbagliato a non avere il minimo dubbio su chi avrei scelto.

Eurias sguainò una spada dal fodero che penzolava sul suo fianco, era stato solo un insignificante sacchetto di raso fino a un minuto prima. Non mi ero mai reso conto di quanto avanzate fossero le sue illusioni. Una vita di menzogne architettate ad arte. Riconobbi l'elsa squamata della mia spada.

«Avevi scordato questa, prima di scappare» disse porgendomela.

«Non la voglio.»

«C'è il tuo sangue in questa lama, il tuo e quello della prima baphtias che hai ucciso. Non apparterrà mai a nessun altro, ma puoi prestargliela.»

Far uccidere un'innocente a un Guardiano con una spada forgiata dalla morte di un suo simile... Eurias doveva conoscere perfettamente il dolore per saperlo infliggere con così tanta arte e disinvoltura.

Afferrai la spada e la vidi vibrare tra le dita come non aveva mai fatto prima. Era ombra e oscurità, era tutta quella parte di me privata di luce e speranza. Ciò che sarebbe stato il negativo di un bagliore percorse la lama come un lampo oscuro. I miei poteri erano cresciuti da quando ero all'Altrove, mi chiesi cosa sarei stato in grado di fare, una volta tornato a Knephas. Cosa avrei potuto fare ad Artemis, se lo avessi portato con me. Quel pensiero mi spaventò. Mi avvicinai a lui con il cuore in gola.

Avvertii la sua sofferenza nel non poter vomitarmi odio addosso, voleva scappare il più lontano possibile. Era teso e teneva l'elsa del suo kindjal, pronto per essere sfoderato dalla cintura.

Lo afferrai per un polso e lo forzai a mollare la sua arma, gli misi la mia spada tra le dita. Con quel tocco assorbii tutta la sua paura e il suo tormento; gli donai quella stessa sensazione che avevo provato tanti anni prima, quella voglia di uccidere che aveva dominato la prima Guardiana a cui avevo tolto la vita. L'unica consolazione era che Artemis non avrebbe ricordato questo momento, ogni volta che avrebbe tenuto il suo kindjal in mano. Mi bastava davvero così poco per consolarmi?

Non puoi uccidere Brianna. La mia coscienza parlava. La soffocai.

O lei o Artemis.

«Uccidila. Poi dimentica tutto

Gli occhi di Fabian in quel momento erano due fondi di bottiglia blu, inanimati e senza quel fuoco che bruciava di continuo in quelli di Artemis. Cercai di pensare che il giorno seguente sarebbe tutto finito e li avrei rivisti ancora nelle loro reali fattezze. O forse sarebbe stato meglio non rivederli mai più.

Artemis esitò e rimase a fissare la spada che aveva tra le dita. Non riuscivo a soggiogarlo, non riuscivo più nemmeno a manipolarlo. Ero esausto e spezzato tanto quanto lui. Ma non potevo fallire ora. La paura mi glassò le dita di ghiaccio, respirai e cercai una connessione con Artemis. Non con Fabian, con Artemis. Avevo solo un'arma per spingerlo a ubbidirmi: le emozioni.

Ripensai ai suoi disegni, al suo dolore. Al suo amore impossibile che tanto assomigliava a quello tra me e Brianna, e gli occhi mi iniziarono a bruciare. Pensai al fatto che stavo per farla uccidere e mi provocai ancora più dolore. Era insopportabile, ma forse non sarebbe bastato a piegare Artemis.

Ritornai con la mente al bacio che gli avevo dato poco prima e al modo brutale con cui lo avevo molestato per farlo trasformare; al fatto che mi era piaciuto. Che a lui era piaciuto, e non se lo sarebbe mai perdonato.

Artemis mi si era spezzato tra le braccia e avevo avuto comunque la lucidità di provare piacere nel vederlo godere. Ero un mostro. L'anima mi si sfaldò dal dolore: era vero, reale; non era solo un artificio della mia mente. Afferrai il suo polso gli riversai addosso tutta la mia disperazione. Incontrò i miei occhi e per un istante lo riconobbi.

«Uccidila e dimenticami. Dimentica ogni cosa.» la mia voce era implorante, la sua mente arresa a me. Il battito del suo cuore si accavallava a quello frenetico di Brianna nelle mie orecchie da predatore. Mi sentivo soffocare. Uccidila.

Mi lanciò un ultimo sguardo lacerante, poi scattò fulmineo e trafisse il petto di Brianna con la mia spada; il battito cessò, lasciando solo quello agitato di Artemis e quello lento e regolare di Eurias a tormentarmi. Mi girai dall'altra parte, mentre il tonfo del corpo di Brianna fece vibrare il pavimento. Non l'avrei vista in quel modo. Non volevo vederla, lei era un sogno che mi aveva tenuto in vita per anni e tale sarebbe dovuta rimanere. Una dolce eco nei miei pensieri che avevo miseramente messo a tacere.

Il dolore mi serrò la gola. Il mio pensiero volò al fatto che quella ragazza era morta già quel giorno che aveva messo piede a Knephas.

Non hai avuto scelta. Non avresti potuto salvarla.

Mi rivolsi a Eurias e il suo viso si plasmò in un'espressione di incredula soddisfazione. Non pensava che l'avrei fatto. Forse nessuno aveva davvero mai visto il colore della mia anima. Il Cavaliere s'inchinò al mio cospetto coprendosi il capo con l'avambraccio ornato dal faad shadari, proprio come avrebbe fatto per giurarmi fedeltà a una mia futura incoronazione.

«Hal sha haradias, mio principe.» Sulla lingua avvertii una nota di orgoglio che non avrei voluto mai assaporare. Il retrogusto di terrore la rese ancora più macabra e spiazzante. Il serpente d'argento divenne incandescente e si torse su stesso, fino a far svanire il sorriso accennato di Eurias dalla mia vista. Lo sparire della sua aura mi tolse un peso dal petto.

Era finita?

Artemis era immobile contro la parete, la spada insanguinata in mano e lo sguardo vuoto. Le dita di Fabian serrate sull'elsa squamata della mia spada e il suo viso angelico macchiato di sangue, creavano un quadro blasfemo che Artemis avrebbe certamente saputo disegnare al meglio. I suoi respiri erano faticosi, dettati solo dal suo istinto di sopravvivenza; sembrava che la sua anima si stesse ancorando a quel corpo con tutta la fatica possibile. Pregai che tornasse in sé; avevo bisogno di guardare in faccia il suo reale dolore, o forse di consolarmi in quegli occhi scuri che mi aveva rivolto sotto la pioggia. Mi avvicinai a lui e gli afferrai le guance, appena i nostri occhi si incrociarono tornò alle sue sembianze. Le sue iridi erano castane, ma spente e annacquate, fu una coltellata guardarle.

«Perdonami, dovevo salvarti. Non c'era scelta.»

Tremante, si divincolò dalla mia presa e mi lanciò la spada ai piedi. Schiuse le labbra e fece per dirmi qualcosa, poi in silenzio scappò via. Non lo seguii. La lama insanguinata macchiò il marmo del pavimento di un mosaico scarlatto. Rimasi a fissare quelle macchie e, pochi istanti dopo, un fiume di sangue mi ingabbiò la suola degli anfibi. Tra la pozza, il mio sguardo arrivò a intercettare una manica della giacca che Eurias aveva prestato a Brianna, poi tornò dritto davanti a me. Non raccolsi la spada, iniziai a camminare verso l'uscita. Non mi sarei girato.

Hal sha haradias: il vuoto ti appartiene e io appartengo a te.

Non avrei mai potuto più tornare indietro.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top