Capitolo 20 - Artemis
«Ben svegliata, Sua Altezza Del Disastro.»
Noah era seduto sul davanzale della mia finestra, con fastidiosa noncuranza sgranocchiava un pacco di patatine mentre sulle ginocchia aveva un libricino aperto.
Si pulì le dita sui jeans, poi chiuse il libro, lo ripose dentro la tasca e mi scrutò. Indossava una giacca blu da fattorino, rubata chissà a quale degli addetti dell'hotel nel quale alloggiava; l'oro delle rifiniture stonava un po' con il suo pallore lunare, ma quell'austera aria militare non faceva che accrescere la sua grazia regale. Stringevo tra le dita le lenzuola per coprirmi, e tranne per il peso dei miei capelli sulle spalle, quasi non mi resi conto di essere tornato alle mie sembianze.
Il principe prese il barattolo del miele dal comodino, come fosse ormai sua abitudine quotidiana, e lo aprì. «Saresti potuto venire anche nei panni del tuo innamorato,» disse intingendo una patatina, «non mi sarei offeso.»
Il fastidio mi incendiò le vene.
«Vattene.»
«Comunque hai un talento, sei riuscito a rendere pallido e scialbo anche Fabian Ashtide.» Noah si sedette al bordo del letto, i suoi occhi viola mi fissavano. Non riuscivo a muovermi, ancora mi coprivo con il lenzuolo.
Il miele sulle sue labbra, il suo sguardo ammaliante.
La ciotola di datteri in mano.
La rabbia che mi incendiava il cuore, la sua rabbia.
«Che incubo» fece lui. La nausea tornò a contorcermi lo stomaco e Noah impallidì insieme a me. Non resistetti e corsi in bagno, la sua voce mi seguì. «È insopportabile, la quantità di sensazioni sgradevoli che emani.»
Mi chinai sulla tazza del water e vomitai di nuovo. Gli spasmi aumentavano sempre più rendendomi conto che Noah era appoggiato alla parete accanto a me, intingendo altre patatine nel miele. Presi aria un istante e, tra uno spasmo e un altro, controllai che il principe non azzerasse la distanza tra di noi.
«Non ti azzardare a toccarmi.» Non riuscii quasi a finire la frase che un conato mi mozzò di nuovo il fiato.
«Non ci penso proprio. Sei sudato e puzzi di alcol. Voi baphtias non reggete nemmeno quello.»
«Feccia di Kneph —»
«Tranquillo, vomita pure con serenità. Non muoio dalla voglia di ascoltare le espressioni del folclore locale.» All'ultimo conato mi spostai al lavandino. Mi sciacquai il viso e la bocca con acqua gelida. Sperai di non rivedere Noah e di scoprire che era stato tutto un sogno, invece la sua voce tornò a torturarmi «Devo trovare il modo di portare il miele a Knephas.» Tirò lo sciacquone e chiuse con un gesto schizzinoso la tavoletta del water, poi ci si sedette sopra con la leggiadria di una regina sul suo trono. Era bello e raffinato, così tanto da farmi ribrezzo. Un'eleganza arrogante che non potevo che bramare e detestare insieme. Lo odiavo.
Mentre mi lavavo i denti, aprii la doccia e mi buttai sotto il getto freddo dell'acqua. Stavo bruciando e, per la frustrazione, mi resi conto di star sciogliendo il manico in plastica dello spazzolino. Lo gettai via prima che mi si incollasse alle dita; le mie mani ardevano. Per un istante sperai che Noah assorbisse tutto il malessere che stavo provando.
Il principe smise di mangiare e rivolse lo sguardo a me, lo vidi indugiare sulla mia maglietta bagnata. Avevo scordato di toglierla e mi aderiva come un guanto. Un sorriso di scherno curvò le sue labbra e ciò mi spinse a spogliarmi e a restare in mutande. Non riuscii a toglierle, la paura che potesse farsi strane idee mi gelò il sangue tutto di colpo.
«Io non vengo, se è questo che ti stai chiedendo.»
Gli diedi le spalle, ma subito ci ripensai e mi voltai. Tolsi con difficoltà gli anellini dorati che ornavano una delle mie trecce scure, ormai zuppe.
«Ci mancherebbe.»
Noah accavallò le gambe, non staccava gli occhi da me e la cosa mi rendeva nervoso.
Sei tu l'idiota che si fa la doccia di fronte a lui.
«Sei stato bravo, hai risolto la questione di Marxalia senza dovermi rivelare il tuo segreto, ma non capisco per quale motivo mi hai detto di saperti trasformare in chiunque, quando invece riesci a mutare solo nella tua... come dice Megumi? Ossessione.» Quell'ultima parola si sciolse sulla lingua di Noah come il sibilo di un serpente, mi arricciò la pelle delle braccia. Chiusi gli occhi e respirai.
«Non sono fatti tuoi. Ti ho dato quello che volevi, fattelo bastare.»
Il principe si alzò e si avvicinò alla doccia. Chiusi il getto d'acqua e mi buttai un asciugamano addosso.
«Ce l'hai con me.» Si appoggiò con una mano al box di cristallo e mi impedì di uscire del tutto.
«Lo percepisci, è inutile che me lo chiedi.» Mi strofinai i capelli, ma una goccia mi scivolò sulla guancia. Noah l'asciugò con un dito e io non riuscii a deglutire.
«Invece te lo chiedo.»
I suoi occhi erano di una sfumatura di viola molto scura, le pupille dilatate e le guance arrossate dal calore del bagno. Lo avrei voluto uccidere, ma forse prima lo avrei sbattuto al muro e baciato. «Vattene.»
«Me ne vado quando voglio io.» Il suo sguardo era insostenibile. Lo scansai evitando in ogni modo il contatto con la sua pelle d'alabastro; poi, con un gesto goffo, mi tolsi gli slip fradici da sotto l'asciugamano e mi infilai un paio di pantaloncini. Uscii dal bagno a testa alta, ma dopo essere inciampato sui miei stessi abiti luridi.
Noah, con tutta calma, riprese il barattolo del miele e intercettò il cucchiaino sul comodino, poi si sedette sul letto.
«Non so cosa ti sia preso. Dovevamo vederci stanotte, invece eri in giro a pavoneggiarti nei panni del tuo ragazzo immaginario.»
Mi appoggiai alla cassettiera di fronte il letto e osservai il suo riflesso dallo specchio.
«Ne ho abbastanza di te e dei tuoi giochetti, principe.» I capelli ancora gocciolavano, feci evaporare quasi tutta l'acqua e mi cominciai a pettinare.
Noah tirò fuori quell'espressione regale e composta che mi faceva contorcere le budella. «Non sto giocando, abbiamo un patto e tu non lo stai rispettando. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso, da quelli come voi.»
I miei muscoli si tesero dal nervoso.
«Mi hai stancato, maestrino.»
«Io, maestrino? Sei tu che castighi tutti... Quanti gliene hai fatti succhiare stanotte per ripicca, Artemis?»
Noah era calmo, e più mi arrabbiavo più i suoi lineamenti si facevano algidi e perfetti.
«Basta!» I battiti del mio cuore mi rimbombavano in gola in maniera dolorosa. Noah si alzò e si avvicinò a me, lasciando il barattolo sul comodino. Si diresse verso la scrivania senza guardarmi in faccia.
«Cosa è successo per ridurti così? Non sarà davvero il fatto di non riuscire a disegnarmi?» Lo vidi afferrare l'album dei ritratti e il respiro mi si mozzò. Scattai e presi Noah per giacca, poi lo sbattei al muro accanto alla finestra. Lui imprecò sottovoce, in una lingua che sarebbe stata comprensibile solo da un rettile, e la rabbia abbandonò i miei muscoli di colpo. Il mio cuore rallentò, in quel modo improvviso e rilassante che già avevo sperimentato. Il respiro di quella serpe si bloccò e io mi staccai.
«Fermati. Cielo, fermati!» dissi, posando le braccia sul muro davanti a me e ingabbiando il principe. Non volevo sfiorarlo nemmeno con un dito, ma il suo profumo speziato era una droga che mi stava consumando. Sapeva d'Argan e rosa... e un'altra nota dolce che non avrei saputo mai spiegare. La sua bocca non si chiudeva, era schiusa come un qualcosa che aspetta solo di essere violato. Le punte delle sue dita si glassarono di ghiaccio. Il serpente al suo polso si mosse e i cristalli si sciolsero in pochi secondi, evaporando.
«Cosa hai?» La sua voce si fece dolce e calma, come quella notte in cui facemmo il patto di sangue. Alzai lo sguardo e trovai le sue ametiste a fissarmi con un velo di preoccupazione.
«Lo sai.»
Noah sospirò. «No, non lo so. Non so mai tutto. E comunque, se te lo stai chiedendo... no, il legame che abbiamo non ti spinge a desiderarmi in questo modo.»
Il mio cuore perse un battito o due, i miei occhi si affilarono.
«Desidererei solo ucciderti.»
Lui mi fissò senza sbattere le palpebre.
«Non è così che iniziano le più belle storie d'amore, qui nell'Altrove?»
Mi stava prendendo in giro. Ogni cosa di Noah era una dolce bugia. Quegli occhi che mi esaminavano con curiosità, il suo stringersi il polso come a voler nascondere il simbolo che lo rendeva la cosa più sbagliata per un Guardiano; la cosa più sbagliata per me.
«Smettila di recitare, di parlare d'amore. Non lo conosci. Vivi di riflesso, come una sanguisuga che assorbe tutto e tira fuori solo veleno.» Lo liberai dalla mia gabbia, ma lui rimase immobile. «Anzi, come uno dei tuoi sporchi Cavalieri» aggiunsi, mentre mi infilavo una felpa. Lui fece un passo avanti e mi afferrò per un braccio. Mi ritirai dalla sua presa. «Non mi toccare.»
Mi ignorò, e agguantandomi la mano destra mi tirò a sé.
«E invece ti tocco.» Guardò la mia mano nella sua e mi afferrò anche l'altra, con così tanta grazia e deferenza da spiazzarmi. Quella confusione non era opera sua, stavolta. Il principe si concentrò sulle mie dita, e sugli anelli che le ornavano, con una calma ipnotica. «Faccio quello che voglio con te, Artemis. Forse, ancora non l'hai capito.»
Rimasi anche io a guardare le mie mani che venivano accarezzate ed esaminate da lui. Era una battaglia persa, la sua pelle a contatto con la mia era una sensazione che il mio corpo cercava in ogni modo. Mi sentivo stritolato tra le sue spire.
«L'ho capito, invece. Ma non si ripeterà mai più» dissi con un dolore sordo nel petto. Sarebbe accaduto ancora, invece. Perché con Noah non avevo scampo. Non avevo scelta.
«È per ieri, da Megumi?» Alzò gli occhi al mio viso. I miei erano lucidi e feci di tutto per non farlo notare.
«Mi hai manipolato, mi hai fatto fare una scenata senza senso e mi sono sentito senza scelta. Non erano questi i patti.»
Noah aggrottò la fronte.
«Non ti ho manipolato.»
Tolsi le mie mani dalle sue.
«Non ero in me, mi hai fatto urlare come un matto verso la medium più influente d'Europa; con una cazzo di ciotola di datteri in mano!»
Represse una risata.
«Non l'ho fatto apposta.»
«Balle!» Mi avvicinai alla finestra e l'aprii. Volevo aria.
Noah si materializzò alla mia destra.
«Non è colpa mia.»
«Smettila.»
«No...» Alzò la voce. «No, smettila tu. Non l'ho fatto apposta. Non posso manipolarti, te l'ho detto. Non direttamente.» Lo vidi con le guance arrossate e lo sguardo di chi si è appena reso conto di aver perso le staffe.
«Non strillare!» sussurrai, indicando la finestra aperta.
Lui abbassò il tono. «Posso farti assorbire le mie emozioni e io posso prendere le tue. Non di più.» Noah si sedette sul letto di fronte a me e io feci lo stesso sul davanzale. «Non ci sente nessuno. Ho isolato la stanza.»
Lo guardai arricciando il naso.
«Cosa cazzo vuol dire?»
Il principe roteò gli occhi e si lucidò il bracciale. «Che le onde sonore verranno dissipate in modo da non —»
«Non mi riferivo a questo. Cosa cazzo vuol dire che non puoi manipolarmi? Mi hai fatto fare quello che volevi.»
Rivolse la sua attenzione a me. Esitò un secondo prima di rispondermi. «Che ho assorbito l'ansia di tutti quelli che erano nella stanza, e non l'ho sopportato. Te l'ho riversata addosso.»
Un sorriso premette per curvarmi le labbra.
«Hai perso il controllo.»
Giurai di vedere le sue guance candide arrossire dall'imbarazzo. Noah si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro mentre rigirava la mano sulla polsiera d'oro.
«Qui è tutto diverso da Knephas...»
Mi alzai e gli bloccai la corsa con una mano sul petto.
«Hai perso il controllo, Noah. Cazzo, dillo!»
Lui mi fissò indignato.
«Sei davvero scurrile quando bevi.»
Quel tono...
«Sei tu che mi fai essere scurrile, maestrino del cazzo. Tu e i tuoi modi di merda. Ti credi di essere il re dell'universo, di poter giocare con tutto... con tutti.»
«Perdonami.»
«Troppo comodo.»
«Hai ragione, ho superato il limite. Perdonami, Artemis.»
Quella s sibilante...
Non ce la facevo, gli credevo ma non del tutto. Parte di me sapeva che mi stava solo manipolando, l'altra mi implorava di farlo scoppiare a piangere solo per poterlo consolare. I suoi occhi erano dolci e colpevoli, il cuore mi fece una capriola nel petto. O forse lo stomaco.
«Vaffanculo.» Corsi rapidissimo in bagno e ricominciai a vomitare.
Qualcuno mi sgravò dal peso della mia stessa fronte. Percepii il freddo dell'anello di Noah sulla pelle, il ghiaccio lo aveva di sicuro ricoperto da poco per essere così gelido. Ero così esausto dai conati che non opposi resistenza al suo tocco.
«Respira. Devi calmarti.»
La sua voce mi fece rilassare un po'. Smisi di chiedermi se stesse usando il suo potere su di me. Ripresi fiato e vidi le sue onde corvine accanto alla mia spalla. Mi girai di più; il suo viso era ancora roseo e non dava segni di nausea. Non mi stava manipolando. Tirò lo sciacquone e lo vidi deformarsi sotto ai miei occhi come se anche l'acqua cercasse di toccare il principe. Ero fuori di testa.
«Non so cosa tu abbia preso per stare così, ma hai un'ansia che mi sta consumando.» Ripresi fiato e Noah si sedette a terra, con la schiena sulla cabina della doccia.
«Strano che tu non l'abbia assorbita. Ti rigiri tutto come ti pare.» Presi un nuovo spazzolino dal cassetto, per rilavarmi i denti per la centesima volta in quella giornata schifosa.
«Scusami. Davvero, non accadrà più.»
Noah aveva un ginocchio piegato e il braccio appoggiato sopra, la polsiera d'oro scintillava alla luce del bagno. Gli occhi del serpente sembravano fatti di sangue, ma il suo sguardo era spaesato e il suo viso angelico. Quel contrasto mi fece boccheggiare. La giacca, un po' larga, e gli anfibi neri che sbucavano dai jeans strappati, gli davano un'aria da rock star incompresa. Ma l'unico a non capirci nulla forse ero proprio io.
In che guaio ti sei cacciato?
«Non voglio più vederti.»
Noah sbuffò e abbassò la gamba sul pavimento. Iniziò a giocherellare con l'anello che portava al dito medio, un rovo pitonato costellato di rose, di una fattura così pregiata e di gusto che sarebbe stato impossibile non notarlo. Forse era platino... o forse lui non era sensibile all'argento come gli altri knephaniani?
«Abbiamo un patto di sangue, e tu hai ancora un omicidio da vendicare, Dolcezza.»
I miei occhi lo inchiodarono. Fissi e spietati. I suoi erano limpidi e bellissimi, due gemme così potevano solo dire la verità o mentire spudoratamente. Sputai nel lavabo e mollai lo spazzolino.
«Non ti azzardare più a manipolarmi, o con me hai chiuso.»
Noah si alzò in piedi e uscì dal bagno. Lo seguii. Fu attratto dalla sveglia a sandwich, gliela strappai subito dalle mani.
«Non ti ho manipolato, ma ok. Non lo farò più» disse lui riprendendola.
«Non mi trasformerò in nessuno e non mi riverserai mai più la tua instabilità mentale. Dillo!» I miei occhi lo inchiodarono e la mia mano gli strinse il polso proprio sul faad shadari. Me lo lasciò fare, ma appena me ne resi conto mollai la presa.
Noah si pulì i jeans e la giacca, tornando a essere il principino altezzoso che odiavo. Il fastidio mi fece mordere la lingua. Non ricevendo alcun feedback, gli alzai il mento verso di me.
Sbuffò e appoggiò la schiena alla parete.
«Non era mia, l'instabilità mentale.»
«Non mi interessa. Se lo rifarai andrò io stesso a Kiridia e troverò quella spada solo per ucciderti.» Le mie mani tornarono a bruciare e lui sussultò dal dolore. Si toccò il mento e vidi la piccola scottatura che gli avevo lasciato; guarì pochi istanti dopo.
«La rabbia ti consuma. Ogni emozione ti consuma, Artemis.» Afferrai il kindjal sulla scrivania e puntai la lama sulla sua gola.«Mossa stupida. Sono immortale» mi sussurrò all'orecchio, con il suo accento sibilante. Un brivido che mi fece serrare i denti. Lo guardai negli occhi e non sbattemmo nemmeno le palpebre per qualche secondo. Esercitai più pressione sulla lama e le mie dita avvertirono la pelle liscia e rovente del suo collo. A ogni battito rapido del suo cuore mi sfiorava un po' di più.
«Chissà se lo sei anche qui sulla Terra.»
Noah deglutì e smise di respirare. Era a disagio. Capii quanto fosse difficile per lui non gestire le emozioni che avvertiva intorno a sé. Posò una mano sulla mia spalla e mi spinse leggermente. Stavolta non era una minaccia, ma una supplica a dargli tregua.
«Va bene. Niente più giochetti mentali, niente trasformazioni.» Lo fissai e la sua presa sulla mia spalla divenne più un sostenersi. Era esausto, tanto quanto me. «Calmati, baphtias. Se vuoi che non ti manipoli devi controllarti. È... insopportabile tutto questo per me.»
Mollai il kindjal e mi buttai sul letto. Noah fece lo stesso, accanto a me. Rimirò il soffitto con una mano sul petto affannato.
«La tua vita è un inferno, Artemis Blackwood.»
«Disse il principe dei demoni.» Mi girai solo per vedere il suo sorriso prendere forma. Rimasi a guardarlo. Non riuscivo a smettere.
«Posso vedere i tuoi disegni?» disse lui rimettendosi seduto.
«No.»
«Ok. Magari un'altra volta.»
Fissai il soffitto e restammo in silenzio per qualche secondo.
«Ti trasformi spesso?» chiese Noah.
«Non ultimamente.»
«Non hai mai pensato di dirglielo?»
«Non sono pazzo. Ha due Legati!» Mi resi conto di aver fatto autogol e mi girai verso di lui. «Aspetta, dire cosa? E a chi?»
Noah rise, quella risata cristallina che mi rischiarava i pensieri. Era strano il modo in cui passavamo dal puntarci pugnali alla gola al farci confidenze. Le nostre menti erano compatibili in un modo perverso, avevamo un equilibrio che ci portava, in qualche modo, sempre qualcosa di buono.
«E prima del bonding?» fece lui.
Tornai a contemplare il soffitto, i faretti che disegnavano un cerchio simile a un'astronave.
«È sempre stato cristallino che avrebbe avuto il bonding con Zach. Certe cose le senti.» Le senti, ti divorano, ti spezzano.
Noah tacque per un po' ed ebbi la folle idea che stesse aspettando che ricomponessi i miei pezzi.
«Mi dispiace» disse sdraiandosi, poi si girò verso di me.
«Di cosa?» risposi sottovoce.
«Per quello che senti. È soffocante.» La sua espressione era sofferente e afflitta. «Perché ti trasformi in lui?» È perché lo ami, ma lui non amerà mai te. Non sarei mai riuscito ad ammetterlo. Mai. Noah colse il mio disagio e richiamò la mia attenzione toccandomi il braccio. «Non intendo perché sei in grado di trasformarti solo in lui, quello lo so già. Vorrei sapere perché scegli di farlo.»
Quello lo so già.
«È tutto facile quando sei Nathan.»
«Solo questo?» disse lui con un sorriso malizioso. Mi fece sorridere a mia volta.
«Ok, una parte di me ama vederlo vomitare sulla tazza del cesso, quando torno a casa.»
Noah ridacchiò.
«È perverso, ma logico. A Eurias piaceresti. Forse anche lui potrebbe piacere a te, somiglia molto a Fabian. Una sua versione più femminile e più pallida.»
Lo fulminai con lo sguardo.
«Non hai altro hobby, oltre insultarmi?»
Noah si morse il labbro, i suoi occhi erano divertiti.
«Rovinarti la festa, a quanto pare. Ti ho costretto a vedere il tuo riflesso nell'acqua del water, invece di quello del tuo bellissimo Ashtide, stasera.»
Cercai di tenere il broncio ma finii per sorridere. Noah si avvicinò un po' di più a me. Mi afferrò una treccia, sfatta ma asciutta, e se la rigirò tra le dita. Esaminò la rasatura a forma di ala sulla mia tempia. Mi aspettavo che chiedesse una spiegazione su quello strano look, ma non lo fece.
«Puoi incanalarla questa rabbia, questo odio. Puoi renderlo potere, controllo.» Distolsi lo sguardo dai suoi occhi e mi concentrai sui bottoni dorati della sua giacca. Ne toccai uno e ne ricalcai lo stemma con un dito. «Se ti basta un'emozione forte per controllare il tuo dono, io posso aiutarti» continuò lui.
«Non è così facile.»
Noah mollò la mia treccia e io tornai a guardarlo in viso.
«Potresti essere l'Aklèimas, un giorno. Se Nathan fosse davvero knephaniano.» Come sarebbero state L'Élite, Kiridia e Knephas, governati da me e Noah? Forse diverse, forse migliori.
«Pensi che lo sia? L'erede di Dramidia?»
«Non lo so. So solo che mi hanno visto in mille visioni brandire quella spada. Potrebbe essere knephaniano, ma non credo sia il principe della leggenda.» Noah si toccò di nuovo il polso. Ormai avevo imparato a decifrare quel suo gesto.
«È la paura a parlare o una riflessione ponderata?»
Si morse il labbro poi mi lanciò un'occhiata.
«La seconda.»
«Sei certo di poter usare quella spada.»
«Lo sento. Un po' come tu hai avvertito il bonding tra Zach e il tuo innamorato.»
Innamorato. Se lo avesse ripetuto un'altra volta avrei ripreso il kindjal.
«No, è diverso. Non lo senti, lo speri. Perché senza quella spada resteresti solo un giocattolino in gabbia.» Il suo sguardo si fece attento e gli occhi del bracciale brillarono di un rosa cupo. Sorrisi nel modo più odioso che conoscevo. «Inutile che ti scaldi, principe. Io dico quello che voglio con te. Forse, non l'hai ancora capito.» Noah colse la citazione e sorrise tra gli occhi affilati. «Quello intendi, con il canalizzare le emozioni in potere? Il ghiaccio che ti si forma sulle mani, sembra quasi uno scudo da ciò che non ti piace.»
Il guizzo nelle sue iridi mi fece intuire che fosse sorpreso da questa mia osservazione.
«Sì, intendo questo» disse, guardandosi le mani.
«Dimmi, c'è un modo per scoprire se Nathan è un discendente della Corte?» Noah sospirò e si mise a pensare. «Fare un patto di sangue con lui? Vedere se la ferita si rimargina subito a contatto con il suo sangue? Con Zach non successe nulla di anomalo durante il bonding.»
Scosse la testa.
«No, sarebbe inutile, sono passate così tante generazioni che di sangue knephaniano avrà poco o nulla.»
Mi alzai e tirai fuori la tunica e i pantaloni azzurri dell'abito tradizionale; iniziai a indossarli.
«Ci deve essere un modo.»
Noah si alzò e iniziò a vagare per la stanza.
«No, non c'è» disse dal bagno. Mi allacciai i bottoni dei pantaloni, poi mi girai a cercarlo. Lo trovai chino sul lavabo, intento a tracciarsi una linea di eyeliner con un pennarello nero. Trattenni una risata e mi infilai l'armatura di catene dorate.
Sbirciai di nuovo nella sua direzione e lo vidi soddisfatto sbattere le ciglia davanti allo specchio.
«È indelebile» dissi, chiudendo i moschettoni delle catene.
«Cosa?»
«Il pennarello.» Mi avvicinai a lui e glielo strappai dalle mani.
«Sono per disegnare. Ora avrai quella linea a vita.»
«Come a vita?» Noah mi guardò in panico e io scoppiai a ridere. «Vuoi spiegarmi perché era nel bicchiere dello spazzolino da denti?» Mi avvicinai ed esaminai il suo capolavoro. Rimasi deluso nel trovare una riga perfetta; anche se gli fosse rimasta per sempre non avrebbe fatto alcun danno.
«Beh, almeno è dritta.» Distolsi lo sguardo da quegli occhi affilati e tornai alla mia vestizione. Presi le spalline da Discendente e le indossai.
Il principe non resistette e si avvicinò a osservarle.
«Festa in maschera?»
I suoi occhi truccati erano ancora più difficili da ignorare. Lo guardai con odio.
«Li conosci questi abiti, non fare il finto tonto.»
Si soffermò sui monili d'oro e kalè con estrema attenzione. Lui era un esteta, ormai l'avevo capito, amava le cose belle e raffinate, non avrebbe potuto non rimanere incantato da quel capolavoro di artigianato che era l'armatura di un Discendente. Per quanto ci odiasse.
«Vai a Kiridia a chiedere la mia mano e a salvarmi dalla principessa, o a cercare la spada per uccidermi?»
Che faccia da schiaffi.
«Vado in Parlamento. A fare il doppio gioco mentre tu mi prendi in giro e ti accechi con i pennarelli.»
Noah sembrò soddisfatto della mia risposta.
«Ridotto così?»
Mi specchiai e vidi il mio volto pallido e più magro del solito. Non ero il ritratto della salute, ma non potevo farci nulla.
«Ridotto così» risposi infilando gli stivali.
Noah diventò invisibile ma riuscii comunque a prendergli un braccio.
«E no. Tu non puoi venire.»
***
Se c'è qualcuno che può arrivare a scendere a patti con certa feccia di Knephas, quelli sono gli Ashtide. Guardati da Eileen, Artemis.
La voce di mio padre mi rimbombava in testa come uno schiaffo, il disprezzo nella sua voce mi aveva fatto gelare il sangue. Finora nessuno si era accorto della sottile cicatrice che il patto con Noah mi aveva lasciato sul palmo della mano, ma prima o poi qualcuno l'avrebbe notata. Probabilmente mi avrebbero deriso, rimarcando che quella sarebbe stata l'unica cicatrice a solcarlo per tutta la vita.
Forse avrebbero anche avuto ragione, non avrei mai avuto un Legato.
Ero io la feccia a cui si riferiva mio padre, ero io quello che aveva fatto un patto con il futuro re di Knephas.
La luce chiara, filtrata dagli alberi della Serra dei Ricordi, dorava il ritratto che tenevo in grembo. Un'ombra disegnava una fronda proprio sopra il viso angelico di Nathan. Girai subito il foglio, per paura che qualcuno lo notasse.
Sei distratto, Artemis. Se hai qualche problema puoi dircelo, lo sai questo?
Nonna mi aveva guardato con occhi preoccupati, molto più di quanto era solita fare, mi aveva anche chiesto di descriverle il principe Noah e lì mi ero reso conto di quanto i miei sentimenti fossero confusi e senza senso. Mi ero limitato ai connotati principali, omettendo tutte le cose che la mia mente avrebbe sputato fuori per prime.
L'ho visto pochi minuti, non saprei dire di più.
Ancora sentivo caldo per quella spudorata menzogna.
Rimasi imbambolato a fissare il volto di Noah, abbozzato sul foglio successivo a quello dove avevo disegnato Nathan. Quel sorriso libero e arioso che mi aveva fatto sul letto. Di tutta la nostra discussione mi era rimasto impresso quello.
Lo schizzo non era perfetto; forse la bocca troppo rigida, i lineamenti grossolani, rispetto a quelli fini e aggraziati dell'originale...
«Dovresti aiutarmi, non disegnare.»
Alzai lo sguardo verso Louise, chinata a terra con una pianta in mano, che attendeva di essere interrata in un vaso enorme. Sopra ai jeans indossava un grembiule pieno di teschi rosa, che accoppiato alla t-shirt con la faccia di Draco Malfoy, creava un bizzarro e comico contrasto.
«Ho il pollice nero, non vorrai avere sulla coscienza quella povera piantina...» Girai con nonchalance il foglio e ripresi uno schizzo della serra, incompleto. Quei fiori dai colori innaturali mi avrebbero procurato l'ennesimo elogio dal professor Schmelz, incuriosito dalla mia fantasia.
Louise interrò la pianta con la delicatezza di un lanciatore di baseball e il tonfo mi fece alzare lo sguardo.
«Anche tu non scherzi.» Strinsi gli occhi per la sensazione sgradevole che doveva aver provato quella povera creaturina.
Kikilia saltò a terra dal ramo di un albero, e Louise sussultò. Aveva tra i denti delle cesoie da potatura e uno sguardo agguerrito che avrebbe riservato solo al peggiore dei nemici.
«Kikilia: 1 - Amarantium: 0. Grazie, Kiki. Non avrei potato quel coso neanche sotto tortura» disse Lou, facendo segno di vittoria.
Capii di non essere l'acerrimo nemico di Kikilia, quando il suo sguardo si posò su di me e s'impietosì.
«Dovrebbe dormire, più che altro; sembra uno zombie.»
Mi pettinai i capelli portandoli tutti da un lato, poi accarezzai la rasatura che avevo sull'altro.
«Pene d'amore...» fece Lou, ridacchiando. La zittii con gli occhi.
«Ti piacerebbe... Tra poco iniziano le lezioni, non ho granché da presentare. Devo disegnare.»
Magari non Noah. Quel pensiero fece accelerare i battiti del mio cuore. Disagio. Noah avrebbe percepito disagio.
Louise prese della terra e iniziò a calcarne a più non posso nel vaso. Si aiutava con una paletta e sembrava che stesse sculacciando la povera pianta. L'espressione di Kikilia manifestò ancora più apprensione assistendo alla scena. Dubitai che quelle piante sarebbero sopravvissute.
«Potresti dire che sei stato impegnato a uccidere vampiri e a dare la caccia a un affascinante principe.» Louise batté con più forza la paletta, dando l'ultimo colpo al terriccio. «Lui come musa sembrava interessarti parecchio.»
Il mio sguardo trovò soccorso sul telaio in ferro e oro della serra, perfettamente riprodotto nello schizzo del mio album. Le mani mi sudavano.
«Potrei costringerti a posare nuda per dieci ore di fila, Louise. Ho da ultimare circa otto ritratti per anatomia.» Feci un respiro profondo tenendomi il labbro inferiore tra i denti, quando una palettata mi sporcò i pantaloni azzurri dell'abito tradizionale.
«Sei spietato.»
Alzai lo sguardo e trovai Lou con un'altra povera pianta in mano. Fiori viola, dalla corolla geometrica e screziata di nero. Mi si accartocciò lo stomaco.
«Tieni, i Lilios Nerensi sono tutti tuoi. Guarda che curve!»
«No, grazie. Preferisco la mia spietatezza e un bel voto ad anatomia.»
Sorrise maliziosa scansandosi la frangia scura dagli occhi col dorso della mano.
«Nessuna notizia del principe?» chiese Kikilia, e quel poco di calma ritrovata si sciolse tra i bollori della mia pelle. Feci spallucce sfogliando l'album da disegno senza nessuna necessità di farlo.
«Lo stanno cercando ovunque. Ma gira voce che non sia l'unico a cui è interessata la Corte» disse Louise sedendosi a terra e gesticolando con la paletta.
Una macchia su un foglio mi fece fermare dall'esaminare l'album. Alla terzultima pagina, un'orrenda caricatura di un ragazzo, chino sulla tazza del cesso, occupava quasi metà foglio. I capelli erano la cosa venuta meglio e rimandavano chiaramente ai miei.
Noah.
Serrai i denti dal fastidio e feci per prendere una gomma, poi notai un messaggio appuntato proprio sotto il water.
Dieci minuti dopo la mezzanotte, alla Colonna della Vittoria.
Il sangue mi bruciò nelle vene.
«Un altro ricercato?» fece Kikilia, sedendosi su un vaso e legandosi i lunghi capelli in una treccia scomposta.
«Una vecchia leggenda dice che ci sia sangue knephaniano nell'Élite, sangue reale. Se così fosse, Noah non sarebbe l'unico possibile erede di Dramidia.»
«Bah» commentai per dissipare l'interesse di Louise. Ottenni solo di farla irritare.
«Ok, non crederci. Eppure, dopo tutto il putiferio dell'altra sera, la notizia è girata parecchio. Armi astratte, Guardiani che manipolano più elementi... la gente parla, Artemis.»
«Chi mette in giro queste scemenze?» disse Kikilia.
Louise fece spallucce e roteò gli occhi. «Naphi, suppongo.»
Alzai un sopracciglio.
«Supponi... Franz?»
Louise sbuffo infastidita e si sedette a terra a gambe incrociate.
«Si può sapere che ti ha fatto Franz?»
«Esiste.»
«Cosa altro dicono questi informatori?» chiese Kikilia, immersa in uno dei suoi ragionamenti complicati; dai quali ci stava come al solito escludendo.
«Che stia in combutta con un Guardiano.» Il cuore mi si strinse dolorosamente, smisi di respirare dall'ansia. «Ma, credo che semplicemente lo abbiano visto con noi, quella sera.» Sospirai e attirai l'attenzione di Kikilia.
Cercai di fingermi insoddisfatto del disegno che avevo davanti ma fu complicato. Lo schizzo di Noah mi faceva sorridere. Che brutto che mi aveva fatto.
«Certo, se Zach fosse quell'erede...»
«Sul serio, Louise?» Kikilia sbottò e io alzai lo sguardo verso di loro.
«Non lo so, sono voci. Tra l'altro Noah non si trova. C'è una taglia su di lui, ma nessuno ha voglia di avere a che fare con un principe di Knephas.»
«Chissà perché» aggiunsi.
«Secondo voi perché scappa?» chiese Louise.
«Non lo so, forse è solo un burattino di Aramis, stanco di essere manipolato.» Le parole mi uscirono senza pensarci. Sperai solo che non mi chiedessero di più. Manipolato. Noah aveva vissuto un'intera vita in balia di Eurias e della Corte, forse dovevo credergli quando mi diceva di non essere in grado di farlo con me.
«È come se non fosse mai uscito da casa sua, come se fosse stato prigioniero per tutti questi trecento anni. Era spaesato quella sera, e totalmente fuori controllo» disse Lou, rigirandosi la paletta tra le dita.
Fuori controllo, come ieri sera.
«Forse potremmo farlo ragionare» disse Kikilia.
«Se solo riuscissimo a trovarlo» rispose Louise. Le mani mi sudavano dal nervoso. Cercai di sdrammatizzare.
«Siamo sicuri che Clodia non ci abbia riempito i vasi di microspie?»
«Se così fosse, saremmo già nelle segrete del palazzo da una decina di minuti» disse Lou.
«Pensi che Antares e Clodia sappiano di questo possibile erede della Corte infiltrato nell'Élite?» chiese Kikilia. Non mi ero mai posto questo problema prima di quel momento. Kikilia si accarezzò la treccia castana e Louise rispose.
«Sicuramente, sanno tutto. Forse per questo sono così severi, specie quando si tratta delle stranezze di Zach o Artemis.»
«Non sono stranezze, quelle di Zach» ribatté Kikilia, piccata.
Alzai lo sguardo dal foglio e fissai Louise.
«E io cosa c'entro?»
I suoi occhi si addolcirono, come per indorarmi la pillola che avrebbe sganciato a breve.
«Beh, non hai un percorso normale.»
Affilai gli occhi e continuai a fissarla.
«Definisci normale.»
«Non sai usare il tuo dono e non hai il bonding, Artemis» disse Kikilia con una nota di soddisfazione. Chiusi l'album e lo strinsi sulle mie ginocchia per sfogare la tensione. Serrai le labbra e la guardai.
«Neanche Louise ce l'ha... e cosa c'entra con Knephas?»
«Forse nulla, ma non è cosa normale per un Discendente.»
I suoi occhi grigi facevano trapelare un certo dubbio, o forse desiderio. Quello che per una volta fossi io a essere sospettato, al posto di Zach. Ma non ero io quello strano. Almeno non quanto lui.
«Non lo è nemmeno creare archi infuocati e volare come Peter Pan.»
«Non stiamo dicendo nulla, Artemis. Non pensiamo mica che tu sia quell'erede» disse Louise. Kikilia tacque.
«Ci mancherebbe.»
«Direi di non aggiornare l'Élite su questi rumor» disse Kikilia.
«Sono d'accordo.» Rivolsi uno sguardo a Louise, in cerca di un feedback.
«Scherzi? Se sanno che ancora frequento il Mandy's mi spediscono in qualche Divisione sperduta.»
«Louise, dobbiamo trovare Noah» disse Kikilia, e io sbiancai. «O Eurias.» Mi mancò l'aria.
«Oh no, Eurias? Sei pazza? È il leader dei Cavalieri. È un suicidio.»
Ringraziai Louise per non aver ancora perso totalmente il senno.
«Sai dove è?» continuò Kikilia. Mi chiesi cosa stesse elaborando in quel suo cervello malato.
Louise esitò, poi parlò. «Miss Ray, forse... non lo so.»
Il suo cellulare squillò e colse l'occasione per togliersi da quella conversazione scomoda. Appena si allontanò mi alzai e mi avvicinai a Kikilia.
«Non vorrai sul serio andare a cercare Eurias...»
I suoi occhi erano severi e calmi.
«Fai il finto tonto?»
«Ovvero?» Dentro di me mi sentivo morire. Pregai che non sapesse di me e Noah, del nostro piano, dei nostri... disastri.
«Ci hai venduti, vero? Vi siete studiato tutto, tu e la tua amante. Per toglierti dal toto erede hai pensato di mandare Nathan in pasto ai Cavalieri.»
Per un momento mi si alleggerì il nodo allo stomaco.
«Tu sei pazza. Pazza e paranoica.»
«No, tu lo sei. E sei anche falso, ma questo lo sapevamo già, Blackwood.» Dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non inveire contro Kikilia. Mi serviva la loro fiducia, mi serviva. Mi serviva e basta.
«Ti assicuro che non è così.»
Lei abbozzò un sorriso beffardo e guardò in alto.
«Siamo tutti in pericolo ora, Artemis. Per il tuo solito egoismo.»
«Ti stai inventando tutto.»
«Mi sono persa un pezzo?» Louise sbucò dietro le mie spalle. La sua espressione a metà tra lo spaesato e l'incuriosito. Il mio telefono squillò e sul display apparve un'immagine di Athos in tutto il suo felino splendore.
Meg
«Parli del diavolo...» fece Kikilia.
«Scusate.» Mi allontanai di qualche metro e risposi. Meg non era solita chiamarmi durante il giorno, a dire il vero non era solita chiamarmi affatto.
«Artemis.»
«Meg, Cosa è successo?»
«Dimmi che stai bene.» La sua voce era sconvolta.
«Sto bene, ma... Cielo, che cosa hai?»
«L'hotel Palace, i Cavalieri hanno fatto una strage. Non devi farti vedere qui, Artemis. La Corte non cerca solo Noah.»
Il sangue mi si gelò nelle vene. Noah. La mia lingua stava per chiedere se si avessero sue notizie, ma il buon senso mi disse di non nominarlo. Deglutii con il cuore in corsa nel mio petto.
«Lo so. Louise mi ha informato, ma non sono io quello che stanno cercando.» Meg non rispose, e il suo silenzio mi inquietò. «Non ci vado. Tranquilla, non vado al Mandy's da parecchio. È tutto a posto, Meg. Tienimi aggiornato se sai qualcosa.»
«Va bene, ma stai attento.»
«Non preoccuparti, a dopo.»
Mi ritrovai gli occhi verdi di Louise intenti a fissarmi.
«Che cosa è successo?»
Raccolsi le mie cose in fretta e furia, le mani mi tremavano. Avevo paura. Non sapevo nemmeno cosa fosse accaduto. Cosa fosse accaduto a lui.
«Devo andare.»
Louise mi afferrò per un braccio.
«Da solo non vai da nessuna parte.»
«Che è successo?» chiese Kikilia.
«L'hotel Palace. È stato ridotto a un set da film horror. Eurias non ne ha risparmiato uno.»
Louise lasciò la presa sul mio braccio e si tolse il grembiule.
Kikilia prese la sua borsa.
«Vado a chiamare gli altri. Voi intanto andate.»
«Andiamo a vedere» disse Louise.
«No, qualcuno deve avvertire l'Élite o ci troveremo ancora nei guai. Va da Clodia, spiegale che stiamo andando lì.»
«Non andare solo.»
Eppure era quello che volevo fare. Avevo poco tempo per assicurarmi che non fosse accaduto nulla a Noah, Il Perfettissimo e la sua banda mi avrebbero raggiunto a breve sul posto. Louise mi rimproverò con gli occhi.
«Tranquilla, starò attento. Tu controlla Shawline, teletrasportati con lui e i gemelli. Ci vediamo lì.»
Non le diedi il tempo di replicare che già ero sparito.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top