Capitolo 2 - Noah
Accusatore, seduttore, distruttore. I prigionieri della Corte lo chiamavano angelo della morte, e qualcuno diceva che fosse capace di strappare via l'anima a un uomo con un solo sguardo. Era divertente sentire i racconti degli abitanti dell'Altrove su mio padre. Avevano costruito un'intera cultura mischiando la loro realtà con quella di Knephas e Kiridia; le loro storie ci regalavano un'aura di divino terrore. Se Aramis per loro era Lucifero, condannato all'oblio dalla lama brillante di Gloriosa, Eurias era sicuramente definito come un angelo caduto. I suoi capelli brillavano d'oro brunito, come se si fosse lasciato scorrere addosso il metallo fuso dei cancelli del paradiso. Cosa che sarebbe stata anche plausibile, a giudicare dal fuoco crepitante che scaldava i suoi occhi. Era spietato, con gli altri e con se stesso, ma lui faceva in modo che nessuno, tranne me, potesse percepirlo. Riusciva a essere chiunque in qualunque momento, e spiarlo era uno dei miei passatempi preferiti, dopo l'ubriacarmi dei libri dell'Altrove.
La smisi di galleggiare in aria e, con estrema cautela, mi appollaiai su una delle travi più alte del soffitto. Osservare la vita di Eurias aveva anche una sua utilità: cercare di depennare le domande che affollavano le pagine del taccuino tra le mie mani.
Quando uscirò?
Chi è a produrre quella musica che ogni tanto si sente dalla finestra?
Strinsi i denti nel realizzare che nessuno di quei punti aveva ancora trovato risposta, né tra le leggende dell'Altrove, né nelle conversazioni di Eurias.
Perché ho gli occhi viola?
Grazie alle solite chiacchiere tra lui e uno dei suoi Cavalieri, almeno una cosa era stata depennata già da un po'.
I knephaniani nascevano con gli occhi completamente neri, due pozze di buio che rendevano difficile il mimetizzarsi tra le altre creature. Proprio per questo i più potenti, come Eurias, imparavano fin da bambini a cambiarne le fattezze e a renderli più simili a quelli dei baphtias e degli umani, ma i miei erano tutto fuorché simili a quelli degli altri... erano viola. Secondo lui i miei poteri mi avevano concesso non solo di camuffare questo tratto distintivo già dalla nascita, ma anche di scegliere un colore che avrebbe avuto molto ascendente sui nostri nemici: i baphtias. Come alcuni predatori che usano il colore per ammaliare le proprie prede. Lo trovavo inquietante, ma in un certo senso anche affascinante.
Che cosa ho di speciale?
Anche questa domanda era stata depennata, ma in realtà qualche dubbio ancora aleggiava. Sarei stato l'unico re che un giorno avrebbe riunito i due regni di Knephas e Kiridia in uno solo: il mio. Poteva essere anche eccitante come prospettiva, ma a volte mi chiedevo se quella storia fosse reale o se avrei passato il resto dell'eternità chiuso in quelle quattro mura. Mio padre si sarebbe svegliato a breve... avrebbe accettato di farsi da parte per farmi regnare in futuro?
Quando uscirò? Era la vera domanda a cui cercavo risposta. Chiusi il taccuino e lo misi in tasca, con l'amaro in bocca guardai il faad shadari che circondava il braccio di Eurias, immaginai di essere adulto e di avere finalmente al mio polso quella serpe d'oro. Solo l'idea di accarezzarla e il mio cuore avvampò di una sensazione che avevo finalmente definito come rabbia e desiderio di vendetta. Era la stessa emozione intensa che mi provocavano i frammenti di ricordi che Eurias mi aveva trasmesso: la visione di mia madre uccisa senza pietà da una baphtias.
Bruciavo dentro, bruciavo di odio. Avrei incenerito quei marchi scintillanti sulla loro pelle, quelli dei Discendenti e del Bonding, tanto lentamente da fargli desiderare il cosiddetto inferno degli umani come unica fonte di sollievo.
Sbattei le palpebre diverse volte per non vedere più il sangue di mia madre, strinsi forte i denti e serrai le dita intorno alla trave di metallo che mi sosteneva sull'altissimo soffitto della sala del trono. Dovevo smetterla di perdermi in certi pensieri, o avrei rischiato di perdere il controllo dei miei poteri e farmi scoprire.
Un'altra immagine dell'omicidio di mia madre mi si dipinse in testa e un tonfo scosse il pavimento. Il boato si placò tra una nube di detriti, resa ancora più evidente dalla luce debole e rosata che proveniva dal pavimento. Ci misi un paio di secondi a capire che per la rabbia avevo fuso parte della trave con i miei poteri. Osservai senza fiato la distesa di talios sfregiata da un'enorme ragnatela di crepe scure.
Guai. Stavolta sarebbero stati guai grossi.
Rimasi a fluttuare a mezz'aria, con le dita a stringere il nulla, bloccato dalla paura di venire scoperto. Mi ero reso invisibile plasmando la luce, ma sapevo che il mio cuore stava battendo troppo ferocemente per sfuggire all'udito affilato di Eurias.
«Noah!» La sua voce mi ferì le orecchie, mentre a un suo cenno la ragazza al suo cospetto perdeva i sensi e cadeva a terra con un tonfo sordo. «In cella, subito.» Tra le sue mani si materializzò la catena magica dei miei incubi. «Più tempo ci metterai a palesarti e tanto più lungo sarà il tuo soggiorno.» Era passato solo un giorno dall'ultima gita in prigione, non ne avrei sopportata un'altra. Persi quota, abbastanza da poter incrociare lo sguardo di Eurias, ma non tanto da permettergli di acciuffarmi. Lui, per fortuna, non poteva volare. «Stavi spiando.» I suoi occhi castani mi fissarono immobili e taglienti. La linea nera che li decorava sulla palpebra era come un rasoio. Avevo provato a farmela molte volte, ma con scarso successo.
«Solo pochi minuti. Scusa.» Mi avvicinai alla ragazza svenuta. «I libri non mi bastano più, ho bisogno di vedere con i miei occhi tutto questo.» Le scostai una ciocca di capelli color rame. I suoi lineamenti erano regolari e armoniosi e guardarla mi fece scattare qualcosa dentro. La sua pelle diafana si confondeva con la mia in un modo perfetto e i suoi ricci mi provocavano un dolore sordo nel petto; come ogni cosa che mi ricordava l'assassina di mia madre: Medina. Era bastata quella visione maledetta a scolpire ogni suo dettaglio nella mia mente.
«Lo vedrai, prima o poi.»
«Ho già dodici anni...»
Eurias ridacchiò e la rabbia mi fece bruciare il sangue.
«Vuoi che io diventi invincibile, ma non posso esserlo senza conoscere i miei nemici. Devo sapere cosa mi troverò davanti per poterli distruggere. Devo sapere quanto sarò potente in altri mondi. Potrei non avere nemmeno l'ombra della mia energia nell'Altrove. L'ho letto in biblioteca, quando pensavi di dirmelo?» Lo fissai senza nemmeno sbattere le palpebre. «Devo sapere, Eurias.» Il suo viso non fece una piega, rimase in quella sua espressione distesa e indifferente. «Ti prego, lasciami andare, non riesco più a gestire la mia forza. Non volevo distruggere la trave, non sono riuscito a controllarmi. Sento troppa rabbia dentro di me, allenarmi qui dentro non mi basta più.» Eurias rivolse gli occhi al soffitto e si tolse della polvere grigiastra dal braccio lasciato scoperto dall'abito. La sua totale calma e noncuranza nei miei confronti mi stava consumando. «Mio padre si sta svegliando, è il momento giusto. Sono stato io a renderlo possibile, con la mia energia.» Socchiusi gli occhi e mi avvicinai ancora di un passo. «Me lo devi.» La rabbia mi faceva bruciare i palmi e ogni parte di me desiderava liberare quel potere che mi formicolava dentro. Liberarlo in una maniera distruttiva e incontrollata. Per un istante il volto di Eurias fu solcato da un sorriso di profonda soddisfazione, poi tornò in quel suo bozzolo di indifferenza, quello che mi pregava di togliermi di mezzo. «Sono pronto.»
«Non puoi uscire di qui, ne abbiamo già parlato.» Iniziò a giocherellare con uno degli intarsi del trono su cui era elegantemente seduto.
Illegittimamente.
«Perché? Dimmi, quale è la vera ragione per cui mi nascondete? Non è per difendermi, non più. Sono molto più potente di chiunque sia mai entrato qui dentro; potrei distruggere la regina dell'Est, l'Aklèimas dei Guardiani, e —»
«Me? Anche me?» Eurias mi interruppe con sguardo gelido. «Sei solo un ragazzino.» Unico segno della sua rabbia fu il luccichio inquietante che illuminò gli occhi del serpente d'oro al suo braccio. Il Cavaliere si passò le dita ingioiellate tra i capelli, e accavallò una gamba. «Attaccami. Forza, Noah, distruggimi.»
Distruggi qualcosa di indistruttibile, questo mi dicevano i suoi occhi.
Distruggimi mentre mi aggiusto i capelli, rilassato sul trono che forse non ti meriterai mai.
Non avrei dovuto farlo, era uno dei suoi tranelli per mettermi alla prova, ma nelle vene il sangue mi bruciava così tanto da darmi la convinzione di potercela fare. Strinsi i pugni e poi scaricai su Eurias un'onda di energia tanto forte da farlo smaterializzare per qualche secondo. Giusto il tempo di immaginare il sapore della libertà, che la sua risata mi mozzò il fiato. Quella dissolta da me era stata solo una sua misera proiezione.
«È da questo che voglio difenderti.» Eurias mi indicò parte del colonnato, ormai ridotto a una massa indistinta di cristallo, metallo e pietra scura.
Ero così umiliato che stentai a non farmi soffocare dalle mie stesse ombre. Le trattenni a denti stretti come un mantello gelido e scuro dietro la schiena.
«Dal distruggere il palazzo?»
«Dalle emozioni violente che hai dentro. Sei forte e potente, ma finché non riuscirai a domarle farai sempre le scelte sbagliate. Non era questo il modo di battermi. I Cavalieri si sconfiggono con l'astuzia non con la forza.»
Ero stato così accecato dall'idea di aver messo fuori gioco Eurias, da non rendermi conto che mi aveva legato ai piedi la catena dei miei incubi. La forza di gravità pesava con ferocia su di me. La disperazione traboccò nella mia voce tremante.
«Mi avete sempre detto che ero quel principe, la creatura più perfetta mai creata. E allora perché ho questo difetto? Perché sento... tutte queste cose strane?»
Affondai il mio sguardo dritto dentro ai suoi occhi di fuoco e, per un momento, vidi un'emozione diversa da quella che Eurias aveva sempre nel guardarmi. Una crepa, che forse avrei potuto sfruttare. Durò un istante, poi tornò in sé. Un sorriso innocente sul suo viso etereo mi disorientò.
«Non è un difetto, Noah. Sarà la tua arma. Tu puoi ottenere tutto quello che vuoi dando alla gente quello che desidera, non lo vedi?» Guardai le catene ai miei piedi trattenendo rabbia e umiliazione. «Secondo te, per quale motivo chi ti vede rimane ammaliato? Perché la gente qui dentro non ha ancora rivelato la tua presenza a tutti? Nemmeno la regina dell'Est sa di te. Ti sei mai chiesto come ciò sia possibile?» Eurias mi strinse una spalla con dolcezza.
«Perché qui a palazzo mi hanno visto crescere, mi...» La voce mi si spezzò in gola come ogni volta che mi rendevo conto di poter provare qualcosa di diverso da rabbia e rancore, qualcosa che non riuscivo a vedere negli occhi che avevo davanti.
«Amano? Ti amano, Noah? È per questo?» Guardai a terra, indeciso se rimangiarmi tutto. «No, non è l'amore, e neanche la tua bellezza... è perché glielo hai chiesto tu. Non è un caso che tu non sappia nemmeno dargli un nome, quello che senti non ti appartiene; quell'emozione che ti scalda l'anima è solo un riflesso di quello che provano gli altri. E il bello è proprio questo: tu puoi farne ciò che vuoi.» Il ghiaccio mi glassò una guancia ed Eurias lo sciolse con una carezza. «Puoi controllare le loro emozioni, Noah. Puoi far sì che loro ti amino alla follia o che ti odino altrettanto facilmente. Puoi controllare le loro menti e forzarli a fare tutto quello che vuoi con il solo prezzo di un sorriso. Non dovrai distruggere nessun palazzo per diventare re di Knephas, al massimo spezzare qualche cuore. Non te ne rendi conto, e questa è la dimostrazione che non sei pronto. Sei ancora troppo giovane.»
Rimasi a fissare il pavimento, attonito. Tentai di giustificare il vuoto che mi squarciava il petto con quello che Eurias mi aveva appena confessato.
«Se riuscirò ad avere il completo controllo di chi mi circonda, mi lascerai uscire da qui? Mi lascerai studiare i baphtias e gli umani da vicino?»
«Certo, troverai i suoi discendenti e li ucciderai» disse lui, cavalcando i miei desideri di vendetta. Accarezzai l'anello di famiglia di mia madre con la mano destra. Era troppo grande per le mie piccole dita e penzolava appeso a una catenina al di sotto della seta grigia scura della mia giacca. Lo sentivo caldo e pesante sopra al mio petto. Mi chiesi se anche il sentimento che nutrivo per mia madre, pur ricordandomela appena, fosse solo un riflesso del suo affetto nei miei confronti, e quel peso svanì in confronto a quello che iniziò a pungolarmi il cuore.
Eurias mi afferrò per un braccio e mi costrinse a sedere sul trono, ancora caldo delle sue membra. Strinse forte la catena ai miei polsi, impedendomi anche l'uso delle mani. Sfoderò la spada che teneva al fianco destro, poi si chinò sulla ragazza svenuta. Le bisbiglio qualcosa e i suoi occhi si spalancarono. La giovane si alzò e mi rivolse uno sguardo predatorio.
«Uccidilo» disse Eurias, con quel tono di voce ipnotico che usava per soggiogare qualcuno. Avrei voluto dirgli che non lo meritava, che solo il figlio di Aramis avrebbe potuto attingere al potere di quel bracciale, ma la sua sicurezza era tale da farmi crescere dubbi perfino sul mio diritto al trono. Forse era davvero lui il degno erede di mio padre. La giovane afferrò la spada lucente che il Cavaliere le porgeva. Le profonde scanalature della lama creavano linee nette di luce e ombra specchiando parte dei suoi occhi assetati di sangue. Alzai lo sguardo dal riflesso alle sue pupille e rabbrividii.
Distruggi qualcosa di indistruttibile.
Ricordai lo sguardo di Eurias e lo feci mio. Un ghigno mi curvò le labbra. «Non posso morire, sono immortale e invulnerabile.»
«Farà male ugualmente, credimi.» Le parole di Eurias iniziarono a farmi fremere tra le catene.
La giovane venne verso di me con la spada immacolata e gli occhi iniettati di sangue. La lama si avvicinava al mio stomaco e i battiti del cuore mi rimbombavano in gola arpionando ogni mio respiro. Odiavo il fatto di non riuscire a controllarli.
Eurias si avvicinò a me. «Dille di fermarsi. Ordinale di fermarsi e di uccidersi.»
Guardai la ragazza negli occhi lottando per non farmi distrarre dall'aria spostata dalla lama, sempre più vicina a me.
«Fermati» la mia voce traballò.
«La devi soggiogare, Noah, non pregare. Devi manipolare le sue emozioni. Falle sentire il desiderio di salvarti!» La voce di Eurias mi rendeva ancora più nervoso. Le costole erano rovi ardenti che segregavano ogni mio respiro. «Non importa, domani mattina ti sveglierai sano e salvo di nuovo.»
Eurias si avviò verso l'uscita della sala e lasciò su un tavolo la chiave del lucchetto che mi imprigionava. La ragazza fece scorrere la punta della spada lungo il mio viso e poi si fermò posandosi nell'incavo del mio collo. Sudavo freddo e le mani tremavano ogni volta che il metallo affondava nella mia vena pulsante. Cercai di concentrarmi su quello che la ragazza stava provando e riuscii a percepire la sua smania di uccidere. Respirai e la guardai negli occhi, tentai di placare quella sua sensazione che mi stava contagiando di riflesso.
Desiderai che mi toccasse, e fu diverso dal solito volere. Fu un istinto incontrollabile. La giovane mi sfiorò una mano e io gliela strinsi. Percepii quella voglia di morte invadermi, colmarmi. Lentamente la spensi, soffocandola con la calma che cercavo di impormi; la sua espressione cambiò: la stavo controllando. Dovevo chiederle di salvarmi, dovevo fare solo questo.
«Calmati, non vuoi uccidermi. Io ti piaccio» dissi, con un filo di voce.
Vidi le pupille della giovane dilatarsi, poi sentii il suo cuore rallentare i battiti e calmare anche i miei. Improvvisamente non avevo più paura. Capii cosa si provava ad avere in pugno una persona.
«Fermati» le ribadii, ma lei già aveva rilassato i muscoli. La spada le scivolò lungo i fianchi e s'infranse sul cristallo crepato del pavimento. Nei miei pensieri ero terrorizzato, ma in realtà il mio corpo non lo era, provavo quello che provava lei: calma e fiducia.
Le sorrisi e la ragazza mi accarezzò il viso con dolcezza. Era giovane, ma comunque con il doppio dei miei anni; il suo tocco mi piaceva, ma mi creava disagio. Era la prima volta che vedevo una ragazza da così vicino. Era la prima volta che qualcuno del mondo esterno mi toccava.
Mi concentrai sulle sue emozioni e le feci mie, cancellai ogni traccia di tensione e di paura dalla mia testa. La sua tenerezza e fiducia nei miei confronti mi fecero dimenticare che fossi io a imporre al suo cuore di provare quelle cose. Era spaventoso, ma bello. La cosa più bella che mi era mai capitata.
«Puoi prendere la chiave e liberarmi?» Lei mi sorrise in un modo così luminoso da farmi immaginare per un istante di essere baciato da Zafir e Ramis. Mi accarezzò i capelli e poi si rigirò una mia onda corvina tra le dita. La ragazza andò a prendere la chiave, e con gesti delicati e misurati mi liberò dalle catene. Le presi la mano e poi la fissai. «Dimentica tutto e va via»
Lei mi guardò sorpresa. «Io non posso dimenticarti.»
La sua voce mi accartocciò lo stomaco.
Dove l'avevo già sentita?
«Non ci riesci vero?» Girai lo sguardo ed Eurias si materializzò di nuovo accanto a me. Mi sforzai e guardai la ragazza più intensamente, mentre la paura iniziava ad accelerare i battiti del mio cuore. «Uccidila» disse lui. Io mi staccai da terra e mi alzai abbastanza da prendere il viso della donna tra le mani. Poi la guardai.
«Dimentica, dimentica che esisto.» Lei non faceva che accarezzarmi, preoccupata. Non volevo ucciderla.
«Non puoi farlo, non sei ancora abbastanza potente da cancellare la memoria di un Guardiano, ma un giorno lo sarai» disse Eurias sorridendo. Si avvicinò a lei e da dietro le scostò i capelli per posarle un bacio sul collo. La giovane lo lasciò fare e sorrise. Uno strano brivido mi arrovellò le viscere. Vidi il marchio del Bonding emergere proprio in quel punto, macchiando d'oro la sua pelle bianchissima. Ebbi un sussulto che mi fece perdere il controllo delle sue emozioni. La rabbia si impossessò di me e rividi il sangue di mia madre macchiare ogni cosa che avevo intorno. Quell'impeto pervase l'anima della fata e accese i suoi occhi di furia omicida. La mia gola si ritrovò stretta dalla catena della punizione in un istante. Stringeva così forte da non riuscire a far giungere più aria ai miei polmoni. Ero in trappola.
I miei poteri erano spenti, tranne l'empatia, che ormai non riuscivo più a comandare. La baphtias prese nuovamente la spada e la puntò al mio petto. Non c'era più alcuna tenerezza nei suoi occhi, mi avrebbe trafitto da un momento all'altro.
«Uccidila» disse Eurias.
In preda alla paura ripetei quel concetto nella mia testa.
Ucciditi
Ucciditi.
Mi aggrappai forte alla mano della baphtias e, prima di sentire le forze abbandonarmi, la catena al mio collo si allentò. Riuscii a respirare di nuovo.
Ucciditi
Ucciditi
La sua mano si alzò e le sue dita guidarono la lama scintillante della spada alla sua gola. La vidi tracciarsi una profonda ferita mentre mi guardava negli occhi. Il sangue iniziò a mescolarsi con l'oro del marchio poco sotto lo squarcio; mi diede la sensazione di respirare ossigeno puro. La baphtias si accasciò a terra in preda agli spasmi e io mi avvicinai. Non avrei mai pensato di provare una simile pace nel vedere qualcuno morire, e non avrei mai pensato di poter spingere qualcuno a uccidersi e non provare rimorso.
Cosa ero davvero? E cosa sarei stato in una di quelle leggende dell'Altrove? Un demone? Un mostro? Ogni respiro che la fata faceva tratteneva uno dei miei, ero impaziente di vederla morire. Volevo solo che soffrisse, nello stesso modo atroce che era stato riservato a mia madre.
Non mi serviva toccare il suo corpo per sentire i battiti deboli e veloci del suo cuore, ma non resistetti all'impulso di percepirlo fermarsi sotto le mie dita. Il suo sangue sotto le mie unghie mi scaldò un'ultima volta, poi il gelo mi avvolse. Solo in quel momento mi resi conto di essere tornato in me: il legame con le sue emozioni si era sciolto.
Quell'ansia e quella fretta che avevo provato, erano le stesse che aveva percepito lei; e quella smania nel vederla morire, era stato il suo desiderio di uccidermi. Mi chiesi se fosse vero, allora, che nessun sentimento mi apparteneva davvero; o se fossi solo ancora non abbastanza esperto da riuscire a separarli. Rimasi a fissare il vuoto, mentre Eurias mi si avvicinava. Il suo sorriso di approvazione mi solleticava la schiena come una pacca affettuosa.
«Non sei pronto per regnare, ma sei pronto per uccidere.»
Eurias raccolse del sangue della baphtias in una provetta e i nostri occhi si incrociarono.
Ero pronto per la Tempra, ero pronto per mischiare il mio sangue a quello della mia prima vittima e forgiare quella che sarebbe stata la mia spada per l'eternità. Ero pronto per il faad shadari che mi spettava. Attendevo questo momento da sempre, eppure un vuoto stava divorando tutta quella pace che mi aveva dato uccidere una Guardiana. Ero sconvolto al punto tale da non riuscire a godermi quell'istante. Volevo indietro quel sollievo di vedere un baphtias morire. Mi avevano strappato mia madre in quel modo crudele, senza senso né rimorso; avevano imprigionato mio padre in un sonno senza tempo e diviso il mio regno, indebolendolo. Dovevano soffrire, dovevano morire.
«Moriranno tutti, uno a uno» dissi, mentre il ghiaccio mi rivestiva le braccia come polvere di diamanti.
«Con calma, principe. Conserva questa rabbia per quando immergerai la tua spada nella Fonte. Farete grandi cose insieme.»
Affondai i denti nelle labbra, e mi resi conto che vendetta e giustizia avevano lo stesso sapore del sangue.
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