Capitolo 18 - Artemis
L'orribile sveglia a forma di hamburger lampeggiò di una luce gialla e verde per tre volte. Una per ogni ora trascorsa dalla mezzanotte. Una cosa stupida, visto che in tarda serata finiva per trasformare il comodino in una discoteca; eppure quell'orologio non smetteva di piacermi. Era kitsch, ma era stato il primo oggetto che avevo messo in valigia, quando mi avevano spedito nella Divisione 7. Forse anche prima dell'album e delle matite.
Solo un'ora e mi sarei dovuto incontrare con Noah per fare il punto della situazione, l'unico momento in cui i gemelli e il Perfettissimo chiudevano occhio. Ma l'ultima cosa di cui avevo voglia, era proprio commentare con il principe il disastroso incontro con Marxalia Ray.
Mi ero alzato urlando, le avevo strappato dalle mani la ciotola di datteri come un pazzo isterico. Una paura incontrollabile mi aveva pervaso all'improvviso. Senza respiro, impotente e in preda al panico: così mi ero sentito, prima che la rabbia prendesse il sopravvento. Era opera di Noah, non c'era dubbio. Per tutta la serata ero stato in balia di una giostra di sensazioni che mi aveva destabilizzato. Spesso le parole mi erano sfuggite dalle labbra senza controllo. Una curiosità impellente mi aveva investito, quella di Noah, ovvio. Essere consapevoli di perdere l'arbitrio di se stessi era stata un'esperienza traumatica.
La sveglia aveva smesso di illuminarsi già da un pezzo, eppure non riuscivo a staccare lo sguardo da quel punto del comodino. Il verde dell'insalata mi segnava ancora il campo visivo. Non volevo mai più provare una cosa come quella di poche ore prima, non avrei mai più accettato di essere il burattino di uno sporco knephaniano.
Un'altalena di emozioni, questo ero per Noah. Un gioco, una giostra da manipolare per suo divertimento. Non volevo esserlo.
Meg aveva ragione, avrei dovuto stare alla larga dal principe. Non mi aveva spiegato molto, Eileen non mi aveva lasciato un momento per appartarmi con lei ed estorcerle qualche segreto su Noah, ma prima di andare via me lo aveva ripetuto ancora: il principe è pericoloso. Stai lontano da lui.
Lo era davvero.
Stare accanto a Noah era rinunciare alla propria libertà, e più ci pensavo più mi convincevo che quell'attrazione fatale nei suoi confronti fosse uno dei suoi artefici per tenermi in pugno. Ma continuavo a sentirla, mi attanagliava lo stomaco anche quando era lontano.
Scostai la montagna di coperte accanto a me e tirai fuori il blocco da disegno. Puntai la luce da lettura, penzolante dalla testiera del letto, dritta sull'ultima serie di schizzi abbozzati con matita sanguigna. Ciglia lunghe, soffici onde, labbra curvate quel tanto da farti impazzire per non poterle mordere: eppure non bastava a rendere giustizia alla bellezza di Noah. Lo sguardo, quello stonava; gli zigomi, non erano i suoi.
Nathan. Somigliava sempre a Nathan.
Un respiro mi si bloccò in gola al pensiero che fossi riuscito a evitarmi l'imbarazzo di spiegargli che non avrei mai potuto trasformarmi in nessuno. Nessuno oltre Fabian Ashtide. Un segreto che conosceva solo Louise.
Odiavo Nathan. Lo disprezzavo così tanto che avevo preso l'abitudine di appuntare sul cellulare tutti i motivi validi per non smettere di provare rancore nei suoi confronti. Lo presi dal comodino e aprii le note per aggiungere due voci nuove alla lista:
-Mi rende stupido e debole agli occhi di Noah.
-Non mi fa disegnare bene Noah.
Le appuntai giusto dopo:
-Ha scopato il Perfettissimo.
Che in realtà avrebbe dovuto essere ha scopato il Perfettissimo davanti al canotto di Barbie di Louise, ma mi era sembrata una scusa troppo stupida. Era inutile fingere anche con me stesso. Il fatto di essersi scopato il suo Legato, il fatto che Nathan ne fosse follemente innamorato, era già una colpa che non sarei mai riuscito a perdonargli. Cosa che Noah riusciva a sbattermi in faccia almeno una volta ogni quattro frasi. Feci per tornare agli schizzi, ma mi venne alla mente un altro motivo per odiare Nathan.
-Potrebbe essere un principe di Knephas.
Se lui fosse stato un membro della Corte, Zach ed Eileen sarebbero usciti subito dalla linea di successione. Il trono sarebbe arrivato a me per diritto; senza obiezioni, senza problemi, senza dubbi. Forse, più che per odiarlo, quello era un motivo per amare Fabian. Allora perché avvertivo quel buco allo stomaco?
Avrei dovuto informare l'Élite; una parte di me avrebbe voluto farlo, e vedere rivolta verso di lui e i suoi Legati la stessa delusione che avevo sempre percepito nei miei confronti. Ma se fosse stato solo un abbaglio, avrei fatto la più grande figuraccia nella storia del Parlamento. Dovevo aspettare e continuare a indagare su Noah. Era necessario che io rimanessi accanto al principe, anche se solo l'idea di ritrovarmi in balia del suo volere mi mozzava il respiro.
Sfogliai le pagine e tornai al foglio degli schizzi, continuai un suo ritratto. Volevo imprimere su carta quel suo sorriso appena accennato. Le labbra gli si curvavano quel tanto da disegnare un lieve incavo sulla guancia destra e i suoi occhi si accendevano di un qualcosa di stupendo. Non riuscivo a tracciare neanche una curva di quella grazia, nonostante nella mia mente fosse una Polaroid indelebile.
Meglio così, devi scordarlo.
Tentai per l'ultima volta di riprodurre quella fossetta, ma venne fuori identica a quelle che si formavano sulle guance di Nathan quando rideva.
Gli occhi mi bruciarono di lacrime. Non ne potevo più. Odiare qualcuno in silenzio era un'ustione lenta e dolorosa. Ogni parte di me ardeva e si consumava a ogni respiro che non riuscivo a fare. Fuori ero intatto ma dentro a brandelli e, nella mia testa, Noah stava diventando sempre più quella cosa che mi avrebbe annientato una volta per tutte. Il colpo di grazia.
Stagli lontano.
Avrei dovuto avviarmi per incontrarlo a Brandenburger Tor. Ci legava un patto di sangue, dovevo andare. Ancora peggio: volevo vederlo. Mi stava distruggendo, deviando, usando... Valutai l'idea di iniziare una lista del disprezzo anche per lui, ma forse non avrei trovato le parole.
Mi alzai e mi appoggiai al comò di fronte al letto. Mi specchiai e vidi un ragazzo spaventato, fragile, sgraziato. Sgraziato non così tanto, non rispetto agli umani, almeno. Tra di loro finivo sempre per spiccare, e questa cosa mi rendeva ancora più spezzato. Neanche tra di loro mi sarei mai sentito a casa. Sarei sempre stato diverso.
La mia esistenza era un continuo sentirmi sbagliato e fuori posto, ma senza avere il diritto di farlo. Ero un Guardiano: più affascinante, forte e abile della maggioranza della popolazione terrestre, ma non lo ero del tutto; avrei solo dovuto esserlo. In realtà ero solo l'ombra del Discendente che l'Élite desiderava. Ero solo Artemis, manipolatore che non sa cambiare forma a nulla, che non riesce a trasformarsi in nessun altro oltre la sua cotta storica; un ritrattista che non riesce a riprodurre un sorriso che ormai ha impresso nell'anima da giorni; un Guardiano che vorrebbe solo svegliarsi umano e scoprire di aver vissuto un sogno bizzarro fatto di tatuaggi metallici e poteri magici. Ma non era un sogno.
Odiavo la mia natura, eppure l'unico modo che avevo per sopravvivere era quello di cercare di apparire perfetto. Mentivo sul fatto di sapermi trasformare, esprimevo il desiderio di prendermi il trono, anche se con l'inganno. E se mi fossi davvero ritrovato con un diadema in testa?
Per cosa combatti?
Lo avevo chiesto a Noah, ma io stesso non ero sicuro di avere una risposta valida. Per la rabbia? Probabile. Una cosa stupida, come quella di amare una sveglia che ti fa venire un mezzo infarto a ogni ora della notte, come quella di amar... Non pensarlo neanche.
I miei occhi si fecero blu nel mio riflesso, blu Ashtide. Solo pensare a lui mi faceva perdere il controllo. Non sarei riuscito a sopportare lo sguardo giudicante di Noah nel farmi vedere in quello stato. Respirai e li feci tornare di quel verde che mi rendeva più affascinante e sicuro di me.
Non voglio vederlo. Non voglio vederlo più.
Il verde virò di nuovo al blu e i miei occhi si riempirono di nuovo di lacrime.
Se non scoprirai l'assassino della madre di Louise, avrai fallito ancora. Misi le mani tra i capelli. Meg, forse posso andare da lei e farmi mordere. Solo stanotte. Pericoloso, sarei stato ancora più vulnerabile alle doti di Noah.
Un volantino poggiato sul legno della cassettiera mi capitò tra le dita. Un party di matricole dell'Universität der Kunste: perfetto.
Niente medium, niente Guardiani.
Aprii l'armadio e tirai fuori i pantaloni più grandi che avevo, poi strinsi forte la cinta e gettai via la mia giacca militare; indossai quella trafugata a Nathan.
Niente Noah.
Presi un biglietto e tracciai a penna un messaggio per Louise. Lo avrebbe letto la mattina seguente, nel caso non fossi tornato.
"Sto bene, torno presto."
Lo lasciai sul cuscino, poi mi avviai verso l'uscita. Mi accostai la giacca, ci ballavo dentro, ma solo pochi metri lontano dalla Divisione 7 e l'avrei riempita.
Niente Artemis, stanotte.
***
Mani tra i capelli, lingua tra i denti e un'ondata di calore; un brivido mi attraversò per intero subito dopo.
«Artemis.»
Le ciocche soffici di Nathan mi inglobarono le dita e, per quei dieci secondi di semi-incoscienza, mi innamorai del mondo.
«Ancora.»
Non importava se avessi gli occhi chiusi, avrei saputo descrivere quella tonalità di biondo alla perfezione anche solo immaginandola.
«Per l'ombra di Zafir!»
I solchi del suo addome erano una vertigine che prima o poi mi avrebbe fatto precipitare.
«L'hai fatto ancora!»
L'immagine di Zach senza veli, appollaiato sulla scala mi fece tornare alla realtà. Lasciai la presa dei capelli e strizzai le palpebre per il dolore del cuoio capelluto indolenzito; il sapore ferroso del sangue mi fece quasi imprecare. Quasi, perché non ne avevo le forze. Misi a fuoco l'immagine davanti a me, e il caschetto scuro di Lou fu la prima cosa che notai, dopo il buio rossastro della coperta che mi era stata strappata di dosso con violenza.
Non ebbi l'energia di emettere nulla di più evoluto di un gemito. Chissà se il fatto di risvegliarmi sempre con la lingua tra i denti e i capelli tra le dita, fosse un effetto collaterale del mutare in Nathan. Mi chiesi se lui si svegliasse in quel modo, se anche lui veniva scosso da quell'adrenalina nelle vene... da quella voglia, o altrimenti in quale... I vestiti mi s'incollarono addosso dall'eccitazione.
«Ok, riprenditi dal tuo sogno lucido e connetti il cervello, Artemis Blackwood.» Con i battiti frenetici nel petto, intercettai la figura informe di Lou sedersi accanto a me. La felpa gigante dei Lakers aveva una stoffa morbida e talmente abbondante da farla sembrare un gigantesco pouf color lavanda. O un Teletubbies. «Stai bene?»
Annuii; poco convinto. Strisciai tra le lenzuola, facendo ripetutamente leva sui fianchi, e mi sfilai i jeans sbottonati su cui mi ero strusciato per tutta la notte.
«Maledetti.» Li relegai con soddisfazione nell'oblio del fondo letto. Stringevano al cavallo, stringevano da tutte le parti e mi facevano impazzire. Sospirai di sollievo e cercai di attenuare la nausea che stava smorzando tutta la mia eccitazione.
Fissai Lou e i suoi occhi verdi con la morte nel cuore, un buco nero mi divorava all'altezza del petto. Pensai a quel disastro che ero, a quel codardo che, con la scusa di proteggere la sua migliore amica, stava tramando per acciuffare l'assassino di sua madre senza coinvolgerla. Al fatto che non ci sarei riuscito, perché ero debole. Vulnerabile al volere di quel dannato principe.
«No, non stai bene.»
Al fatto che ogni volta che sentivo quel buco nel cuore era sempre all'altezza del petto di Nathan, mai del mio. Non conoscevo più le fattezze del mio viso quando ero in preda al panico, finivo sempre per avere curve dolci e due occhi di zaffiro arrossati.
Lou mi accarezzò il viso e io mi accoccolai su un punto a caso di quel puff lavanda che avevo davanti. In tutto quel tepore, avvertii il suo cuore battere lento e i suoi addominali rilassarsi.
«Non sono stato da Meg. Niente morsi, solo alcol.»
«Lo so. Avresti la tavoletta del wc come corona già da un pezzo, altrimenti.» Percorse il mio profilo con un dito. Il profilo di Nathan. «Non potevi andare a ubriacarti nelle tue sembianze? Non puoi continuare a trasformarti in lui e a fare casini. Siamo tutti controllati ora, e Nathan non è certo un tipo poco appariscente.» Non risposi. «Non si tratta più di infangare il suo nome spacciandolo per un dongiovanni, Artemis. Qui la faccenda si sta facendo complicata. Sto limitando anche le mie missioni notturne.» Le lanciai uno sguardo contrariato, con le poche forze che riuscii a racimolare. «Non ho ucciso nessuno, tranquillo. Sto solo indagando» sussurrò.
Sospirai e rotolai via dal bozzolo di felpa lilla, finii con le spalle contro il materasso e gli occhi al soffitto. Lou si tirò su la felpa e si mise a cavalcioni su di me. Avrei voluto distogliere lo sguardo dal suo, ma non ci riuscivo. Lei era un appiglio, una boa di salvataggio, e io ero un palloncino da afferrare prima che venisse spazzato via.
I miei occhi si velarono di lacrime.
«Cazzo, Artemis, sei davvero a pezzi. Nathan ti prenderebbe a calci se vedesse i suoi capelli ridotti in quel modo.»
Accennai un sorriso più simile a un ghigno e presi la sua mano, me la strinsi al petto. Forte, come era il dolore che sentivo dentro e che non potevo far uscire. Il sorriso di Lou si fece mesto e con l'altra mano mi accarezzò la fronte portandomi indietro i capelli.
«Sono solo le solite cose. Mi passerà, come passa sempre.» Sulla lingua mi danzò un circo di parole che non avrei mai potuto far uscire in sua presenza. La storia di un principe di Knephas e di un Guardiano senza Legato che fanno un patto di sangue al chiaro di luna; mentre l'Élite implora ai Discendenti chiarezza e disciplina.
«No, non sono le solite cose. Hai gli occhi spezzati. Non ti ho mai visto così.»
Avrei dovuto incontrare Noah, forse avrei avuto in mano la verità su tua madre, se non fossi andato a fare baldoria. Volevo dire tutto a Louise, dividere questo fardello con lei, raccontarle di come mi ero sentito impotente e misero in preda alle emozioni di Noah. Non potevo. Non riuscivo a fare nulla, ma forse proteggerla era ancora nelle mie facoltà.
Deglutii e alzai gli occhi sopra la sua testa.
«Tutta questa situazione, quei tre che stanno insieme, e lui che sta anche con Kikilia... è troppo.» L'immagine di Zach appollaiato sulla scala dello stanzino, con le grazie in bella vista, non voleva lasciarmi. Mi fece disperare. Ancora di più il realizzare che mi ero svegliato stringendo i miei capelli in preda a una fantasia che non si sarebbe mai avverata. I miei capelli, ma indorati da una menzogna. L'unica che sapevo costruire ad arte.
«È per lo stanzino, vero? Non è un reato avere il cuore a pezzi, puoi dirlo.»
Noah. Il modo in cui mi aveva fatto sentire, in balia del suo volere. Come un guanto che si adatta ai suoi movimenti senza fiatare. Il suo giocherellare con la polsiera d'oro quando raccontava qualcosa, il sopracciglio destro che si curvava in alto per un istante quando mi prendeva in giro, il viola assassino del suo sguardo quando mi aveva quasi ucciso; il bruciore della ferita e il suo viso sofferente dal dolore che aveva risparmiato a me, la prima notte che ci eravamo visti. Le sue labbra sporche di miele e quel sorriso che non riuscivo a disegnare... Un fiume di immagini e sensazioni che mi stavano annientando; ingoiarono ogni altra voce intorno a me.
«Terra chiama Artemis.»
Lo stanzino.
«Non ci entrerò più lì dentro. Questo è sicuro» interruppi quel loop tossico di pensieri. Lou mi accarezzò il viso e si chinò fino a solleticarmi il naso con i capelli. Il suo profumo dolce mi fece calmare. La sua mano destra era quasi stritolata dalla mia, la lasciai distendersi sul mio petto e il mio cuore apparve all'improvviso appartenermi; era stato solo un peso morto nel petto nelle ultime ore. Lou mi asciugò una lacrima che mi aveva rigato il viso e sorrisi. «Il tuo canotto di Barbie ha assistito all'intera performance.»
La sua bocca si curvò all'insù.
«Non credere che questo basterà a farmi desistere dal portarlo in vacanza.» Il suo respiro mi scaldava le labbra; con le mani risalii lungo le sue cosce e feci scorrere le dita sui leggings fino al calore intenso dei glutei. Mi avvicinai di più. Le nostre labbra si sfiorarono appena, poi s'incontrarono. Chiusi gli occhi e ritrovai equilibrio addentrando le mani sotto la felpa dei Lakers. Pelle calda contro pelle calda.
«No. No. Così non ce la faccio.» Louise si staccò e io sbarrai gli occhi. Scese dai miei fianchi e si alzò in piedi. «Non posso baciarti così. Cazzo, Artemis, non posso baciare Nathan!» Restammo a guardarci. Non riuscivo a tornare in me, non volevo tornare in me. Era più semplice lasciare il dolore a quella menzogna che mi stava consumando. «Non puoi andare avanti così. Devi lasciarlo andare.» L'acido mi risalì per la gola. «Non per me, ma per te. Questo amore ti blocca, ti limita, ti uccide. Non è amore, è ossessione.»
Non è amore, no che non è amore. Ma non risposi.
Corsi in bagno e abbracciai la tazza del cesso. Vomitai così tanto da non riuscire a immaginare di avere tutto quello spazio nello stomaco. Tra il mulinello dello sciacquone che mi ruotava di fronte agli occhi, sentii bussare alla porta.
«Artemis! Sei vivo o possiamo considerare libera questa stanza da domani?» La voce irritante di Eileen mi fece accapponare le budella più di quanto già lo fossero. Mi riversai dentro la doccia e mi sciacquai faccia e bocca, senza alcuna cura di bagnare le onde di Nathan e renderle ingestibili.
Louise si affacciò al bagno.
«Ci penso io, ma tu torna in te.»
Senza successo, tentai quasi di affogarmi con l'acqua del doccino, poi mi sedetti accanto al water. Le ginocchia avevano lo stesso motivo finto legno delle mattonelle del pavimento, ma in un acceso rosso fuoco. La pelle di Nathan aveva la stessa sensibilità del culo di un neonato.
La porta batté tra il chiacchiericcio delle ragazze. Via libera.
Mi alzai e mi trascinai fuori dal bagno. Raggiunsi il letto a stento e poi mi ci buttai a peso morto. Tempo di sentire i muscoli allentare la morsa che un rumore mi fece accapponare la pelle. D'istinto afferrai le lenzuola e tentai di celare il mio segreto.
«Ben svegliata, Sua Altezza Del Disastro.»
Troppo tardi.
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