Capitolo 17 - Noah
Era strano, avere la libertà e non sapere cosa farne. Dopo giorni passati rinchiuso in hotel, impaurito dalla folla e dalla luce che avrei trovato all'alba, a notte fonda avevo optato per appollaiarmi su un albero di fronte a casa di Brianna. L'ombra mi avrebbe offerto riparo dalla luce accecante, senza però restare chiuso in una camera d'albergo. Per salire sul ramo più robusto avevo dovuto sperimentare l'orribile fatica di arrampicarmi e, una volta arrivato, mi ero subito chiesto se sarei riuscito a scendere senza strapparmi gli abiti. Avevo smesso di chiedermelo poco dopo, quando il libro di Hikmet mi aveva iniziato a rapire con i suoi versi.
Chiusi il libro e mi lasciai cullare dai colori dell'aurora che evidenziavano le sagome dei tetti e degli alberi all'orizzonte. Sfumature di azzurro e indaco che andavano man mano scaldandosi nel cielo. Nei libri che avevo letto, l'alba era sempre stata associata alla speranza e all'aspettativa di un nuovo giorno. Era una sensazione che noi knephaniani non conoscevamo; notte e giorno non erano poi così diversi.
Fissai l'orizzonte, ma non provai alcuna speranza, bensì paura. Mi sentivo sull'uscio di un futuro incerto, in un confine in cui voltarmi avrebbe significato solo trovare macerie e bugie.
Eurias aveva pensato a tutto, mi aveva illuso di avere il controllo di ogni cosa quando in realtà ero stato solo una marionetta nelle sue dita inanellate. La quiete della notte mi aveva fatto rendere conto di essere stato addestrato a sopravvivere in incognito a Kiridia, o sulla Terra, ma che non mi era stata data alcuna informazione su come trovare la fantomatica spada che avrebbe dovuto cambiarmi la vita.
Dramidia ti troverà, saprai dove cercarla quando sarà il momento, era sempre questa la risposta di Eurias alle mie domande. Mio padre aveva delegato tutto a lui; dopotutto, trecento anni d'assenza lo avevano reso un pesce fuor d'acqua.
Avrei potuto iniziare a cercare la spada a Kiridia, ma sarebbe stata una mossa troppo prevedibile per la Corte. Non volevo farmi trovare. Avevo bisogno di un complice, di qualcuno che mi aiutasse a mantenere la copertura e a trovare la Dramidia al più presto. Forse avrei potuto sfruttare il mio ascendente su Artemis e ingaggiare lui per la missione. Kiridia era "la sua patria", senza dubbio scalpitava all'idea di metterci piede. Con la sua abilità da mutaforma, quel baphtias, avrebbe potuto rivelarsi il compagno di ricerca ideale.
Il suono tintinnante delle stoviglie mi fecero puntare gli occhi sulla finestra della casa di Brianna, quella che dava sulla veranda. Quel rumore mi ricordò le mattine a Corte, il suono limpido delle tazze contro il lavandino mi creava sempre un tuffo al cuore.
Artemis e il suo sentimento forte per Fabian mi avevano fatto percepire una certa affinità con quello che avevo sempre provato verso Brianna. Il pensiero dei suoi sorrisi tra i corridoi del palazzo mi scaldava dentro, il constatare che non li avrei mai più rivisti mi serrava lo stomaco e rendeva tutto grigio e freddo nella mia anima. Una cosa simile a quando Artemis vedeva Fabian sorridere a Zachary.
Brianna uscì dalla porta, un maglione le scendeva morbido sulle spalle lasciandone una scoperta in modo molto sensuale. La sua treccia scura e voluminosa le si poggiava sulla pelle, meno candida del solito, morbida e costellata da piccole lentiggini dorate. Ebbi l'illusione di sentirle entrambe sotto le mie dita. La sua espressione era cambiata dall'ultima volta che l'avevo vista; e così il modo di acconciare i capelli, o i suoi abiti. La consapevolezza che il tempo l'avrebbe resa sempre più distante dalla Brianna che sgattaiolava nella mia camera di notte mi fece serrare le labbra.
Nostalgia, gelosia... come si chiamava quella sensazione sgradevole che mi impediva di respirare a pieni polmoni?
Brianna si sedette sugli scalini della veranda, il legno chiaro delle assi del pavimento era illuminato dal sole chiaro del mattino, le baciava i piedi e i polpacci scoperti come una patina d'oro. Stringeva tra le mani una tazza rosa, fumante di una scura e densa bevanda calda. Cioccolata, forse.
Avrei voluto andare da lei. Avrei voluto i suoi occhi nei miei e farle battere il cuore molto più forte di quanto lo stava facendo in quel momento nelle mie orecchie. Era strano quanto il mio fremesse a quell'idea.
Per lei non esisti. Forse non sei mai esistito.
Avrei potuto farle scordare ogni cosa. Avrei potuto anche lasciami conoscere e scoprire se davvero, quella sua attrazione per me, era stata solo un impulso artificiale creato per anni. Avrei.
Mi chiesi se Eurias avesse cominciato in quel modo il suo percorso verso la crudeltà più assoluta. Magari c'era stata una Brianna a illuderlo che, tutto sommato, abusare dei poteri da Haredias per cancellare la memoria fosse un peccatuccio trascurabile e di poco conto. Magari anche lui aveva provato qualcosa per quella persona, nonostante poi, quella pratica allucinante, fosse diventata il suo marchio di fabbrica per usare e molestare ogni creatura che catturava il suo interesse.
Tu, per cosa combatti?
Non lo sapevo ma, se ne avessi avuto facoltà, avrei voluto cancellare da Knephas tutte quelle pratiche violente, una volta diventato Haredias. E con i baphtias, come mi sarei comportato dopo la fine del patto? L'odio verso quella razza mi bruciava ancora dentro; eppure, riconoscere alcune mie caratteristiche in loro, in particolare in Artemis, mi dava un senso di pace. La grazia dei suoi movimenti era simile alla mia; e alcune sue emozioni non le avevo mai percepite in nessun knephaniano. Avevo fatto un patto di sangue con lui e me ne ero reso conto solo dopo, vedendo la sua ferita non guarire come avrebbe dovuto.
Io ero in parte baphtias, lo ero. Il mio popolo mi avrebbe accettato? Riunire Kiridia e Knephas sarebbe bastato a ripagarli dell'avere un sovrano con sangue sporco?
Era forse stupido anche chiederselo.
Era tutta colpa di quel Guardiano. Artemis. I dubbi che era in grado di farmi venire con ogni suo pensiero contorto e ridondante erano una perdita di tempo. Sei nato per regnare, sei nato per una spada leggendaria. È scontato che sia più che sufficiente per farti adulare dal popolo.
I miei pensieri volarono al sorriso diabolico di quel baphtias, quando mi aveva detto della lettera. Non ero riuscito a capire se fosse una bugia o meno: l'attrazione, mista a paura e imbarazzo, che provava nei miei confronti era sempre così forte da sovrastare ogni altro possibile indizio.
Quell'immagine nella mia testa mi aveva così tanto preso che non notai la veranda vuota. Brianna era andata via.
Mi feci coraggio e scesi giù nel perimetro del giardino. Tutto sommato con pochi danni, giusto qualche graffio sulle nocche. Mi resi invisibile e mi fermai nello stesso posto dove avevo visto Brianna poco prima. Mi crogiolai per un momento nel debole scricchiolio delle assi di legno sotto ai miei stivaletti. Il sole mi scaldò le mani e il viso con una carezza di luce. Colsi un paio di fiori azzurri dal vaso alla mia destra, poi ne presi uno viola e li posai in un mazzetto sul tappetino davanti alla porta d'ingresso.
Non ti scordar di me, era così che si chiamavano i fiori azzurri.
Io non ero Eurias. E da quel giorno sarebbe stato l'unico modo in cui glielo avrei detto.
***
Artemis si era rivelato più scaltro del previsto, al mio ritorno in hotel avevo trovato un biglietto in cui anticipava il nostro incontro. Aveva spinto i gemelli Ashtide e la loro combriccola a intraprendere le ricerche di Dramidia al posto nostro. In questo modo loro, indirettamente, avrebbero aiutato me a trovare informazioni; lui avrebbe guadagnato la loro fiducia, e avremmo potuto scoprire qualcosa di più sul presunto legame di Fabian con Knephas.
Essere la coscienza invisibile di Artemis era divertente, ancora di più commentare ogni sua reazione imbarazzante al cospetto dei gemelli.
«Hai avvertito Meg della nostra presenza, vero? Non vorrei che ti accogliesse troppo calorosamente.» Elinor ridacchiava mentre i suoi occhi canzonavano Artemis. Io camminavo accanto a lui, attento a non sfiorare nessuno per non farmi scoprire. Però abbastanza vicino da poterlo torturare un pochino.
«Lo sapevo, che eri uno di quelli che si fanno l'amante naphi per farsi mordere» dissi. Artemis fremeva per non rispondermi a tono. «Non puoi parlarmi. Sono invisibile, non ci sono.» Un sorriso soddisfatto mi si stampò in faccia. «Mi piace questa situazione tra di noi. Non sai quanto sia divertente vederti tacere e arrabbiarti.»
Il baphtias lanciò un'occhiata di fuoco verso la mia direzione e io sorrisi ancora di più. Riusciva a captare la mia posizione, e questo mi rassicurava sul fatto che almeno i suoi sensi funzionassero a dovere.
«Cosa vorrà in cambio Marxalia per le informazioni?» chiese Zachary. Non riuscivo a capacitarmi del potere che custodiva dentro di sé. Dietro quegli abiti aggressivi aveva un'aria delicata e posata, un viso pulito e innocente. Eppure era lo stesso che aveva sprigionato quell'energia incredibile in discoteca. Insospettabile.
«Ho portato un po' di chincaglierie trafugate in Divisione.» Tutti gli sguardi si posarono su Fabian.
«Il tuo Legato ruba nella Divisione di cui sei Responsabile, Shawline?»
Diedi subito una gomitata ad Artemis. «Devi ingraziarteli, non farti odiare più di quanto già facciano. E credimi, in quello sei un asso.»
Respirò profondamente. «Non serviranno cimeli da offrire, Nathan. Ci penseremo io e Louise a ripagarla.»
Eileen prese Artemis sottobraccio e puntò i suoi occhi blu su di lui. «Fate il lavoro sporco per lei, vero?» L'eccitazione nel suo sguardo era evidente. Artemis la guardò perplesso.
«Louise è brava a contrattare.»
«Allora perché non è con noi?» fece la fata castana, Kikilia.
Mi avvicinai ad Artemis e gli sussurrai all'orecchio.
«Lo scoprirà. Prima o poi lo scoprirà. Te lo avevo detto.» Lui sgranò gli occhi verso di me e dovetti trattenerlo dal parlarmi. «Ti è così difficile far finta che io non esista?»
Si rivolse a Kikilia. «Non era necessario che venisse. E dopo tutto quello che è uscito fuori, Clodia la tiene sempre impegnata per controllarla. Sarebbe stato pericoloso anche per noi.»
La preoccupazione di Artemis mi attanagliava lo stomaco. Non voleva che Louise sapesse di me, del fatto che stava indagando su Fabian e tessendo una tela perfetta che avrebbe potuto rivelarsi una trappola per i suoi amici, qualora sarebbe servito. Almeno queste erano le cose con cui aveva giustificato il suo stato d'animo prima di uscire, ma ero sicuro che non volesse dare a Louise false speranze, e coinvolgerla in qualcosa di pericoloso. Lei non si sarebbe fermata davanti a nulla pur di scoprire la verità su sua madre.
Zachary fissò la porta di ferro rossa che ci ritrovammo davanti, era nascosta sotto un ponte, in una zona di Berlino che Artemis mi aveva descritto come i resti di un vecchio aeroporto dismesso. Luogo ideale per un incontro riservato, un po' insolito come abitazione di una delle naphi più influenti d'Europa.
«Siamo arrivati.» Artemis bussò, e in pochi secondi la porta si aprì. Una donna bellissima ci accolse con un sorriso raggiante. Nonostante i canini appuntiti, il suo viso da bambola asiatica la rendeva deliziosa e affascinante. E l'abito rosso che indossava... wow.
«Hai gusto per le amanti, devo riconoscerlo. Credo sia coreana, giusto?» Artemis arrossì appena e finse indifferenza.
«Benvenuti, accomodatevi.»
«Ciao, Meg. Grazie per l'aiuto.»
La naphi ci fece entrare e un gatto bianco mi puntò.
«Di nulla, andate pure in salotto. Miss Ray vi sta aspettando» disse la naphi con gentilezza.
Non so come il felino potesse percepirmi, ma mi nascosi dietro Artemis, così vicino a lui da avere paura che sarebbe sobbalzato.
«Il gatto, mi vede. Non so perché, ma mi sta puntando.»
«Ma la smetti di parlare?»
«Non mi sentiranno, te l'ho già detto. So controllare le onde sonore. Piuttosto, smettila di interagire con me o ci scopriranno.» Indietreggiai, vedendo il gatto a poche decine di centimetri dalle mie caviglie.
Artemis sorrise e si affrettò a chinarsi verso la bestiola impedendole di strusciarsi su qualcosa di invisibile.
«Buonasera Athos, sbaglio o sei sempre più grasso?»
Il gatto chiuse i suoi occhi gialli e iniziò a fare le fusa.
«Ma che tenero!» disse Elinor, chinandosi a sua volta.
Megumi intercettò Zach, con uno sguardo che andava oltre la semplice gentilezza, e ci fece strada. Ancora appostato dietro Artemis, gli sussurrai all'orecchio.
«La tua amante sta sbavando sul tuo rivale in amore. Penso di non aver mai visto nessuno più sfortunato di te.»
Artemis lanciò una gomitata all'indietro che schivai per un pelo. I baphtias iniziarono a guardarsi intorno, incuriositi dall'estremo lusso di quella casa in mezzo al nulla.
I mobili erano pura bellezza settecentesca mescolata a pezzi dal design d'avanguardia. La luce soffusa era elegante ed esaltava le preziose tappezzerie in velluto dei divani e delle tende. Il color petrolio, decorato di porpora e oro, diventava prezioso sotto i tenui bagliori delle lampade stile Liberty. Sensualità, mistero, eleganza. La casa rispecchiava la prima impressione che avevo avuto di Megumi.
Prima che varcasse la porta del salone, Meg prese per un braccio Fabian e lo guardò negli occhi.
«Se fossi in te non racconterei nulla di quello che mi avete detto l'altra sera.» Avvertii il cuore di Fabian, già agitato, accelerare ancora dalla tensione. Un senso di impotenza e ansia mi attanagliò lo stomaco.
«Non diremo nulla, grazie.»
«Ora andate da lei.»
La naphi aspettò che gli altri lasciassero l'ingresso, poi accarezzò una ciocca dei lunghi capelli di Artemis e gli posò un bacio sulle labbra. I suoi occhi scuri erano preoccupati e sospettosi.
«Non posso farmi vedere al Mandy's per un po'. Il Parlamento ci pedina» disse il baphtias, poggiando le mani sui fianchi sottili della naphi.
«Non preoccuparti, dolcezza, ma dopo dobbiamo parlare.»
«Hai scoperto qualcosa?» chiese lui, sottovoce.
«No, dobbiamo parlare di te.»
Artemis la baciò ancora, poi si ricordò della mia presenza e lanciò una breve occhiataccia verso la mia direzione. Io mi appoggiai alla parete alla loro destra, braccia conserte e un sorriso divertito. Peccato che non potesse vederlo. Lo punzecchiai.
«Wow, dolcezza, quasi quasi resto anche per il dopo riunione. Se non ti dispiace. Sai, la televisione è troppo luminosa, mi dà il mal di testa, ma sta cominciando a venirmi a noia tutta questa tranquillità.»
Artemis fece un sorriso tirato, la naphi lo fissava come si guarda una cosa che sta per distruggersi da un momento all'altro.
«Voglio sapere cosa ti succede, Artemis.»
Il sorriso del baphtias si fece meno finto; accarezzò la guancia della naphi con dolcezza.
«Va tutto bene. Sto solo indagando su quella cosa che già sai.»
«Il 90% dei tuoi problemi è in questa stanza, in tua presenza. Stai combinando qualcosa di grosso.»
«Scusa, quale sarebbe il restante 10%?» Sbottò lui. Meg gli riservò uno sguardo severo. La preoccupazione nei suoi confronti era una coperta che mi pesava sulle spalle. Artemis abbassò lo sguardo.
«Quel principe ha quasi ucciso Louise, dobbiamo sapere cosa sta accadendo a Knephas. E io devo sapere se ha a che fare con la mia... ossessione.»
«Stai lontano dal principe Noah.»
Sentire il mio nome mi fece rabbrividire.
Artemis s'irrigidì. «Cosa sai di lui?» Mi avvicinai e gli afferrai un braccio; assorbii gran parte del suo disagio prima che la naphi potesse percepirlo. Artemis smise di respirare quando lo toccai. Lo stomaco mi si accartocciò. Guardò Megumi con insistenza mentre lei si avviava verso il salotto. «Insomma, Meg, cosa sai?»
«Dopo» rispose lei, tra i denti.
Entrambi la seguimmo in salotto. Artemis fece un mezzo inchino con il capo verso la medium, mentre Meg accostava le tende per creare più ombra. «Buonasera, Miss Ray.»
Non era un volto nuovo, ero sicura di averla vista almeno una volta a Corte, a colloquio con Eurias.
«Accomodati, Blackwood.»
Il bapthias si sedette su una sedia vuota, intorno al tavolo rotondo che occupava quasi metà del salone. Sembrava perfetto per una seduta spiritica o per qualche sacrificio umano in grande stile. Rimasi in piedi dietro Artemis; le mani sullo schienale in legno scuro della sedia, pronte a intervenire in caso di sue reazioni esagerate.
Marxalia Ray. Non avevo mai saputo il suo nome, ma le tante trecce che le percorrevano il cranio, come cordoni crespi e turchini, mi erano rimaste impresse. Artemis me l'aveva descritta come la medium più informata sulle dinamiche di Knephas, ma il suo aspetto da megera non m'ispirava grande fiducia. Occhi scuri, spenti e annoiati, incorniciati da zigomi tirati e sopracciglia sollevate da un'aria di superbia. Se lei era la mia chiave per Dramidia, forse avrei dovuto uccidere Artemis già al nostro primo incontro.
«Meg mi ha raccontato che l'Élite è molto preoccupata per quello che è successo al Mandy's Bordello. È per questo che siete qui, vero?»
Zachary prese la parola. «Sono sconvolti, ma loro non sanno nemmeno del nostro incontro. Abbiamo solo bisogno di capire.»
Marxalia prese una bottiglia di liquore e distribuì dei bicchieri ai baphtias. «Volete? Lo produciamo in famiglia.» I ragazzi annuirono mentre Artemis, l'unico rimasto senza bicchiere, fu interrotto dalla medium ancor prima di rispondere. «Non me ne volere, Blackwood, ma ho finito di sprecare il mio brandy con te. Dovresti ammettere a te stesso che sei astemio.»
Il Guardiano avvampò dall'imbarazzo e un sorriso mi si stampò sul viso.
«Che bravo principino, un vero Discendente modello» gli sussurrai all'orecchio. Artemis si morse la lingua dal fastidio. Abbassai lo sguardo e trovai gli occhi di Athos fissarci dal pavimento.
«Vieni, su.» Artemis afferrò il gatto e se lo mise in grembo. Rimasi per qualche secondo incantato dalle sue mani inanellate immerse in quella pelliccia bianca.
Quando alzai lo sguardo, Marxalia era seduta a sorseggiare brandy, poi iniziò a giocherellare con l'orlo dei polsini della sua camicia di seta, dello stesso colore dei melograni maturi che spesso giravano tra i beni importati nella Corte.
«Avete bisogno di capire, avete detto. Capire cosa, esattamente?»
«Aramis è ancora l'Haredias di Knephas?» chiese Elinor mentre si rigirava tra le dita il bicchiere, già mezzo vuoto.
«Certo che lo è.»
«Noah è suo figlio?» Marxalia guardò Megumi, in piedi e appoggiata con grazia alla console specchiata dietro di lei. Gli occhi blu di Elinor non la mollavano. «Sappiamo che è mezzo Guardiano.»
«Sì, il principe Noah è suo figlio» rispose Miss Ray.
I gemelli si scambiarono uno sguardo con Zachary, sembravano incerti su come procedere. Marxalia li scrutò scocciata, poi afferrò un dattero dalla preziosa ciotola in argento che aveva davanti sé. Per un momento mi sembrò di essere tornato a Corte, dove Eurias sbocconcellava datteri caramellati sul trono con sguardo annoiato.
La medium assaporò il frutto con occhi fissi su Fabian. Riconobbi lo stesso sguardo famelico che schiavi e servitori riservavano a Eurias.
«Insomma, volete parlare oppure no. Non ho tempo da perdere.»
Strinsi una spalla ad Artemis.
«Parla, devo sapere della spada» sussurrai e si schiarì la gola.
«Neanche noi vogliamo perdere tempo, Miss Ray. Andrò al sodo: abbiamo capito che il principe è molto importante per Aramis, e qualcosa ci suggerisce che non sia l'amore paterno ad aver inviato una squadra intera di Cavalieri in sua ricerca.»
«Dove vuoi arrivare, Blackwood?»
«Sappiamo la sua natura. Noah è la chiave per trovare la spada di Ashberg. Lui è quel principe della leggenda. Vogliamo sapere come trovare la spada prima che scoppi un'altra guerra.»
Marxalia sospirò; poi, dopo aver afferrato un altro dattero, guardò Artemis infastidita. «Tu. Vuoi trovare la spada di Ashberg?» Mise in bocca il frutto e lo masticò con una calma ipnotizzante. Artemis non batté nemmeno le palpebre e continuò ad aspettare risposta. «La spada si farà trovare dal suo proprietario.»
«Come?» chiesi all'orecchio di Artemis, lui mi scacciò con un gesto stizzito. Decisi di calcare un po' la mano e lo forzai. Non potevo soggiogarlo ma influenzarlo forse...
«In che modo?» Le parole gli uscirono senza controllo e iniziò a emanare più calore del solito.
Marxalia roteò gli occhi. «Visioni, sensazioni, destino... le solite cose. Dramidia è una spada leggendaria, si farà trovare.»
Il cuore di Fabian iniziò a galoppare alla parola visioni. La sua paura e il suo sconforto mi serrarono la gola. Zachary tirò giù il brandy tutto d'un fiato e strizzò gli occhi dorati.
Intervenne Kikilia.
«Solo questo? Visioni? Quindi nessuno oltre Noah potrebbe trovarla, giusto?» Fissò Marxalia facendo dondolare il liquido dorato nel bicchiere tra le sue mani.
La medium ciucciò un altro dattero, poi la degnò di uno sguardo.
«Non lo so. Forse chiunque potrebbe trovarla... Sì, suppongo. Ma non usarla, questo è certo. Solo chi riesce a far coesistere oscurità e luce può domare Dramidia.»
«Se Noah la trova sarà la fine. Scoppierà una guerra in cui tutti verremo distrutti.» Il commento di Eileen provocò solo una leggera smorfia di incredulità sul viso di Marxalia.
«Non è detto.» Osservava l'ennesimo dattero con occhi interessati. «Questi sono divini, Megumi.»
La naphi era tesa, le sue dita laccate di rosa continuavano a tamburellare contro lo specchio della console.
«In che senso, non è detto?» chiese Artemis.
«Dovrebbe essere quel principe, per trovare la spada.»
Un brivido mi squarciò la schiena. Artemis, accaldato, fece scendere il gatto dal suo grembo. Si acciambellò tra i miei piedi.
«Ma certo che Noah è quel principe!» Elinor sbuffò irritata e Zach le afferrò la mano per calmarla. Fastidio, paura... troppa paura in quella stanza. E l'alcool non li aiutava. Provai a relegare quelle sensazioni al di fuori della mia mente, ma finii per annegarci dentro. Mi mancò l'aria.
«Non è l'unico erede. O meglio, potrebbe non essere l'unico» disse la medium. Un altro erede. Il mio cuore si inceppò e mi ritrovai a stringere la spalla di Artemis con una forza tale che lui sussultò. Mi resi conto che stava tremando insieme a me. I nostri respiri si arrestarono per qualche secondo, all'unisono. Stavo catalizzando le mie emozioni su di lui e non riuscivo a fermarmi. Artemis si alzò e strappò la ciotola di datteri dalla presa di Marxalia interrompendo il nostro contatto.
«Smettila!»
Marxalia sbarrò gli occhi e tutti fissarono Artemis ammutoliti. Non avrebbe potuto spiegare che quella preghiera fosse rivolta a me. Si fece pallido e i suoi occhi verdi si tinsero di un buio intenso. Appena si rese conto della sua reazione avvampò di rabbia e fissò la ciotola di datteri tra le sue mani. Megumi gliela tolse dalle dita prima che potesse in qualche modo deformarla con il suo calore.
«Come, prego?» disse Marxalia.
«Ehi, tutto bene?» gli disse la naphi con dolcezza.
Nonostante fossi invisibile, il baphtias mi rivolse uno sguardo spietato. Le sue iridi, di nuovo di quel verde ammaliante, scalfirono le mie difese. I cristalli di ghiaccio mi ricoprirono il collo e si diramarono verso il petto.
Ero scosso.
L'agitazione di Fabian e dei suoi Legati si era unita alla mia senza pietà provocandomi una forte nausea. Il ghiaccio continuò ad avvolgermi sotto gli abiti come una sottile e brillante armatura.
No, non ero scosso. Avevo paura. Paura di sentirmi fragile.
Non dovevo perdere il controllo o sarei diventato visibile. Cercai di concentrarmi sul separare le mie emozioni da quelle di Artemis. Lo vidi respirare a fondo e sedersi di nuovo al suo posto. Io respirai a mia volta.
«Scusate, sono preoccupato per questa storia.» Si giustificò afferrando un dattero. Lo addentò con rabbia. La sua. Per un momento lo trovai molto buffo e la nausea mi diede un briciolo di tregua. Megumi cominciò a guardarsi intorno, furtiva. Dubbio, tensione: la percepivo. Forse si stava accorgendo della mia presenza.
Fabian piombò in un silenzio tombale, con lo sguardo perso sul tavolo; Zachary invece si rivolse a Miss Ray.
«Noah ha un fratello?»
«Il sangue di una principessa della Corte e quello di un Guardiano dai capelli d'oro scorrono nelle vene dell'Élite.»
La tensione crebbe all'istante nella stanza e stentai a trattenere un conato di vomito. Avere vicino persone con le mie stesse emozioni era come un amplificatore, era dai tempi delle punizioni di Eurias che non mi sentivo così male. Zach deglutì.
«Aramis ha avuto un altro figlio?» Marxalia fece spallucce e si leccò le dita prima di tuffarle di nuovo nella ciotola di datteri. Elinor sbarrò gli occhi blu, mentre Fabian torturava la mano del suo Legato. «Potremmo essere imparentati con la Corte di Knephas?»
La medium annuì con noncuranza.
«Dopo secoli, potrebbe esserlo chiunque.»
Potrebbe essere Fabian. Non mi serviva leggere nel pensiero per capire cosa frullasse in testa a quei baphtias. Ma io ero l'erede di Dramidia. Io ero stato visto in mille visioni brandire la luminosa spada di cristallo. Non poteva esserci nessun altro principe in grado di usarla.
Artemis era nervoso, cercai di rassicurarlo. Di rassicurarmi. «Sono solo stupidaggini» dissi al suo orecchio, mentre si torturava le pellicine intorno alle unghie con i denti.
«Una cosa è certa, se volete impedire al principe di mettere le mani sulla spada di Ashberg, è a Eurias che dovete puntare. La corsa verso l'onnipotenza è il suo hobby preferito; e conosce bene Noah. Conosce le sue debolezze, non tarderà ad acciuffarlo. A ogni costo.»
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