Guardiano di Bronzo

La donna attraversò con passo leggero il lunghissimo corridoio nero che portava ad un'enorme scrivania di legno pregiato grigia chiara.
Le sue scarpe nere col tacco non tanto alto risuonavano nella stanza producendo un ticchettio asfissiante.

Il grande uomo nero scribacchiava con una piuma d'oca rigorosamente nera su una lunga pergamena ingiallita. Ai suoi lati vi erano numerose scartoffie sistemate meticolosamente.
La donna fermò il suo andare quando fu davanti l'altissima scrivania, con le mani incrociate dietro la schiena.
Si schiarì timidamente la gola per farsi notare.
Poi attese.

L'uomo nero smise di scrivere e l'ultimo suono della penna che gettava inchiostro sulla carta cessò, lasciando l'ufficio in completo silenzio.

Egli si affacciò dalla scrivania, con la piuma d'oca gocciolante di liquido nero ancora in mano per vedere chi aveva interrotto il suo lavoro.

"Ah. Tu."
Disse con voce profonda e distaccata posando la penna.
Si affacciò ancor di più aggrappandosi al bordo del tavolo con i lunghi artigli neri affilati.

La ragazza con gli occhi viola alzò ancor di più lo sguardo per fissare negli occhi quell'essere oscuro.
In silenzio.

"Grazie per avermi ricevuta Signor Oddvar"
Fece un profondo inchino.

In risposta l'uomo agitò con fare stufato la mano artigliata per arrivare al punto del discorso.

"Mio Signore"
Esordì la donna.

"Perché?"
Chiese cercando di non far trasparire un tono straziante che avrebbe voluto esternare.

Piombò il silenzio ancora una volta.
Era normale in quel mondo che tra una frase e l'altra passasse qualche istante prima di rispondere.
La gente prendeva tempo per pensare a cosa dire.
Nessuno aveva fretta.
Tanto non gli correva dietro nessuno.

"Perché che cosa?"
Chiese stufato il demone puntando il suo tagliente sguardo verso il piccolo spirito facendo finta di non sapere quale fosse la risposta.

"Lo sapete benissimo mio Signore. Vi pregherei di non fare lo gnorri e di rispondermi."
Ribatté con voce sicura, ma allo stesso tempo pacata e un tantino tremolante guardando il suo capo dritto negli occhi senza distogliere lo sguardo.

Appena finì la sua frase, Evenit si rese conto che forse non avrebbe dovuto spingersi a così tanto.
Stava comunque parlando con il padrone dei demoni, lo spirito più potente dell'intero mondo fantasma.
E sapeva bene che lui avrebbe potuto tagliarle l'esistenza con un gesto delle mani.

Che poi il concetto di non-esistenza era qualcosa che Evenit non era mai riuscita a comprendere.
Secondo lei è impossibile cessare la propria esistenza.
Tutto si trasforma in qualcos'altro alla fine.
Non può semplicemente sparire e basta.

Il suo flusso di pensieri venne interrotto dalla potente voce di Oddvar.
Così lo chiamavano, quel diavolo.

"Stai molto attento piccolo fantasmino coraggioso.
O dovrei dire stupido, a giudicare dalla risposta così intollerante nei miei confronti."
Mentre parlava, il demone si alzò dalla scrivania, diventando ancora più incombente e più alto di quanto già non era.
Evenit temette che le sarebbe venuto un torcicollo se avesse guardato più in alto.

Oddvar dissolse la sua forma fisica in una sorta di nebbia oscura e piombò proprio di fronte a Evenit, che seguì con lo sguardo quell'ammasso nero che scendeva.
La nebbia si dissolse e ne uscì un uomo alto, magro e affascinante.
Dimostrava non più di quarant'anni, e aveva i capelli neri, lisci e sistematissimi.
Il naso era sottile e un pò lungo, le labbra erano fine e rosee, la pelle bianca come dei fogli di carta e gli occhi erano di un innaturale rosso scarlatto.
Indossava un abito elegante nero pece, con le scarpe dello stesso colore e una cravatta grigia calda, che si sistemò alzando il mento con superiorità.
Si avvicinò a Evenit, spaventata quanto affascinata da quell'essere che appariva così potente e perfetto.
"S-signor Oddv-"
Balbettò lei, prima di essere interrotta da Oddvar stesso, che le premette un indice sulle labbra.
"Shhhhh"
Ripiombò il silenzio.
Oddvar iniziò a girare intorno a Evenit osservandola da capo a piedi, mentre lei era immobile e lo seguiva con lo sguardo.
"Perché, perché, perché..."
Ripeté più volte il diavolo imitando la voce dello spiritello.
"Ma cosa c'è che non ti sta bene?"
Smise la sua ronda intorno a Evenit e le si piazzò di fronte.

Ancora silenzio.
Oddvar aspettava immobile e con lieve sorriso inquietante sulle labbra una risposta.

"A dire il vero molte cose. Cerco solo di non lamentarmi per non diventare un peso."
Rispose fredda Evenit.

"Bene, continua a non lamentarti allora."
Ribatté il corvino girandosi e dirigendosi verso la sua alta cattedra, le cui dimensioni potevano essere paragonate a quelle di un edificio.
"Sei stata muta e buona per cinquecento anni, sarai sicuramente in grado di farlo per altri cinquecento."
E proprio mentre stava per riprendere la sua forma originale e tornare a lavoro, la donna lo fermò avanzando di qualche passo deciso
"Ma mio signore perché mi avete-"
Venne spinta violentemente all'indietro da Oddvar senza nemmeno essere toccata.
Egli l'aveva solo guardata.

"Non. Avvicinarti. A me."
Dettò duro distaccando le parole il demone.

La ragazza dagli occhi viola si alzò da terra spolverandosi impacciata i vestiti e sistemandosi il ciuffo di capelli davanti all'occhio sinistro con precisione.

Alzò lo sguardo e si ritrovò lo spirito nero davanti. A pochi centimetri di distanza.
Che la fissava con i suoi occhi color carminio.
Non sapeva se sentirsi adirata dal comportamento del demone, impaurita dalle conseguenze che avrebbe subito dopo aver osato rivolgersi al più potente degli spiriti in quel modo o affascinata dall'aspetto di Oddvar.
Lui le strinse le guance con una mano e la avvicinò al suo viso.
"È inutile che ti copri con il tuo ciuffetto"
Disse scostandogli la folta ciocca castana di capelli dall'occhio.

Lei non tentò di ribellarsi, anche se non sopportava che le venisse spostato il ciuffo.
Nessuno doveva permettersi di toccarlo.
Ma non poteva certo liberarsi dalla presa di Oddvar, che iniziò anche a fare male, e impedirgli di non guardarla in faccia.

Il demone si rigirò il viso della giovane tra le mani, ispezionandolo accuratamente, per poi mollarla a terra.

Ella si massaggiò la mandibola e le guance, fino ad allora strette in una morsa.

Lui aveva nuovamente girato i tacchi, ma si fermò a metà strada.
"Allora? Perché che cosa, Evenit Caulfield?"

La chiamata alzò di nuovo lo sguardo confusa.
"Come ha detto scusi?"

"Caulfield. È il tuo cognome. Non lo sai?"

Si alzò di nuovo in piedi, ma stavolta, invece di avvicinarsi, restò dov'era.
Mormorò un confuso "no".
Oddvar si voltò di nuovo e gli intimò di avvicinarsi.

Le fece segno di fermarsi quando furono ad una distanza formale.

E dire che fino a poco fa erano naso contro naso.
Oddvar era matto.
Potente e matto.

"Non posso dirti cosa successe il giorno della tua morte.
Ma perlomeno voglio renderti il tuo cognome.
Caulfield."

Cosa doveva fare? Ringraziare? Inchinarsi? Richiedere nuovamente perché?
Abbozzò un sorriso formale in segno di gratitudine.
Anche se le sarebbe piaciuto sapere finalmente qualcosa.
Abbassò lo sguardo.
"Perché mi avete affidata ad un umano?"
Mormorò paziente.

Lui ci pensò su un po', e le riprese a girare intorno.
Le faceva venire le vertigini.
Gli voleva chiedere di smetterla di rotearle attorno, ma si sentì quasi senza forze.
Era andata nel suo ufficio solo per chiedere una dannata informazione. Forse Oddvar stava prendendo tempo perché nemmeno lui sapeva la risposta.

Quando finalmente si fermò, si massaggiò il mento scrutando ancora un po' lo spiritello violaceo e poi disse
"Perché voglio che sia così."

"Come dice?"
Esclamò facendo trasparire un po' di rabbia nelle sue parole la donna.

Uno strato di nebbia risaliva lento dai piedi di Oddvar.
Stava riprendendo la sua forma.

"Proteggi quel ragazzo. Ad ogni costo."
La nebbia nera cresceva intorno a lui, fino ad inglobarlo.

"Ma mio Signore!"
Tese una mano in avanti pur di fermarlo ma la massa oscura si spinse in alto con forza ed Evenit cadde nuovamente a terra.
Il demone crebbe, la nebbia si dissolse, e lui tornò ad essere di nuovo una creatura terrificante, dal corpo nero intenso e dagli affilati occhi rossi.
Si rimise a sedere sulla scrivania, e il suono della piuma d'oca che scriveva riempì la stanza.

Evenit, senza nient'altro da dire, semplicemente si smaterializzò.

Passò il resto della giornata nel suo ufficio a controllare e ricontrollare le schede del ragazzo del quale sarebbe divenuta dall'indomani il Guardiano.
Ciò che più la preoccupava era come mostrarsi a lui e spiegargli chi era e perché era lì.
Insomma, non poteva mica tendergli la mano e presentarsi con "Salve caro, mi chiamo Evenit e sono il tuo guardiano a partire da oggi."
L'avrebbe sicuramente presa per una pazza.
E se avesse iniziato a urlare e a gridare aiuto perché una tizia la seguiva ovunque? Avrebbero preso per pazzo anche lui, visto che soltanto il "protetto" può vedere il suo Guardiano.

E poi in cinquecento anni il mondo dei mortali sarà cambiato chissà quanto.
Non che si ricordasse molto della sua epoca, ma era sicura che erano cambiate molte cose, se ne accorgeva anche quando le capitava di ascoltare le conversazioni dei fantasmi più recenti.
Alcune volte si ritrovavano a parlare di cose a lei sconosciute, spesso sentiva nominare oggetti tipo Computer, che qualcuno voleva mettere negli uffici, dei telefoni, per parlare a distanza tra ufficio e ufficio, e di lampadine.
Tutto questo per Evenit era incomprensibile.
Sarebbe riuscita ad ambientarsi?
Beh, almeno aveva imparato da quando aveva il posto da reclutatore cosa fossero una macchina da scrivere, delle fotografie e dei fascicoli.
Qualcuno le spiegò bene o male che i computer erano molto simili alle macchine da scrivere, solo più piccole, più leggere e moderne.

Scosse la testa per eliminare tutti i pensieri e posò gli occhi sul fascicolo del suo Protetto.

"Josh Trevor Rosenwood..."
Alzò un sopracciglio.

"Perché l'ultima parola dopo Rosenwood è oscurata?"
Si chiese grattandosi la testa.
Un errore di scrittura sicuramente.
Sarà caduta qualche goccia d'inchiostro di troppo sulla parola, che intuiva essere un cognome.
Per un attimo voleva di nuovo farsi ricevere dal Demone nero per chiedergli cosa ci fosse scritto ma scartò l'idea subito dopo.

Riguardò la fotografia del ragazzo accanto ai suoi dati personali.
Era un po' piccola e non molto particolareggiata, ma intuì che fosse un bel bambino biondo dagli occhi scuri. Indossava un berretto a righe con dei graziosi pompon.

"Allora a domani piccolo Josh..."
Disse, per poi riposare il fascicolo in un cassetto.

Il giorno seguente, dopo aver salutato i suoi colleghi -che probabilmente non avrebbe più rivisto per molto tempo- si ritrovò nuovamente nell'ufficio di Oddvar, accompagnata da Robert, pronta a partire.

Lo spirito nero già li aspettava nella sua forma umana, elegante, sistemata, come sempre.

"Mi raccomando Evenit."
Le sussurrò Robert sistemandole come un genitore i lembi del suo cappotto grigio.
"Stai attenta e non cacciarti nei guai. Tutto ciò che devi fare è...proteggere quel tipo, no?"
Continuò balbettando il corvino.
"Sono certo che ce la farai..."
Concluse con fierezza.

Nessuno dei due aggiunse niente.

Restarono solo pochi istanti a guardarsi, per poi abbracciarsi forte.
"Mi mancherai Ev."
Singhiozzò Robert.

"Anche tu amico mio. Sei il migliore amico che io abbia"
Evenit affondò la testa nella clavicola dell'amico, soffocando il debole pianto d'addio.

Si staccarono, e mentre la donna si avvicinava a Oddvar per le ultime, semplici informazioni, Robert si smaterializzò piangendo.

"Le regole le sai."
Affermò freddo l'uomo.
La ragazza in risposta annuì determinata.
"Il Protetto a quest'ora sta per uscire dalla sua scuola. Ti materializzerai davanti ad essa."

"D'accordo"
Disse lo spiritello con fermezza.

"E tieni questo."
Aggiunse il demone attaccandole al cappotto una spilla a forma di G di bronzo.

"Questo è il distintivo dei Guardiani. Siccome hai appena iniziato, ti ho dato il distintivo della classe di Bronzo. Più le imprese che farai per proteggere il ragazzo saranno importanti, più la tua classe avanzerà. La classe più alta è quella di Platino, ma fino ad ora nessuno è mai riuscito ad arrivarci."
Spiegò lui.

Evenit annuì, ma presa dalla curiosità, fece un'ultima domanda.
"E che cosa si dovrebbe fare per raggiungere la classe di Platino?"

Il demone esitò.
Silenzio.

"In caso di morte del Protetto, donargli la tua anima pur di riportarlo in vita."

"E questo cosa comporterebbe?"
Chiese la donna dagli occhi viola mentre Oddvar tirava fuori un orologio dalla tasca molto piccolo e lo esaminava.
"Non c'è più tempo per le domande."

"Ma io-"

"Buon lavoro, signorina Caulfield."

E in un secondo, dopo che Oddvar schioccò le dita, le si materializzò davanti un paesaggio a lei sconosciuto.
Dal cielo proveniva una fortissima luce calda. Ma allo stesso tempo tirava una forte aria fresca che le scompigliava i capelli e le faceva quasi volare via la sciarpa color corallo.

Si guardò intorno.
Di fronte a lei, c'era un enorme edificio grigio chiaro con molte finestre, e sopra la porta d'ingresso completamente fatta di vetro c'era la scritta Peter Quince Highscool in caratteri enormi.

Doveva essere la scuola del suo Protetto.
Si avvicinò incuriosita. Nel mentre, girava la testa a destra e a sinistra, osservando grandi palazzi completamente scoloriti o fatti di vetro. Alcuni erano così alti che sembravano toccare il cielo, che Evenit non ricordava essere così azzurro.

Ad un tratto un suono stridulo le perforò i timpani.
Trillava nel cervello in modo fastidioso, e lei non riusciva a capire da dove provenisse.
La porta a vetri della scuola si aprì e ne uscì una folla di ragazzi infinita.

Impaurita e confusa, La donna corse a nascondersi dietro un albero ai lati della strada asfaltata davanti all'edificio.
Si sporse piano piano per cercare il suo Protetto, ma la folla era talmente grande che non scorse nessun ragazzino biondo. O meglio, ne scorse fin troppi di ragazzi biondi, ma nessuno sembrava il ragazzo della foto.
Guardò dove i ragazzi si stavano dirigendo, e scorse a poca distanza un cancello.
Decise di appostarsi lì.
Li guardò uno ad uno ma ancora non riuscì a trovare il ragazzo che cercava.

Sentì un vociare volgare poco lontano, e si voltò.

Erano dei ragazzi alti dai capelli castani, che stavano addosso a un tipetto alquanto basso dalle gambe magroline che guardava per terra.
Uno di loro gli abbassò il cappello con i pompon e gli gridò contro, mentre gli altri ridevano.
Fu allora che il ragazzino alzò la testa e si rimise apposto il berretto, per poi voltarsi verso i ragazzi che urlavano e ridacchiavano.
Era lui!
Il suo Protetto.
Non c'erano dubbi. Il cappellino era lo stesso che indossava nella fotografia, e i tratti somatici morbidi e i capelli biondi non potevano essere quelli di qualcun'altro.
"Lasciatemi stare ho detto!"
Gridò lui esasperato.

Uno dei ragazzi che lo circondava lo spinse con forza a terra e gli altri come di consueto, iniziarono a ridere. Si batterono il cinque a vicenda fieri di ciò che avevano appena fatto, e se ne andarono.

Evenit li guardò inviperita.
Avrebbe potuto fare qualcosa, ma in fondo, doveva ancora presentarsi al Protetto, e poi avrebbe attirato troppo l'attenzione.
Guardò il giovane alzarsi da terra in modo impacciato, e mentre raccoglieva il suo zaino da terra, corse ad aiutarlo una ragazza poco più alta di lui.
Raccolse per lui alcuni quaderni che erano usciti dallo zaino e glieli rimise apposto.
Sul volto di Evenit comparve un tenero sorriso.
Era stato un gesto gentile.
Quella ragazzina aveva lunghi e fluenti capelli castani chiaro e aveva una corporatura alquanto atletica. Anche lei indossava un berretto simile a quello del suo Protetto, ma era rosa.
Li vide percorrere l'ultimo pezzo di strada insieme.
Evenit si spostò verso gli alberi per non farsi vedere da lui.
Una volta superato il cancello si salutarono amichevolmente e ognuno andò per la sua strada.
Era il momento di agire.
Lo spirito iniziò a seguire il ragazzo a distanza, cercando di capire dove andasse.
Lo vide fermarsi in mezzo al nulla accanto a un grande cartello affisso a un palo.
Di tanto in tanto, la strada nera era attraversata da velocissimi e rumorosi aggeggi su delle ruote.
Si fermavano solo per far passare le persone, quando queste dovevano attraversare la strada.
"Chissà che diavolo sono..."
Si chiese Evenit osservando quegli strani veicoli così veloci.
Camminò facendo finta di niente verso Josh, e si fermò come lui, in mezzo al nulla, come se stesse aspettando qualcosa.
Guardò a destra, a sinistra, in alto, si dondolò sui piedi indecisa sul da farsi.
Si presentava? Provava a parlargli? Restava zitta?
Lo guardò, e notò che aveva lo sguardo abbassato su un rettangolo luminoso.
Accarezzava con il pollice la superficie di quel coso, completamente preso a guardarlo.
Incuriosita, chiese senza pensarci
"Che stai guardando di così interessante?"
Di colpo il ragazzo mise via il rettangolo e guardò stranito la donna.
"Ma che vuole questa?"
Sembrava che stesse pensando il biondino mentre squadrava il suo Guardiano.
Evenit si allontanò imbarazzata da lui di qualche passo balbettando
"Oh, perdonami. Non sapevo fosse un segreto quel coso là. Scusa tanto"
Non fece che peggiorare la situazione. Il suo Protetto si allontanò ancora di più da lei, appoggiandosi un po' intimorito al palo con affisso il cartello.
Non era certo il migliore degli inizi quello. Ma non voleva arrendersi.
Per quanto le sembrasse impossibile e strano proteggere un mortale era pronta a questo nuovo lavoro e voleva farlo al meglio.
Si avvicinò con circospezione al ragazzo, con qualche passetto silenzioso, facendo la gnorri.
Riguardò di nuovo a destra e a sinistra, si guardò i piedi, poi prese un bel respiro e si rivolse al biondo
"Che cosa stai aspettando?"

Lui alzò lo sguardo, che nel mentre si era riposato sul parallelepipedo luminoso.
"...L'autobus?"
Chiese con un tono confuso distogliendo lo sguardo dalla donna.
"Cos'è un autobus?"
Chiese spensierata come un bambino la Guardiana.
Notò che il Protetto roteò gli occhi stufo. Si rimise in tasca l'aggeggio luminescente e guardò altrove.
Improvvisamente Evenit sentì nella sua testa la voce del ragazzo, anche se lui non aprì bocca.
"Questa è tutta matta..."
Si sentì rimbombare nel cervello.
Si toccò sorpresa le tempie.
Che ci fosse uno strano legame mentale tra il Protetto e il Guardiano?
In ogni caso, quelle parole non erano di suo gradimento.
"Io non sono matta! Maleducato!"
Esclamò adirata lei puntandogli il dito contro.
Il Protetto sgranò gli occhi quasi impaurito e si allontanò goffamente.
"C-come...come..."
Mormorò spaventato lui indietreggiando con una mano tesa in avanti per mantenere le distanze.
Evenit guardò oltre il ragazzo, e notò che altre persone stavano venendo verso di loro. O dal punto di vista di quei mortali, verso il giovane.
Stava facendo un disastro.
Cercava di calmare il ragazzo ma più si avvicinava, più quello andava all'indietro. Chi lo avesse visto avrebbe pensato che era matto.
Non sapendo più cosa fare, Evenit, impanicata, si smaterializzò.
Il ragazzo era a terra, confuso e disorientato.
Ma chi sarà mai stata quella donna?
Era svanita davanti ai suoi occhi con un fruscio.
Si era immaginato tutto pensò.
"Ok che la fame fa brutti scherzi, ma non fino a questo punto"
Osservò in seguito rialzandosi in piedi.
Proprio in quel momento, l'autobus arrivò, e mentre saliva ancora cercando di capire cosa fosse appena successo, la vide in lontananza appoggiata timidamente al lampione. La sua sciarpa veniva scostata dal vento e i suoi capelli erano tutti scompigliati.
Si impaurì, a rivedere quella donna laggiù, la stessa donna matta con cui aveva appena parlato, ma allo stesso tempo, pensò che fosse bellissima.
Cercò di non pensarci, e si mise a sedere. Il suo sguardo si perse fuori dal finestrino.
"Come ha fatto a capire cosa pensavo?"
Si domandava preoccupato.
"Percezione extrasensoriale! Noi due siamo legati fino alla tua morte o finché non mi licenziano."
Parlò una voce tutta allegra dietro di lui.
Si girò e la vide di nuovo. Dietro di lui. Appoggiata al suo sedile con gli avambracci.
Lanciò un urlo spaventato e lei cercò immediatamente di zittirlo.
"Shhh! Shhhh!!! Perché urli? Vuoi che ti credano pazzo?"
Lo rimprovero preoccupata la donna premendogli una mano sulle labbra.
Il Protetto si accorse che tutti i passeggeri lo stavano guardando male.
"Solo tu mi puoi vedere e sentire. Io per le altre persone non esisto!"
Continuò a spiegare lei, non togliendo la mano dalla bocca del giovinetto.
Lui era ancora terrorizzato.
"Se mi vedessero, a quest'ora non credi che mi avrebbero già allontanato da te? Eppure se ne stanno tutti nei loro posti a fissarti straniti..."

Non servì a calmarlo, ma era sicura perlomeno che non avrebbe urlato un'altra volta.
Gli tolse così le mani dalle labbra, e scavalcò il sedile per mettersi accanto a lui e, finalmente, presentarsi.





~Angolo Autrice~
Questo capitolo l'ho dovuto tagliare a metà, altrimenti diventava più che chilometrico (e già lo è)
Presto uscirà anche il prossimo! In questo periodo sono ispiratissimo e anche se sono piena di compiti e interrogazioni trovo sempre un po' di tempo per.mandare avanti le mie storie ^^
Lasciate un commentino per farmi sapere cosa ne pensate e una stellina stellinosa!
Al prossimo capitolo~~~

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