7. E prima che tutto sparisca, giurami amore un'ultima volta.

"Essi giacciono,
i giovani uomini giacciono nel letto
per la notte,
anche Enkidu giace e ha un sogno,
lo riferisce al suo amico:
"Amico mio,
perché i grandi dèi erano a consulto?" "


Epopea di Gilgamesh; VI Tavola.


«Cosa ci fai qui, Gilgamesh? La festa non mi sembra ancora conclusa.» Queste furono le prime parole che Enkidu mi rivolse; parole dette con un accennato tono sorpreso ma perlopiù distanti, l'eco di un intruso pensiero tra altri ben differenti.
«Vorrei sapere cosa c'è che non va. Per tutta la serata non hai fatto altro che sparire e rinchiuderti nel tuo silenzio.»
Enkidu abbassò lo sguardo, sedendosi tra le morbide lenzuola. Quando lo rialzò mi rivolse un sorriso gentile, seppur solo abbozzato e senza esser portato a termine su quel suo volto perfetto. «Sono solo stanco, Gil.» Mi disse, lasciandosi sfuggire una lieve risata, «Non devi preoccuparti.»
Io mi avvicinai, pur non sedendomi al suo fianco ma ponendomi dinnanzi a lui, scrutandolo con lo sguardo alla ricerca di ogni possibile indizio che avrebbe potuto aiutarmi a capirlo. «Non mentirmi. Non è solo stanchezza.»
Le labbra di Enkidu si dischiusero per lasciar fuoriuscire un sospiro; scosse appena il capo e delle lunghe ciocche verdastre gli stuzzicarono il volto, coprendolo in parte con mio disappunto. Provai la tentazione di allungare la mano e spostargli quei capelli così da lasciar scoperto il suo viso, eppure non lo feci poiché in attesa di una sua prossima mossa o parola.
«A quanto pare non posso nasconderti nulla, eh?» Mormorò, «Ormai mi conosci persino meglio di quanto faccia io.»
Mi inginocchiai al suo cospetto, prendendo una sua mano e portando i nostri volti ad una medesima altezza. Rammentando ora quella scena ne scorgo un significato quasi simbolico. Un re che si inginocchia prendendo tra le mani quella del proprio compagno, ripetendo il gesto compiuto già altre volte da quest'ultimo; un re che porta il proprio capo alla medesima altezza di quella di qualcun'altro.
Perché a quel re non importava del suo titolo, del suo potere, quand'era con il suo amato compagno; egli gli era eguale, in tutto e per tutto. Era un amico, era un amante, era e sarebbe rimasto il più importante tra i suoi tesori.
«Parlami, Enkidu. Dimmi cosa affligge il tuo animo.»
«Paura, Gilgamesh.» Le sue parole erano sussurri stanchi, come se il sol mostrarsi potesse affaticargli le corde vocali. «Pura paura che ho tentato di sopprimere fino alla fine ma che a battaglia conclusa è riemersa a mio discapito, non lasciandomi neanche godere il nostro trionfo.»
Strinsi ancor di più la sua mano e la baciai con gentilezza.
«Paura di cosa, Enkidu?»
«Di perderti.» Rivelò, abbassando le palpebre per celar un triste sguardo. La sua mano si appoggiò sulla mia. «La peggiore paura che mai potrei provare.»
Si fermò per qualche istante ed io, avendo compreso che non avesse finito di parlare, non fiatai, limitandomi solo ad attendere il momento in cui i suoi occhi si sarebbero posati nuovamente su di me. Quegli occhi che, quando si riaprirono, erano velati da lacrime disobbedienti che minacciavano di uscir fuori seppur Enkidu stesse imponendo loro di non farlo.
«Stupido, nevvero? Eppure mi era balzato il cuore in gola quando mi hai raccontato della proposta della dea. Ho temuto che potessi accettarla, l'ho temuto davvero prima di sentire che tu non lo avessi fatto, tramutando quel timore nella paura per la tua incolumità minacciata da quella donna. Non ho neanche avuto il tempo di gioire per quel tuo rifiuto, ché subito qualcos'altro di più gravoso era pronto a portarti via da me. E poi...poi ecco che il Toro si presenta ad Uruk e minaccia di ucciderti. Ecco che la paura venne trasformata in terrore, lo stesso che ho dovuto soffocare e che, ne sono ben convinto, sia sfociato durante la battaglia, quando ho tenuto fermo il Toro Celeste sfoggiando una forza che non sapevo neanche di avere. Già...Quella forza non era che la mia paura ed il mio desiderio di proteggere tutto quello che ho al mondo. Di proteggere te.» Inspirò profondamente, appoggiando le nocche della mia mano sulla sua fronte. Notai che le sue dita tremavano e che la sua voce divenne sempre più spezzata da un pianto ormai prossimo. «So già che un giorno dovrai dare degli eredi a questo regno e una donna dovrà ufficialmente essere la tua sposa, so che la perfida mente di Ishtar rimugina già su come ucciderti e prima o poi dovremmo affrontare una nuova minaccia. Lo so e ne ho paura. Ne sono terrorizzato. Gilgamesh, prima o poi qualcosa ti porterà via da me ed io... Io non potrò fare nulla, assolutamente nulla per fermare il corso degli eventi. Potrò solo guardarti mentre te ne vai, con solo i tuoi ricordi come appiglio. A meno che non sia io a dovermene andare e a quel punto avrò paura che tu possa dimenticarti di me e, nonostante sia egoista da dire, che tu possa sostituirmi con un nuovo compagno, con una nuova persona che ti sarà amica e chissà, magari...Magari anche amante.»
Vi era qualcos'altro nelle sue parole che mi sfuggiva, un'amara consapevolezza che non riuscii ad avvertire. Seppur di poco, la mia mente non poteva definirsi completamente lucida a causa degli alcolici ingeriti. Riuscivo a pensare e ad agire ma, tuttavia, non potevo captare dei sottintesi segnali che richiedevano la massima lucidità.
Così, qualunque fosse quel dettaglio che Enkidu non espresse, non lo compresi mai se non quando mi si palesò davanti. Eppure, anche se lo avessi acciuffato a tempo debito, non avrei potuto fare nulla. Era già troppo tardi.
«Lascia perdere questi pensieri, Enkidu.» Gli sussurrai, prendendo il suo volto tra le mani ed asciugando con le labbra e con i pollici quelle lacrime che infine sgorgarono fuori. Come faceva male quella vista, quanto dolore mi recava. I pianti sul volto del mio amico erano come note stonate, abiti scuciti o pesce malandato sulla tavola di un re.
Erano inappropriate ed orribili e mai avrei voluto vederle ancora, a meno che non fossero state simbolo di una gioia troppo grande. Solo dinnanzi una simile ipotesi avrei accettato che le sue gote si inumidissero, accarezzando però delle labbra curvate deliziosamente all'insù e non rattristate com'erano in quel momento.
«Ti prego, scacciali via. Non devi neanche dire per scherzo qualcosa di simile, non te lo consento.» Le mie labbra si appoggiarono sulle sue per dei baci delicati e appena percepibili. «Anche se mi sposassi, il solo scopo di tale unione sarà la nascita dei miei eredi e null'altro di più, giacché il mio cuore è a te che appartiene e nessuna futura sposa ufficiale potrà mai cambiare questo. Ishtar invece la affronteremo insieme. Abbiamo sconfitto Khubaba, abbiamo sconfitto il Toro Celeste. Insieme possiamo combattere tutto, ne sono certo. Insieme possiamo affrontare minacce in apparenza invincibili. Ma i veri invincibili siamo noi due. Solo gli dèi, solo loro potrebbero annientarci, forse. Tuttavia delle altre creature esistenti noi ne siamo i più forti e non abbiamo nulla da temere. Tu non hai alcunché di cui preoccuparti.» Ricercai il suo sguardo, appoggiando la mia fronte sulla sua. «Non mi perderai, Enkidu, non mi perderai. Non lo permetterò, non posso permetterlo. Perché ti amo. Sei quanto di più prezioso io abbia, ciò che più amo, ed amo veramente, su questa terra e sotto questo cielo.»
Le labbra del mio amato compagno si appoggiarono sulle mie. Fu un bacio lento e dal sapore di sale misto al vino, un bacio malinconico a causa delle lacrime che ancora gli rigavano il volto. Mi resi conto che quella era stata la prima volta che il mio cuore parlò così apertamente, tanto da dir senza filtro alcuno quelle semplici, eppure chiare, dirette parole.
Io lo amavo e sebbene lui lo sapesse già da sé, dopo quanto avevamo affrontato insieme era finalmente giunto il momento in cui alla consapevolezza dell'animo si potesse aggiungere la certezza del cuore che aveva, dopo tanto tempo, udito quelle taciute parole.
«Fa ancor più male, adesso. Perché proprio ora, Gilgamesh? Perché dirmi questo proprio ora?» Mi sussurrò. Fu una frase così confusa, addolorata. Non riuscii a comprenderla e né lui mi diede il tempo di farlo, bloccandomi con un secondo bacio ed un seguente sussurro nel momento stesso in cui avevo dischiuso le labbra per parlare.
«Ti amo anche io, re di Uruk. Mio fidato amico ed un unico, amato compagno. Ti amo più di qualsiasi altra cosa.»
Era stato così solenne ed anche così dolce il mondo in cui aveva anche lui espresso i suoi sentimenti, tanto da riempirmi il cuore di una gioia tale che non pensai più a null'altro se non che a quelle dichiarazioni.
Lo baciai ancora e lui avvolse le sue braccia intorno al mio collo, attirandomi verso di lui. Presi subito consapevolezza del suo corpo contro il mio, delle sue dita che si infilavano tra i miei capelli e le sue labbra che si schiudevano per concedere alla lingua di esplorar la mia bocca mentre le mie mani salirono su per le sue gambe, al di sotto della bianca tunica.
«Fermo», mi sussurrò poi, le dita della sua mano che avvolgevano il mio polso. «Non così in fretta.» Si chinò per baciarmi ancora, velocemente. Poi mi regalò un piccolo e dolce sorriso.
In quel momento pensai che l'argentea luce lunare lo rendesse ancor più meraviglioso. Pensai che non aveva nulla da invidiare alla dea Ishtar, poiché lui stesso era bello come un dio. Ed era il mio. Il mio Enkidu. Nessun altro avrebbe potuto ottenere il suo amore al di fuori di me e questo mi rendeva ancor più felice.
«Non voglio dimenticarla, questa notte. Voglio che sia lunga, intensa e dolce, tanto dolce quanto le parole che ci siamo detti. » Proseguì, il tono di voce quasi supplichevole, come se stesse invocando il suo ultimo desiderio prima della fine. «Tu non vuoi che sia così?»
«Voglio quel che tu vuoi.» Fu la mia riposta e sono certo che anche le mie labbra stessero mostrando un sorriso, com'è sicuro che i miei occhi fossero diventati lo specchio dell'amore che provavo per lui, unico e solo al mondo a poter trasformare il mio perenne sguardo superbo in un uno ricolmo di dolcezza e sinceri sentimenti. «E se tu desideri che in questa notte vi sia solo tenerezza, io sarò d'accordo. Quando le tue memorie andranno a questa notte, la ricorderai come lunga, intensa e dolce.»
Ancora una volta un lampo sembrò incupire il suo brillante sguardo; troppo veloce per comprenderlo, troppo veloce per tentare di acciuffarlo. Enkidu stesso s'impose di non ascoltare quei maligni sussurri e mi baciò ancora. Un bacio che mi tolse il fiato e mi costrinse ad aggrapparmi a lui, tant'era appassionato ed intenso. Come se Enkidu stesse lasciando sfociare ogni sua emozione attraverso quel contatto, la chiara voce di ciò che risiedeva nel suo palpitante cuore che aveva eliminato del tutto qualsiasi freno per paura che quella potesse essere l'ultima occasione per gridare quanto provasse.
Fu un paragone in apparenza fuoriposto, eppure non vi sono mai state altre parole per definirlo. Sono sicuro che se ci avessero detto di poterci baciare un'ultima volta prima della fine, quel bacio sarebbe stato eguale a quello che stavamo scambiandoci, con quella sua violenta passione, la taciuta dolcezza e la sussurrante paura sovrastata da tutto il resto.
«Lo desidero, Gilgamesh», mi sussurrò, con occhi languidi e confusi dal bacio appena terminato. Ricordo che eravamo rimasti per dei secondi indefiniti a scrutarci, privi di parole dopo un contatto che pareva averci momentaneamente stremati e le labbra tanto vicine da sfiorarsi, mentre i respiri si univano tra loro emanando calore sulla pelle.
«Desidero che sia così.»
Le mie labbra si appoggiarono sugli angoli della sua bocca baciandoli con tenerezza. Poi continuai su per tutto il viso, leccando via i rimasugli delle lacrime sulle sue lisce guance, soffermandomi sulle palpebre. Lo sentii rilassarsi grazie ai miei tocchi e le sue mani avevano smesso di tremare, prendendo presto a stringermi con sicurezza e possessività.
E continuammo così per un po', semplicemente baciandoci, semplicemente accarezzandoci e regalandoci dei dolci sorrisi. Nessuna parola emerse dalle nostre bocche, non vi era null'altro da aggiungere quando le azioni possedevano già tutte le parole necessarie.
Poi arrivò la volta degli abiti. Fu Enkidu a prende l'iniziativa, abbassando le mie vesti sino ai gomiti.
Mi baciò il collo, le spalle; succhiò le parti più morbide della mia pelle, lasciandovi degli evidenti segni violacei che ammirò con soddisfazione e un abbozzato sorriso. Poi si tirò indietro, conducendomi lui stesso su di sé mentre riprendeva a baciar le mie labbra.
Gli riservai, allora, le medesime attenzioni. Lo spogliai completamente delle sue vesti e con lentezza baciai il suo corpo, marchiandolo come egli fece con me. Erano quelli chiari segni di appartenenza reciproca, sebbene non apparentemente necessari data la cristallina realtà dei fatti. Poco importava. Si trattava pur sempre di un modo per dire quanto provavamo, mostrando la chiara gelosia per qualcosa che sentivamo solo nostro e di nessun'altro.
«Ripetimi quelle parole, Gil.» Sussurrò Enkidu d'improvviso, quando la mia bocca era impegnata a dare attenzioni al suo corpo e le mie orecchie stavano beandosi dei suoi gemiti e dei suoi sussurri. Non necessitavo di chiedergli a quali parole si riferisse, lo compresi senza neanche pensarvi su. Avvertivo, in lui, l'innato bisogno di amore e soddisfazione. Desiderava che tutto accadesse quella sera, non voleva perder tempo.
Avrei potuto farlo in qualsiasi momento, lo avrei accontentato sempre. Eppure Enkidu sembrava avere in mano solo quella sera ed io, scioccamente accecato da un'inusuale ingenuità, pensai solo che fosse assai tenero quel comportamento e che dopo allora mi avrebbe chiesto altre volte di vivere una notte così, fingendo fosse l'ultima a nostra disposizione.
Ahimè, mai pensiero più puro scaturito dalla mia mente che tendeva a non conoscer purezza poteva rivelarsi tanto sciocco. Tuttavia non me ne do le colpe, poiché dimostrava la mia speranza e la mia felicità e per quelle non vi è mai colpa. Mai.
«Ti amo, Enkidu», lo accontentai, soffiando contro il suo orecchio. «Ti amo.»
Le sue labbra si curvarono in un sorriso e ancora una volta riprese il mio volto tra le sue mani. «Anche io, Gilgamesh.» Mi disse, con i pollici che mi accarezzavano le gote e lo sguardo che d'improvviso aggiunse la serietà alla dolcezza. «Ti amo. Qualunque cosa accada, non dimenticarlo mai. Non devi mai dimenticarlo. »
«Perché mai dovrei dimenticarlo se ci sarai tu a ricordarmelo?» Fu la mia risposta, voce ignara della sorte prossima. «Né potrei mai farlo, anche se non fossi qui con me.»
Egli mi spostò dei ciuffi ribelli dalla fronte, la stessa che baciò con assoluta tenerezza.
«Ora che lo hai detto il mio cuore è più sereno. Grazie, Gilgamesh. Grazie di tutto.»
Mi spogliò del tutto e poi altri baci, tocchi e carezze si susseguirono prima che il corpo reclamasse i suoi bisogni divenendo insopportabile per entrambi. Sarebbe stato impossibile contenere ancora l'ormai duro fallo, né volevo farlo, pronti ormai entrambi a congiungerci dopo quei preliminari così ricolmi di dolcezza.
Dì lì in poi non vi fu spazio per altro se non che per gemiti e sospiri. Le orecchie erano piene di quegli appaganti suoni e del proprio nome invocato dall'altro; la vista era annebbiata dal piacere e il corpo scosso da tremiti. E continuammo, continuammo fino a quando non venimmo entrambi, stremati ed appagati dopo quell'atto.
Ci sdraiammo l'uno accanto all'altro, regalandoci l'ennesimo sorriso. Enkidu poi allungò le mani verso di me, portando il mio volto contro il suo petto e stringendomi amorevolmente. Senza oppormi -perché avrei dovuto farlo?- , mi accoccolai contro di lui, beandomi delle sue successive carezze tra i miei capelli ed i baci che lasciava tra di essi.
«Buonanotte, Gilgamesh.»
«Buonanotte, Enkidu.»
Dette quelle parole, mi addormentai cullato dalle sue amorevoli attenzioni. Enkidu doveva essersi addormentato dopo di me. Tuttavia il sonno aveva deciso di non accoglierci per molto nel suo vasto regno e nel cuore della notte il mio compagno si svegliò di soprassalto, destando anche me che gli ero ancora abbracciato. Sentivo il suo affannoso respiro contro il mio volto ed alzai lo sguardo per incrociarne il suo.
«Cosa non va, Enkidu?»
«Amico mio», cominciò lui, guardandomi con preoccupazione, «Perché i grandi dèi erano a consulto?»

Angolo dell'autrice.
Eccoci con questo nuovo capitolo. L'ho pubblicato con un giorno d'anticipo perché domani non sarò presente.
Insomma, perfetto per l'ormai noto #lunedìfeels.
Al solito, spero sia stato di vostro gradimento. Penso si noti particolarmente l'angst crescente di questo nuovo capitolo.
Andrà a peggiorare, ci tengo ad avvisarvi in anticipo.
Detto questo, alla prossima!  

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top