3. La voce del Dio.
"Tieni stretta, amico mio, la mia mano;
andiamo come un sol uomo;
il tuo cuore possa ardere per la battaglia;
dimentica la morte, persegui la vita.
L'uomo forte, preparato per il combattimento, responsabile,
che va davanti, vigila sul suo corpo,
e salverà l'amico;
essi si sono assicurati la fama per i tempi a venire."
Epopea di Gilgamesh; IV Tavola.
Le nostre mani erano strette l'una all'altra quando ci presentammo al cospetto della Grande Dea Ninsun. Eravamo al centro della sala del trono dell'eccelso palazzo di mia madre, piccole figure in uno spazio immenso in cui oro e potere regnavano sovrani.
«Madre, sono fermamente deciso ad intraprendere questo viaggio e nulla mi farà cambiare idea. Per questo ora, al tuo cospetto, ti chiedo di darmi la tua benedizione, tutto ciò che mi manca prima di poter partire.»
Enkidu non parlò, limitandosi ad ascoltare in silenzio le mie parole ed osservare attento mia madre, silente anche lei.
Quando finii di esplicitare le mie intenzioni e le annesse motivazioni, Ninsun si alzò dal suo trono ed entrò nella sua stanza. Immaginai avesse bisogno di purificarsi e parlare con il dio del Sole affinché mi desse la sua protezione e lei, a cuor sereno, potesse lasciarmi partire.
Quando ritornò aveva indosso un differente abito, meraviglioso e dal colore perlato, come di perle era la collana che aveva al collo. Sul suo capo vi era una grande corona, splendente come una piccola stella; attorno a lei vi era anche profumo di incenso.
Invitò Enkidu ad avvicinarsi e abbandonando la mia mano, egli fece quanto richiesto, inginocchiandosi davanti a lei.
«Enkidu, anche se non sei frutto del mio grembo, tu sei un uomo forte. Solo adesso sono riuscita ad esaminarti, tanto da annoverarti tra gli oblati di Gilgamesh. Proteggilo, io lo affido alle tue cure ponendo la massima fiducia. Fa' che attraversi ancora la porta di Uruk in vita e torni trionfante così come noi tutti ci auguriamo.»
Enkidu guardò la Regina con aria incredula. Solo il giorno prima aveva ottenuto da lei un rifiuto ed ora stava invece affidando lui la mia incolumità, affermando anche di credere nella sua forza e nel suo affetto nei miei riguardi.
Eppure la sua risposta già la conoscevo, consapevole che non l'avrebbe pronunciata per compiacere mia madre, bensì perché era quel che il suo cuore suggeriva. E per Enkidu il cuore era la voce della giustizia, della bontà e della giusta via da percorrere.
L'unico compiaciuto per questo, in fin dei conti, ero proprio io, Re che aveva avuto in dono un'anima tanto devota e tanto amabile.
«Non provi alcun timore, Regina. Vedrà vostro figlio vivo e gioioso non solo durante questo nuovo anno ma anche in quelli a venire, per molto, molto tempo.» Le labbra di Enkidu erano state curvate in un sorriso, gli occhi erano adorni di forza d'animo. «La ringrazio per averci dato la sua benedizione e, soprattutto, per avermi onorato della sua fiducia. Non ne sarà delusa.»
Si voltò poi verso di me, ampliando ancor di più il suo sorriso. «Possa re Gilgamesh varcare la porta di Uruk per molti anni ancora, possa egli vivere in felicità ogni suo giorno. Io farò sempre in modo che ciò avvenga, così come mi è stato richiesto dalla Regina, così come la voce in me più forte, quella del mio stesso cuore, mi preme di fare.»
In tre giorni riuscimmo a giungere presso il monte del Libano. Scavammo un pozzo davanti a Shamash e riempimmo d'acqua le nostre otri. Enkidu si concentrò sul rossastro cielo al tramonto, ammirando assorto il gioco di colori che esso donava, dal fiammeggiante rosso al pacato blu. Un'autentica gioia persino per degli occhi stanchi quali erano i nostri; e forse proprio perché questi fossero così stanchi riuscivano ad apprezzare la genuina e semplice gioia della vista della volta celeste che tutto avvolge, quella distesa infinita che stava ora riempiendosi di piccole e splendide luci.
«Sarà meglio fermarci per la notte», asserì, porgendomi le offerte di farina che avremmo dovuto presentare agli dei. Annuii concorde, dicendo lui che sarei stato io a salire sulla montagna per il rito e lui avrebbe anche potuto riposarsi fino al mio ritorno. Ma Enkidu non riusciva a star fermo sapendo che io non stessi facendo altrettanto, dunque decise di preparare il nostro giaciglio per la notte, attendendomi con pazienza.
Sulla montagna chiesi al dio Shamash un segno che simboleggiasse la nostra sorte favorevole, giacché ci sarebbe stato assai utile col sopraggiungere dell'imminente battaglia. Dopodiché ritornai da Enkidu,trovandolo in ginocchio ad osservare attento un demone della sabbia avvicinatosi a lui.
«Qui, al centro del cerchio sacro.» Esortò il demone ad entrare nel nostro giaciglio, ponendosi al centro del cerchio sacro. La creatura lo ascoltò senza esitazione alcuna e solo allora Enkidu mi prestò attenzione.
«Se Shamash invierà i suoi messaggi in sogno, il demone mi aiuterà ad interpretarli. Non temerlo, la sua sola presenza simboleggia la volontà del dio di parlarci e noi siamo pronti ad ascoltarlo.»
Sembrava aver compresolo solo guardandomi la mia perplessità nel lasciar che un demone dormisse con noialtri; trovavo incredibile questa sua capacità di capirmi, quasi come leggendomi nel pensiero o, ancor più profondamente, conoscendo la mia anima quanto la propria.
«Spero si mostri favorevole.» Dissi, premurandomi di accendere il fuoco per la notte per poi stendendermi vicino ad Enkidu.
«Non ci resta che sperare, Gil. D'altronde, tanto è pericolosa quest'impresa che ad aiutarci saranno sicuramente la fortuna e la speranza, oltreché il sostegno degli dei.»
«E noi stessi, Enkidu. Non dimenticar noi stessi. Tutto quel che nomini sarà di evidente aiuto ma la riuscita dell'impresa dipende da noi.»
Egli curvò le labbra in un dolce sorriso, sussurrando «Buonanotte» mentre richiudeva le palpebre per esser accolto dalle braccia del sonno. Il demone era ancora lì, immobile e in attesa; ricordo di averlo osservato a lungo o forse per nulla, la stanchezza era tale da farmi perdere ogni contatto con la realtà creando una dimensione distorta, illusoria come in uno stato febbrile.
Una montagna cadde addosso me ed Enkidu, come mosche ci schiacciò sotto le sue macerie.
Mi sentii chiamare, avvertii la presenza di Enkidu, o forse un dio che in sogno stava avvicinandomi, probabilmente propenso a dir me qualcosa se non mi fossi svegliato di soprassalto prima che potesse aprir bocca. La fronte era madida di sudore, il mio battito veloce. Enkidu si era appena svegliato, gli occhi ancora assonnati e la bocca impastata dal sonno.
«Che succede?» Mi chiese, poggiando una mano sulla mia spalla. Io gli narrai il mio sogno.
«Amico mio, il tuo sogno è favorevole.» I suoi occhi guardarono il demone che per quella notte fornì lui l'eccelsa arte divinatoria dell'interpretazione dei sogni. «La montagna che tu hai visto è Khubaba, significa che lo faremo prigioniero e lo uccideremo.»
«Ne sei certo?»
«Naturalmente», con un gesto gentile mi fece ritornare sdraiato, spostandomi poi dei ciuffi ribelli dalla fronte, «torna a dormire, adesso, e se vi saranno altri sogni ed io non dovessi svegliarmi spontaneamente, fallo tu e narrami quel che hai visto.»
Io annuii e tornai a chiudere gli occhi, cercando di rilassarmi.
Un altro sogno mi fece visita durante il sonno e questa volta l'ostile montagna sembrava ancor più furente, tanto da afferrarmi i piedi e mostrarmi il fulgore irato dei suoi occhi. Ma un giovane avvenente mi salvò da quella ferocia, portandomi dell'acqua e rasserenandomi prima che mi risvegliassi ancora una volta. Enkidu aveva già riaperto gli occhi, pronto ad ascoltarmi. Disse che anche questa visione fosse favorevole e tornammo a dormire.
Sognai per altre tre volte ancora. Tre volte in cui mi risvegliai sempre inquieto giacché ai miei occhi quei sogni non apparivano favorevoli nonostante le parole di Enkidu.
Eppure avrei dovuto immaginarlo: gli dèi avevano bizzarri e curiosi modi per esprimere le loro volontà, persino esser contraddittori portando sogni di distruzione come messaggio di vittoria. Non avrei dovuto temere alcunché, solo rammentare la mia forza e quella di Enkidu. La stessa in cui riponevo una fiducia tale da farmi ingaggiare quest'impresa con convinta testardaggine.
Il mattino seguente aveva portato con sé la figura del demone, sparito nel nulla prima ancora che aprissimo gli occhi. Enkidu si era svegliato prima di me e aveva già preparato tutto affinché potessimo partire il prima possibile verso quella meta ormai così vicina.
«Le sue urla sono udibili sin da qui.» Mormorò il mio caro amico, con le spalle irrigidite da un improvviso timore . Subito rivolse lo sguardo rivolto al cielo. «Oh, Shamash! Rammenta le parole dette a Ninsun quand'eravamo ad Uruk, stammi vicino e ascolta questa mia supplica!»
Un grido si udì dal cielo. Shamash stesso ci parlò, senza usufruir di sogni, visioni o cenni; parlò con la sua potente voce, come dio mantenitore di promesse e ancora una volta sostenitore fedele di quest'impresa.
«Fai presto! Affrontalo, in modo che non entri nella Foresta e non possa nascondersi tra gli alberi!», gridava a gran voce, «Non concedergli tregua! Dei sette vestiti di protezione Il Guardiano ne ha indosso solo uno, è adesso che dovete attaccarlo!»
Khubaba gridò più forte, il suo ruggito era tale da esser paragonabile a quello di un dio furente. Anche le mie membra si irrigidirono,anche le mie ginocchia tremarono nell'udir il Guardiano.
«La forza di Khubaba è troppo grande», mormorai, colto da un'improvvisa paura della quale presto mi vergognai. Scossi il capo e invocai la mia risolutezza, rimembrai le mie convinzioni e strinsi i pugni. «Da soli non possiamo affrontarlo ma in due, in due possiamo farcela. Ricordalo Enkidu, persino un forte leone non può prevalere su due leopardi.»
Ma Enkidu era realmente impaurito da quelle urla, davvero temeva l'immensa forza di quell'essere.
«Anche se riuscissi ad aprire la porta della foresta, le mie braccia sarebbero paralizzate, Gilgamesh! Non è fattibile. Torniamo indietro, siamo ancora in tempo, diremo al popolo che sei stato colto da un momento di estrema saggezza e hai compreso di non poter rischiar tanto! Ma non possiamo farlo. Non possiamo sconfiggere Khubaba.»
Gli presi il volto tra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi; non accettavo una simile codardia da parte sua, non sapendo quanto coraggio risiedesse nel suo cuore.
«Non parlare come un vigliacco, Enkidu. Non permetto che qualcuno così ferrato nella battaglia -come tu sei- si lasci andare alla debolezza. Non saresti mio compagno se questa paura ti appartenesse, non lascerei mai che qualcuno al mio fianco sia così timoroso. Non hai bisogno di temere la morte, ti sei spalmato gli unguenti e da solo porti lo splendore della terra come se fosse il tuo stesso mantello!» Egli provò a distogliere lo sguardo, dischiudendo le labbra per potermi rispondere ma io lo fermai prima che dalla sua gola fuoriuscisse anche una sola parola.
«No, non osare distogliere lo sguardo da me. Guardami e ascoltami.» La mia mano scivolò verso la sua, la strinse con sicurezza come se volesse infondergli forza attraverso essa; una forza che non necessitava giacché lui, inconsapevolmente, ne possedeva una dello stesso calibro. «Tieni stretta la mia mano, amico mio, andiamo come se fossimo un sol uomo. Lascia che il tuo cuore arda per la battaglia, che la paralisi abbandoni le tue braccia. Dimentica la morte, dimenticala! Persegui la vita, persegui lei! E ricorda, ricorda che io vigilerò su di te come tu su di me, che ci salveremo l'un l'altro e che ci assicureremo la fama adesso e nei tempi a venire.»
Enkidu rimase in silenzio per degli attimi che mi parvero interminabili. Poi si fiondò tra le mie braccia e con nuova forza mi strinse a sé.
«Hai ragione, perdonami.» Mi sussurrò. «Perdona questa mia debolezza. Farò come tu dici e torneremo vincitori come abbiamo promesso, insieme.»
«Sì, insieme.» Proclamai con rinnovata sicurezza.
Dopodiché c'incamminammo finalmente verso l'ingresso della Foresta dei Cedri.
ANGOLO DELL'AUTRICE.
Eccoci con il terzo capitolo! Come promesso, questa settimana ho pubblicato due aggiornamenti: la scena speciale ed il capitolo in sé.
Spero che "Sun of doubts, moon of love" sia stata di vostro gradimento come spero vi sia piaciuto anche questo nuovo capitolo.
Come sempre, grazie a chiunque leggerà e al prossimo martedì!
Alexis J Frost.
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