Sheela
Dire che mi sentivo in colpa per quello che era successo il venerdì precedente sarebbe stato un eufesismo. Era come se tutti i passetti invisibili che avevo percorso fino ad allora per il cuore di Belle fossero stati cancellati con una mano di cancellina.
Quel giorno non volevo più fare nulla. Non avevo voglia nemmeno di uscire di casa; avrei preferito rintanarmi sotto le calde coperte del mio letto, riempiendomi di patatine e tv.
Continuavo a rivedere il faccino contrariato della mora che da dietro la cassa mi rifilava in fretta i biglietti. Non era per niente un bel ricordo, soprattutto perchè ci stavo andando con i piedi di piombo e, per della maledetta tequila, mi ero lasciato andare, andando incontro a ciò che sapevo sarebbe successo se non fossi stato cauto. Lei aveva solamente agito di conseguenza.
Mentre sgranocchiavo l'ennesima Fonzie lo schermo del mio telefono si accese, rivelando un nuovo messaggio da un numero che raramente vedevo.
La mia compagna di laboratorio di teatro.
Sheela Dore: hai finito quel progetto di cui abbiamo parlato stamattina? È per dopodomani
L'avrei mandata volentieri a fanculo, ma mi trattenni. Lasciami morire in pace pensai infastidito.
Jack: no, non lo faccio
Sheela Dore: non ho intenzione di rimetterci anche io per colpa tua Gilinsky
O alzi il culo e lavori, o vengo personalmente a casa tua e ti prendo a sprangate in testa
Le permettevo di usare quei meravigliosi francesismi solo perchè ci conoscevamo da prima del liceo. Fosse stato qualcun altro, quello che avrebbe dato sprangate sarei stato io.
Jack: non rompere, fattelo da sola
Sheela Dore: accidenti, scordatelo! Non faccio il compito sul cinema da sola
Ci andiamo subito
Preparati, sono già in macchina
Diamine.
Saltai giù dal materasso.
Trascinai i piedi fino allo specchio del bagno e non fui sorpreso di come ero messo. Capelli sparati in alto senza una direzione, occhiaie fino alla bocca e un vago pallore in viso mi avevano reso un fantasma.
Udii il campanello suonare e con la mia lentezza andai ad aprire la porta, venendo investito dalla furia di Sheela.
"Cristo Jack, puzzi da fare schifo!" Si tappò il naso.
Alzai le spalle annoiato e tornai nella mia stanza con la stessa velocità e Sheela aprii le finestre per far girare l'aria. Avevo vissuto lì per una settimana, non ero mai uscito se non per andare in bagno o in cucina.
"Che cazzo è successo qui?!" Strepitò spalancando le braccia.
"Niente"
Ed effettivamente era vero: non avevo fatto niente. Ma proprio niente.
"Va' a farti una doccia, non andrò al cinema con un bidone dell'immondizia" mi ordinò.
Mi spinse per la schiena al bagno e mi ci chiuse dentro. Arreso, mi tolsi la maglietta. Dopo lo scorso venerdì, l'avevo cambiata una volta sola e ormai poteva reggersi in piedi per conto proprio da quanto l'avevo usata.
La gettai nel cesto della biancheria assieme agli altri vestiti.
Entrai nel box doccia e mi parve di togliermi uno strato superificiale di sporco, e come rinato, uscii con un asciugamano legato attorno ai fianchi, finalmente profumato.
Non appena mi vide, Sheela deglutì. Mi sentii compiaciuto per averle provocato una sorta di reazione, ma con un'occhiata la licquidai.
Rimasto solo, mi vestii con un paio di pantaloni scuri e una maglia a maniche corte nera. Non ero dell'umore giusto per mettere colori vivaci addosso.
Raggiunsi Sheela in macchina - dove mi stava aspettando - e dopo essermi seduto sul sedile passeggero, sfrecciò verso il cinema.
La tristezza che avevo addosso da una settimana sembrò pesarmi ancora di più dato che ad essa si aggiunsero anche ansia e paura di cosa avrebbe pensato Belle rivedendomi. Ormai era da più di un mese che ci vedevamo il venerdì, ma ogni volta era come fosse la prima. C'era sempre lo stesso imbarazzo, che per colpa mia era triplicato.
Slacciai la cintura e con Sheela al seguito mi feci coraggio e mi preparai mentalmente.
Vidi Belle mentre con uno straccio e dell'alcool puliva i vetri. Per colpa di quel maledetto progetto io e la mia compagna di laboratorio teatrale avremmo dovuto chiedere le origini del nostro cinema di paese alla proprietaria, che era la trentenne con cui lavorava Belle, e probabilmente per dieci minuti buoni avremmo dovuto intervistarla. Per dieci fottuti minuti avrei dovuto sopportare l'indifferenza della ragazza che amavo.
Strinsi gli occhi e lasciai fare a Sheela: sapeva cavarsela meglio di me.
Lei parlava e io guardavo Belle. Guardavo i movimenti circolari che compiva la sua mano sul vetro, come si concentrava per lucidarlo. Non riuscivo a smettere di prestarle attenzione. Mi piaceva poterla ammirare da lontano: ero piuttosto masochista, lo ammetto, ma almeno non mi faceva soffrire quanto la sua freddezza nei miei confronti quando tentavo un approccio verso di lei.
Non avevo mai capito quell'antipatia per me.
Prima che me ne accorgessi, si voltò verso la mia direzione per riporre sul pavimento gli oggetti per le pulizie. I nostri sguardi si incatenarono l'uno all'altro, eppure erano diversi. Il mio era pieno di sentimento, il suo era solo stupito, come se fosse infastidita di vedermi lì per l'ennesima volta, e senza dire nulla, tornò a lavorare.
Abbassai lo sguardo, ferito, e in quel momento Sheela mi richiamò.
"Dài Gilinsky, ho finito"
Le diedi un'ultima occhiata di sfuggita, che non colse.
"Mi sembri proprio depresso oggi eh"
"Fatti i cazzi tuoi Sheela"
"Vorrei ma stavo per rimetterci, quindi sono diventati anche cazzi miei. Che succede?"
Sospirai, lasciandomi alle spalle la porta del cinema.
"Nulla, non importa. Vuoi una mano con il documento Word?"
"Non mi dispiacerebbe. Tieni"
Mi porse il quaderno con gli appunti e salì in macchina senza aspettarmi. Al suono della chiusura dello sportello mi concessi un'ultima occhiata verso Belle. Mi aspettavo di vederla ancora alla vetrata del cinema, ma se n'era già andata.
Sentii il finestrino dell'auto abbassarsi.
"Hai intenzione di restare qui tutto il giorno?"
"No, arrivo".
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