13. Era un'idea folle.

Percy si sedette accanto a me, prendendomi le mani.
"Quella parola. Quella in greco antico. Mi fa pensare a lui, forse lui la diceva spesso. Ti ho sentito pronunciarla l'altra sera, per questo ti ho chiesto se l'hai mai conosciuto. Magari l'hai sentito pronunciarla." Fissai il pavimento, giocando con la sigaretta ancora spenta.
"Avevo quasi tre anni quando sei nata, Aura. Probabilmente l'avrò conosciuto, o almeno visto, ma non ho ricordi. - annuii appena, continuando a guardare il vuoto. - Mi dispiace, principessa."
Mi invitò a sedermi sulle sue gambe e ad appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla. Si frugò nelle tasche ed estrasse un accendino, con il quale accese la sigaretta che stavo torturando. Chiusi gli occhi, tra un tiro e l'altro, lasciando che la brezza leggera portasse via il fumo denso.
La città di Mantova si allargava davanti a noi, regalandoci una vista mozzafiato. Alcuni camini si lasciavano sfuggire qua e là uno sbuffo di vapore, che saliva fino a fondersi con le nuvole che, di tanto in tanto, rabbuiavano il cielo. Le persone scattavano indaffarate da una parte all'altra della città, senza fermarsi ad osservare lo spettacolo nel quale vivevano, oppure bevevano svogliatamente da una tazzina di ceramica. La vita continuava, mentre, tra le braccia di Percy, il tempo si era fermato per sempre.

Le vacanze di Natale erano sempre più vicine. Seduta sull'isola della cucina, fissavo il calendario appeso al muro, sul quale mia madre segnava con costanza ogni impegno e ogni turno di lavoro, utilizzando colori e post-it diversi a seconda dell'importanza.
"Percy verrebbe con te?" Chiese mia mamma, visibilmente preoccupata.
"Ovviamente si, mamma: non mi lascerebbe mai andare da sola." Risposi distogliendo l'attenzione dai foglietti colorati.
Nell'ultimo periodo, il mio desiderio di conoscere la verità su mio padre si faceva sempre più insistente e l'assenza di Nico era ormai  insostenibile. Avevo deciso che durante le vacanze di Natale sarei andata a cercarlo. Era un'idea folle, ne ero perfettamente al corrente: non avevo idea di dove andare, né di che pista seguire. Avevo temuto che mia madre vi avrebbe ostacolato e avrebbe cercato in tutti i modi di dissuadermi dal mio piano. Invece la donna che avevo davanti mi stava facendo un sacco di domande, ma sapevo che avrebbe acconsentito. O almeno lo speravo.
Si mordeva insistentemente il labbro, come capitava anche a me di fare quando ero immersa nei miei pensieri. Le rughe appena visibili intorno ai suoi occhi erano messe in evidenza dalla sua espressione corrucciata.
"Voglio fidarmi di te, Aura. So quanto ti abbia segnato la partenza improvvisa di Nico. Ricordi che ti dissi che al termine di quest'anno scolastico avresti potuto raggiungerlo? - annuii appena, con il cuore che batteva e gli occhi sgranati. - Credo che si debba anticipare quel momento. Hai il permesso di andare e anche la mia benedizione, piccola mia. E anche quella di tuo padre."
A sentire quelle parole, corsi ad abbracciarla, con le lacrime agli occhi. Mi sembrava di essere tornata bambina, quando mia madre mi faceva un regalo inaspettato e io correvo tra le sue braccia per ringraziarla. Il suo profumo mi riportò all'infanzia, a quando mi cullava durante i temporali, sussurandomi che dovevo stare tranquilla, che sarei sempre stata al sicuro.
"Ti voglio bene, mamma".
"Anche io, Aura. Mi mancherai tantissimo." rispose con un filo di voce la donna, trattenendo le lacrime. Mi allontanai da lei quel poco che bastava per vedere il sorriso spento che cercava di mostrare e le asciugai una lacrima che correva lungo la sua guancia.
"È ora di andare a dormire, o domani non ti sveglierai poi. - disse lei inspirando profondamente. - Sono gli ultimi giorni di scuola, prima della pausa natalizia e devi ancora tirare su inglese." Alzai gli occhi al cielo, portandomi una mano alla fronte: il giorno seguente la Wilson mi avrebbe interrogato e non mi sentivo per niente pronta. Dopo la mia fuga durante la gita a Mantova e il successivo colloquio con il preside, l'odio della professoressa nei miei confronti era cresciuto sempre di più. Mi diressi svogliatamente verso la mia stanza, cercando una buona scusa che mi avrebbe permesso di entrare un'ora dopo in quell'inferno chiamato scuola.
"Domani ti porto io a scuola! - urlò mia madre dalla cucina, poco prima che chiudessi la porta della mia stanza. Imprecai, chiudendo gli occhi. - Così sarò pienamente sicura che alle 8:00 sarai in classe."
"Quanta fiducia che nutri nei confronti della tua fantastica figlia, sempre diligente al dovere, mamma." La presi in giro.
"Aura, non credere che mi diverta a portarti a scuola: rischio di arrivare in ritardo al lavoro ogni volta. Voglio solo assicurarmi che tu faccia l'interrogazione e che dimostri alla Wilson quanto vali. - sorrisi. - Buonanotte."
"Notte, mamma."

Mi inflilai sotto le coperte, trattenendo un brivido. Nell'ultimo periodo le temperature si erano abbassate e io detestavo il freddo. Impostai la sveglia, zittendo la vocina nella mia testa che mi diceva di posticiparla di una ventina di minuti. La luna piena di quella notte illuminava la mia stanza, permettendomi di delinearne ogni centimetro. Le paillette sui cuscini appoggiati sul largo davanzale che avevo trasformato in una sorta di divano riflettevano i raggi lunari. L'unica parte in ombra era la scrivania, posta in corrispondenza della fine del mio letto e coperta dell'armadio a fianco alla finestra. Mi alzai e mi sedetti sul davanzale, fissando incantata la luna. I rami degli alberi in giardino ondeggiavano, cullati dal vento leggero, coprendo, di tanto in tanto, il satellite.
Mi misi a giocare distrattamente con il ciondolo a forma di teschio, ma all'improvviso mi fermai e mi tolsi la collana. Rimasi a fissarla per qualche istante, pensando a Nico.
Chissà se, dopo tanto tempo, ancora portava al collo la sua collana.
Chissà se, qualche volte nel cuore della notte, se la toglieva e pensava a me.
Chissà se gli mancavo. Chissà se l'avrei trovato.
"Dove sei?" Sussurrai piano.

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