10. Sembra di essere a casa.
"Fu Francesco II Gonzaga a trasformare il palazzo nel luogo dove potersi sottrarre ai doveri che richiedeva il suo ruolo, insieme alla sua amante Isabella." La guida parlava con passione, facendo ampi gesti con le mani e indicando il cortile che si estendeva davanti a noi. Mi affascinava vedere quanto amore mettesse nel suo mestiere, ma, nonostante cercassi di concentrarmi sulle sue parole, finivo per pensare al piano di Tessa. Mi mordicchiavo il labbro nervosamente, e Percy si avvicinò a me con uno sguardo interrogativo.
"Ehi, tutto bene, principessa?" Mi chiese. Al mio fianco Tessa alzò gli occhi al cielo: immaginai che non sopportasse il soprannome con cui il mio ragazzo mi chiamava. Io annuii, abbozzando un sorriso e sperando che ci credesse.
Qualcosa in quel palazzo mi spingeva ad addentrarmi nelle infinite stanze e osservare ogni particolare di esse. Mentre la guida ci intratteneva raccontandoci delle storie rimaste imprigionate tra quelle mura, al mio fianco Tessa fremeva per l'impazienza e aspettava solo il momento in cui ci avrebbero dato del tempo libero per girare per il palazzo. La donna si fermò davanti a una stanza, voltandosi verso di noi e facendo un respiro profondo: "La stanza in cui entrerete tra poco è probabilmente la più famosa è la più spettacolare di tutto il Palazzo. Stiamo parlando della Sala Dei Giganti." A sentire queste parole, alcuni ragazzi sospirarono dall'emozione. Sfruttando la mia altezza, riuscii a scivolare e potei entrare tra i primi. Rimasi senza parole: gli affreschi partivano dal pavimento e si estendevano su tutta la lunghezza del muro, arrivando fino al soffitto e coprendolo totalmente. I giganti sorgevano nella loro grandezza davanti ai nostri occhi, distruggendo e attaccando, agli angoli soffiavano i venti. Alzando lo sguardo, ogni parola mi morì in gola e ogni pensiero abbandonò la mia mente. L'Olimpo splendeva al centro del soffitto, Zeus, stringendo la Folgore, incitava gli dèi alla battaglia. Nel lato opposto, Poseidone, alzando il tridente al cielo, rispondeva alla chiamata. I colori erano più accesi, una luce bianca illuminava le colonne. Quell'immagine trasmetteva tranquillità: nonostante non capissi come, mi sentivo a casa.
Mi ripresi dai miei pensieri, quando un uomo sulla trentina mi urtò un braccio. Mi scusai subito, come facevo sempre, indipendentemente dal colpevole. L'uomo mi sorrise appena, prima di tornare ad posare gli occhi sulla meraviglia che avevamo intorno.
"È splendido, non è vero?" Commentò poi, rivolto a me. Lo osservai più attentamente, aveva i capelli ricci e castani, gli occhi seri e un sorriso quasi annoiato. Indossava una camicia viola, mentre le scarpe presentavano degli inserti leopardati. Annuii, mentre si avvicinava una seconda volta. Il suo profumo mi colpì con forza: a momenti ricordava l'uva appena colta, successivamente il vino, chiuso nelle botti a riposare. Inspirai profondamente, chiudendo gli occhi: mi era tutto così familiare.
"Sembra di essere a casa." Aggiunse in fine, ma quando aprii gli occhi di scatto, lo sconosciuto era sparito nel nulla. Mi accorsi solo in quel momento che ero rimasta sola, il mio gruppo aveva proseguito la visita senza di me. Imprecai, prima di uscire di corsa dalla Sala e cercare di raggiungere i miei amici. Riuscii finalmente a sentire un brusio lontano, e avanzai guidata da esso. Entrai in una stanza piccola, spoglia; mi fermai e alzai lo sguardo. Al centro del soffitto a cassettoni, una figura femminile stringeva arco e frecce, sulla sua fronte risplendeva uno spicchio di luna. Un panno leggero le scivolava tra le gambe. Mi concentrai sui suoi lineamenti, sulla forma del naso, delle mani. Era Artemide. Ed era donna del mio sogno.
"Sono chi non dovrei essere" le parole risuonarono di nuovo nella mia mente e le voci si sommavano tra di loro. Portai le mani alle orecchie, con un gesto involontario e fui costretta ad inginocchiarmi. Le voci crescevano sempre di più, ripetendo la stessa cantilena, fino a quando cessarono all'improvviso. Aprii gli occhi piano, ancora tremando, e cercai di alzarmi. Sentii una lieve pressione sulla spalla, quando mi girai mi trovai davanti lei, Artemide. A fatica battei le palpebre, e quando tornai a fissarla, della donna non c'era più traccia.
Ripresi a camminare, cercando Percy, e incrociai qualche alunno della mia classe: intuii, perciò, che era giunto il momento del tempo libero. Ciò voleva dire che Tessa avrebbe messo in atto il suo piano. Le mie mani ricominciarono a tremare e mi misi a cercare la mia amica disperatamente. Incrociai Jason, mentre mostrava i suoi bicipiti a una ragazza della mia clssse. Gli appoggiai una mano sulla spalla, ma lui mi rispose di attendere. Alzai gli occhi al cielo: non avevo tempo di aspettare che lui finisse di farsi vedere. Lo strattonai e lo portai via con me, in modo che fossimo lontani da orecchie indiscrete.
"Jason, dov'è Percy?" gli chiesi, pregandolo di rispondermi.
"N-non lo so, ti stava cercando. Tessa è andata con lui.- rispose visibilmente preoccupato. - Cosa succede?"
"Lei... Lei vuole dirgli che è innamorata di lui." Spiegai tutto d'un fiato. In tutta risposta, Jason mi prese per mano e iniziò a correre verso l'interno del palazzo. Ero confusa a tal punto di non capire dove ci trovassimo, ma lo seguivo, fiduciosa che mi avrebbe portato da Percy in tempo. La testa mi girava e chiusi gli occhi, continuando ad avanzare in modo spedito. Sentivo le voci delle persone che superavo, ma non osavo aprirli. All'improvviso il biondo si bloccò e gli finii addosso.
"Aura.." iniziò lui.
Da dietro le sue spalle, mi sporsi di lato e sbirciai nella direzione in cui stava guardando e a stento trattenni un singhiozzo.
Davanti ai miei occhi, le mani di Tessa accarezzavano con dolcezza i capelli di Percy, e le loro labbra si univano in un lungo bacio.
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