1. Devi riuscire ad andare avanti.


"Aura, è ora di alzarsi!" la voce di mia madre risuonava per le stanze della casa vuota. Richiusi gli occhi, girandomi dall'altra parte. "Non puoi arrivare tardi il primo giorno di scuola, lo sai." Mia madre si sedette sul bordo del letto spostandomi le coperte dal viso. "Non voglio, non senza Nico." Risposi senza neanche aprire gli occhi.

Mio fratello Nico aveva un anno in più di me e una vita tormentata. All'inizio dell'inverno scorso si era trasferito in un'altra città, per allontanarsi da tutto e da tutti. Di rado ricevevo chiamate da lui, e le uniche arrivavano da telefoni pubblici. Ero furiosa con lui, per avermi abbandonato, per essersene andato senza dire dove fosse diretto, senza avermi portato con se. Ma mi mancava così tanto che a volte neanche respiravo. Camera sua era vuota, la polvere si ammucchiava sui mobili.

"Lo so che è difficile, ma devi riuscire ad andare avanti: sai anche tu che se finirai quest'anno potrai raggiungerlo. E non dimenticare che Percy ti aspetta per le 7.30 davanti a scuola, non vorrai farlo aspettare, vero?" aggiunse mia madre dirigendosi in cucina a riporre la tazza di caffè ormai vuota. Era da alcuni mesi che insisteva dicendomi che alla fine dell'anno avrei potuto raggiungerlo, ma ogni volta che le chiedevo di più si chiudeva in sé stessa, senza aggiungere altro. Svogliatamente mi alzai, raggiungendo il bagno a fatica. In poco più di mezz'ora ero pronta, indossavo una salopette slavata e un top bianco, i capelli castani sciolti e ai piedi un paio di vans, la cui condizione implorava di buttarle via. Uscii di casa e salii in macchina, buttandomi la cartella semi vuota sulle gambe e giocando con il ciondolo a forma di teschio della collana che non toglievo mai.

Arrivai a scuola stranamente in orario e notai subito Percy, seduto su una panchina in attesa del mio arrivo. Salutai mia madre in fretta, correndo incontro al mio migliore amico, che si alzò in tempo per stringermi tra le sue braccia. Eravamo cresciuti insieme, Nico era sempre stato un po' geloso della nostra amicizia, nonostante non lo volesse far vedere. Mia madre e quella di Percy avevano lavorato insieme nella pasticceria della città, prima che io nascessi. Erano così simili, entrambe giovani madri single di due bambini adorabili. Alla mia nascita, mia madre dovette abbandonare il lavoro, ma le due donne continuarono a incontrarsi e vedersi, permettendo così a me e a Percy di sviluppare una di quelle amicizie di cui solo i libri parlano. Da cinque anni a questa parte, in estate lui partiva, senza mai mandare un messaggio per dire che era vivo. Diceva di andare ad un campo estivo per ragazzi iperattivi, ma nonostante io avessi insistito con mia madre per farmi andare con lui in quanto il campo mi avrebbe aiutato, lei mi aveva sempre negato il permesso. Ogni settembre al collo di Percy una nuova perla riempiva la collana di corda. Gli scompigliai i capelli neri e lui si allontanò ridendo.

"Come sta la mia principessa?" mi disse lui puntandomi addosso i suoi occhi color del mare. "Noto senza stupore che neanche quest'anno sei riuscita ad abbronzarti!" aggiunse mettendo a confronto la sua pelle scura con il pallore della mia. Lo spinsi via, facendogli la linguaccia: ogni anno era sempre la stessa cosa, per quanto provassi ad abbronzarmi, vicino a lui sembravamo l'incarnazione della pubblicità della Ringo, come se di punto in bianco dovesse apparire la scritta "DO YOU RINGO?".

"Come vuoi che sia andata? È stata un'estate difficile senza te, senza Nico. Ho provato a contattare entrambi senza successo: il tuo telefono si spegne il giorno stesso che parti, mentre per quanto riguarda Nico, non mi chiama da secoli. Sembra quasi che passiate l'estate insieme!" esclamai sconsolata.

"Cosa? Ma da dove ti viene un'idea del genere?" rispose prontamente Percy, forzando una risata. Lo guardai con fare interrogativo, ma non feci tempo ad aggiungere altro che la campanella suonò e Percy sgattaiolò via dopo avermi lasciato un veloce bacio sulla guancia. Decisamente confusa, mi diressi nella mia classe, la quale non era cambiata nel corso degli anni, nonostante alunni nuovi fossero arrivati ed altri avessero abbandonato. La professoressa di Inglese, la signora Wilson, il mio incubo dal giorno in cui avevo messo piede nella scuola la prima volta, era già seduta alla cattedra e mi squadrava dall'alto dei suoi occhialetti.

"Anche quest'anno arriva con calma, signorina Di Angelo." Aggiunse solo.

"Che cosa? La campanella è suonata neanche un minuto fa!" risposi senza riflettere troppo sul tono che stavo utilizzando.

"Vuole cominciare bene l'anno? Allora si sieda. Sta rischiando grosso in questa maniera. Sappia solo che la storia commovente del fratello scappato di casa con me non funziona. Senza parlare del suo abbigliamento: un po' di rispetto per il contesto scolastico." Mi fulminò con lo sguardo, al quale risposi alzando gli occhi al cielo e avvicinandomi al mio banco. Mi sedetti scompostamente accanto a Tessa. Si legò i capelli ricci in una coda disordinata e si girò verso di me. "Ciao barbona" mi sussurrò lei ridendo, riferendosi al commento della Wilson. Ridacchiai anch'io con leggerezza. "Buongiorno a te, pel di carota" aggiunsi mostrandole un ciuffetto che era sfuggito dalla pettinatura, al che mi allontanò, fingendosi offesa.

Io e Tessa eravamo amiche dall'inizio del liceo, ma non eravamo una di quelle coppie inseparabili e raramente ci vedevamo dopo la scuola, se non in occasione di progetti o di pomeriggi di studio. L'ora passò lentamente e, al suono della campanella, ne approfittai per tirare fuori il telefono. Nessun nuovo messaggio: non capivo perché mi sentissi delusa, dopotutto sapevo benissimo che non avrei ricevuto neanche un imbocca al lupo da parte di Nico. Sospirai e riposi il telefono in tasca, un secondo prima che il nuovo professore entrasse nell'aula.

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