8.

Gocce fredde continuavano a scendermi addosso mentre iniziai a tremare. Non avrei saputo dire se era per il freddo o per l'intensa ondata di terrore che stavo provando.

Amélie era terrorizzata da Lien.
La ragazza le stava a meno di un metro e mezzo di distanza. Schiena dritta, testa leggermente abbassa per guardarla, una mano stretta in un pugno come se stesse cercando di trattenere la rabbia, l'altra alzata per tenere un ombrello viola che prima non aveva.

Forse, in un altro momento, avrei potuto sentire la sua rabbia, ma la paura della bambina era così forte da portare tutto in secondo piano.

I vestiti di Amélie erano così zuppi da sembrare più scuri. Tremava dal freddo e teneva le braccia intorno a sé, come ad abbracciarsi da sola.
Lein le sussurrò qualcosa, la bambina scosse la testa e le risposte, ma ero troppo lontano per sentire.

Ad un tratto la bambina si girò di scatto verso di me facendomi sussultare.

Mure grigie scure di una camera ombrosa. Gocce d'acqua che battevano furiosamente contro una finestra blu cobalto. Un letto scomodo e alberi neri che si muovevano furiosamente.
Una voce in lontananza, ma Amélie non stava ascoltando.
Amélie voleva solo andare via, voleva solo tornare dalla sua famiglia.

Lien mi stava osservando atterrita e confusa.
La bambina scappò sotto la pioggia che era diventata più intensa ogni minuto che passava.

L'insieme di emozioni negative mi stordì per qualche secondo. Oh Dio, ma cosa avevano fatto a quella bambina?

Lien si voltò verso di lei, mosse un passo. Voleva seguirla, ma cambiò idea e si diresse velocemente verso di me.

Fece uno dei suoi splendidi sorrisi e si avvicinò riparandomi con il suo ombrello.

«Cosa ci fai sotto la pioggia Berenice?» Mi chiese.
Il tono era forzatamente gentile.

«Quella bambina... la conosci? Io l'ho già vista» le chiesi fissandola dritta negli occhi.

Avrei dovuto vedere qualche ricordo. Avrei dovuto sentire qualcosa.
Ma niente, tutto taceva, c'era solo la pioggia che batteva furiosamente  come nel ricordo della bambina.

Ma perché mi sentivo bloccata?

Lien aggrottò le sopracciglia. «Chi? La bambina con cui stavo parlando prima? Oh, ho provato a chiederle qualcosa, ma non voleva rispondermi.»

Si strinse nelle spalle. «Spero solo che torni a casa, con questo tempo non dovrebbe stare fuori, povera piccola» Alzò gli occhi guardando il cielo.

Sembrava sincera, ma c'era qualcosa che non andava.
Stavo per dirle che forse la bambina si era persa, quando lei tornò a sorridermi e iniziò a camminare costringendomi a fare altrettanto.

«Oggi ho parlato con Ariane, è così simpatica! La adoro! Ha detto che probabilmente mi accompagnerà a fare shopping un giorno di questi, se ti va potresti unirti, sarebbe divertente, non credi?»

Annuì anche se l'ultima cosa che avrei voluto fare era proprio uscire per fare shopping.

«Si, sarebbe grandioso, ma devo assolutamente tornare a casa e cambiarmi, quindi...»

Lien un'occhiata ai miei vestiti e annuì ridacchiando. «Cavolo ti conviene, qua rischi di prenderti un raffreddore»

Il portone di casa mia era a poca distanza quindi salutai Lien velocemente e corsi verso casa.

Una volta entrata sperai di sentirmi meglio, ma non fu cosi.

«È solo colpa tua! Avresti potuto non perderlo»

La voce di mia madre rimbombava in tutta la casa, era così forte.

«Oh si, perché sono andato davanti al capo e gli ho detto "senti Bro voglio licenziarmi e fare il mantenuto fino alla fine dei tempi!»

Una porta sbatté forte e sussultai.
Sbuffai e andai in camera. Odiavo profondamente quando litigavano.

«Avresti dovuto fare di tutto per tenerti quel lavoro cazzo! Oppure dovresti fare di tutto per trovarne un altro, non si può continuare a fare così»

«Non credi che lo voglia anch'io? Pensi che mi piaccia sentirmi così inutile?!»

Le urla di mia madre e di mio padre continuavano a entrarmi in testa e purtroppo non solo quelle.

Rabbia, furia, disprezzo.
Erano così forti.

Rumore di oggetti che vengono rotti e porte sbattute e ancora urla, urla e urla.

Mi mancò il respiro.

No, io potevo farcela.

Mi sedetti sul letto cercando di respirare, ma non funzionava. Troppe emozioni, troppo forti, mi scoppiava la testa.

Strinsi il lenzuolo tra le dita.

«Basta, smettetela, non posso...» cercai di continuare ma sentivo come se la mia testa stesse per venire schiacciata.

Quanto avrei voluto non sentire nulla.

Gli occhi divennero umidi e iniziarono a scendere le prime inutili lacrime.

Ero triste per come i miei genitori si sentivano o ero arrabbiata? E questa rabbia era mia o di loro? Io ero arrabbiata?

Odiavo questo. Odiavo quando questi momenti in cui le emozioni diventavano così forti da farmi dubitare di poterne avere delle proprie.

Forse era solo più di quanto potessi sopportare.

E infine avvertì la sensazione di cadere.

Non ricordai di essere svenuta, eppure mi ritrovai sul mio letto, con una coperta addosso.

Non sentiva più nulla. Niente rabbia, niente urla.

Che bello non sentire nulla.

Ma nella mente mi tornò il viso della bambina che poco prima mi aveva fissato sotto la pioggia.

Che stava succedendo? Perché Lien era così strana? Perché sembrava collegata alla bambina? Perché non riuscivo a capire?

Sistemai il cuscino alla tastiera del letto e mi tirai su appoggiandoci la schiena.

Dinco stava dormendo acciambellato alla fine del letto.
Tirai la coperta più su, sentivo ancora un po' di freddo e questa coperta con i fiorellini verdi era mia fin da quando ero bambina.
Mi dava conforto.

Mia madre deve essere entrata e deve avermi visto svenuta. Dio solo sa quanto deve essersi spaventata.
Sospirai e nello stesso momento la maniglia della porta si abbassò.

Entrò mia madre con una tazza rosa antica in mano.

Si avvicinò a me e mise la tazza sul comodino accanto a me. Dall'odore sembrava cioccolata calda e questo fu abbastanza per farmi tornare il sorriso.

Mia madre si sedette accanto a me sul letto. Aveva un'espressione preoccupata, ma anche visibilmente arrabbiata.

«Come stai?»

«Ora bene. Dov'è papà?»

Lei distolse lo sguardo. «Non lo so, e non lo voglio sapere.» Tornò a guardarmi. «Ti ho trovata svenuta per terra. Che è successo?»

Quella poca rabbia nei suoi occhi era sparita, ora era solo preoccupata per me.

«Sai com'è, giornata stressante»

Presi la tazza sul comodino e ne bevvi un sorso.
Lei strinse le labbra in una linea dritta e questo non era un bene.

«Troppe emozioni» Si alzò esasperata. «sei svenuta per le troppe emozioni.»

«Mamma...» ma lei non mi lasciò finire.

«È tutta colpa di tua nonna, avrebbe dovuto insegnarti a farlo sparire. Ti mette nei guai, ti fa stare male, ti fa svenire! Non c'è niente di bello in questo»

La ascoltai senza rispondere. Era inutile farlo.

«Ed è anche colpa di tuo padre. È talmente disgusto quel coglione»

«Basta, mi fa ancora male la testa» Sussurrai.
Non mi faceva male la testa, ma forse avrebbe spesso di parlare.

«È esattamente di questo che parlo!»

«Mamma io non posso bloccarlo o farlo sparire! C'è e basta, non posso farci niente» Alzai il tono della voce e lei mi guardò stupita.
«Adesso basta ti prego»

A quel punto lei accettò di smetterla.

«Vado a vedere a che punto è la cena»

E uscì dalla mia camera.

Guardai Dinco che stava ancora dormendo.
Non faceva altro che dormire, mangiare, farsi fare le coccole.
Niente emozione esagerate, niente doni indesiderati, niente problemi.
Quando avrei voluto essere un gatto.

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