11.

La divisa da cameriera richiedeva solo dei pantaloni neri e una maglietta bianca con dietro scritto il nome del locale.
Sopra avevo messo una giacca verde scuro pesante, la temperatura stava peggiorando. Era fine ottobre. Fuori le case stavano sistemando scheletri finti e i supermercati erano pieni di zucche.

Mi piaceva Halloween, mi piaceva la storia dietro questa festa e mi piaceva l'atmosfera che trasmettevano, eppure non l'avevo mai davvero festeggiato.

Tornai a guardarmi allo specchio e passai le dita tra i capelli biondi.
Avrei dovuto tagliarli e probabilmente l'avrei fatto a casa con l'aiuto di mia madre. Era piuttosto brava a tagliarli.

La divisa includeva un paio di scarpe col tacco. Non erano particolarmente alte, forse solo cinque centimetri, ma la scarpa in sé era scomoda.

Quando Lien mi aveva portato la divisa dicendomi che, stranamente, il capo aveva deciso che era l'ora di avere una divisa quasi mi strozzai.
Non avevamo mai avuto una divisa e adesso voleva che ne mettessimo una?

Mi sembrava strano, chissà come aveva cambiato idea.
Ma l'avrei scoperto.

Gettai un'occhiata all'orario, tra poco sarei uscita. Mia madre era già fuori.

Mi guardai allo specchio un'ultima volta quando all'improvviso la stanza girò e mi ritrovai per terra.

«Berenice!» le mani di qualcuno si posarono sulle mie spalle tirandomi su. «Stai bene?»

Davanti a me c'era Lien che mi fissava preoccupata.

Mi tirai su rifiutando il suo aiuto.

«Come sei entrata?» Chiesi diretta e forse leggermente sgarbata.

Lei si spostò un ciuffo dagli occhi, alzandosi a sua volta. «Ho incontrato tua madre e le ho detto che sarei venuta a prenderti così mi ha dato le chiavi.»
Sventolò delle chiavi davanti ai miei occhi.

Questa era una cosa che mia madre non avrebbe mai fatto.
Ma non riuscì a dirglielo perché lei iniziò a guardarsi intorno.

«Adoro la tua camera. Se solo anche la mia fosse così!»

«Si, è carina»

Non era particolarmente grande. Pareti azzurre, letto, armadio e scrivania erano in questa camera sin da quando avevo cinque anni. Non era niente di speciale.

«Ma puoi spiegarmi com'è possibile che mia madre ti abbia dato le chiavi? Lei non lo farebbe mai.»

Mia madre non era il tipo di fidarsi degli sconosciuti e per lei Lien era decisamente una sconosciuta.

Lien non mi guardò nemmeno spostando i suoi occhi dalle mie pareti alla mia divisa.

«Ti sta benissimo! Stiamo facendo tardi. Dai, è il tuo nuovo primo giorno di lavoro»

Sorrise come suo solito fare e mi tirò per un braccio fuori casa.

«Tu piuttosto stai bene? Perché sei caduta?» Mi chiese una volta fuori.

Alzai le spalle. «Probabilmente perché non ho mangiato.»

«Allora ti offro la colazione!»

Lien aveva una macchina, una 500 bianca, piccola e graziosa come lei. Dentro era pulitissima e sentivo un vago odore di gelsomino.

Più in fretta di quanto pensassi ci ritrovammo nella strada del bar.

L'insegna del Hellven mi diede una scarica di adrenalina.
Il nome originale era Lilibar ma con il nuovo gestore era cambiato e sinceramente mi piaceva di più.

Lien parcheggiò di fronte e insieme ci fermammo a guardare il bar.

«Pronta?» Mi chiese lanciandomi un'occhiata.
«Si, stranamente si»
Così entrammo.

Una volta dentro Ariane fu la prima a venirmi a salutare.

«Sono così felice di rivederti! Mi sei mancata!» Esclamò mentre mi stringeva a sé.

Sorrisi anch'io perché, nonostante tutto, mi era mancata anche lei.

Poi arrivarono Philippe, Dan, Alice e Christine.
Baci e saluti da parte di tutti. Ero felice di rivederli. Non essendo esattamente una persona sociale non avevo molti amici, ma loro erano le persone più vicine.

Lien mi prese sottobraccio portandomi ad un tavolo.

Io la guardai confusa. «Che stai facendo?»

«Ti porto la colazione.» Risposte tranquilla.

«Quindi» continuò. «Qual è il suo ordine?»

«Stai scherzando?» Chiesi confusa ma divertita. Voleva farlo davvero?

Lei mi guardò come se l'avessi offesa.
«Affatto, dai spara!»

Sapevo che non avrebbe abbandonato l'idea molto in fretta quindi presi un semplice cornetto e un caffè. Non c'erano ancora clienti quindi alla fine non c'era granché da fare.

Lien si sedette con me dopo avermi portato l'ordine.

Mi fissò e io feci altrettanto.

«È bello riaverti qui.»

E sembrava sincera, quindi abbozzai un sorriso.
«È bello anche per me.»

Con la coda dell'occhio notai un movimento.
«Come va?» Chiese Ariane, adorabile nella divisa. Sembrava disegnata apposta per lei.

«Oh, Ari! va alla grande, ti vuoi unire a noi?» Le chiese Lien.

«Nah, devo aiutare Philippe a finire una cosa. Vieni ancora più tardi da me vero?»

«Certo»

Poi la bionda si girò e andò via

Lien si limitò a fissarsi le unghia.
«Mi aveva invitato per vedere un film da lei, magari posso chiederle se puoi venire anche tu»

C'era una punta di delusione dentro di me. Ariane non mi aveva mai invitato da nessuna parte.

«No, è okay, è una cosa vostra»

Lo sguardo di Lien divenne dispiaciuto «Sei nostra amica»

«Evidentemente tu sei più amica di loro in confronto a me»
Anche se si conoscevano da davvero poco tempo.

Finì di bere il caffè in un sorso.
«Dai» mi alzai. «Mettiamoci al lavoro.»

Le seguenti ore furono le solite. Prendere ordinazioni, sorridere, ricordare, dare le ordinazioni.
Mi era sinceramente mancato tutto questo.

Sbadiglia senza farmi notare e bevvi un sorso d'acqua. I tavoli all'esterno erano pieni e all'interno c'era solo una persona.

Ben presto il primo turno finì, ma ne avevo un altro da fare. Avevo dimenticato quanto stancante potesse essere.

Andai in bagno e mi tolsi per un attimo le scarpe.
Erano letteralmente l'inferno. Scomode in una maniera assurda.

«Quindi?»

«Va tutto bene»

«Sicura? Non ci sono problemi?»

«No, tranquillo»

Le voci, una maschile e una femminile, venivano dalla finestrella del bagno. Si trovava in alto, troppo in alto, per vedere fuori sarei dovuta mettermi sul water e così feci. Solitamente non ascolto le conversazioni altrui, mi sembra che vedere i ricordi delle persone era abbastanza, ma quella voce femminile io la conoscevo piuttosto bene.

Nonostante fossi sul water e anche in punta di piedi, dovetti alzare la testa e vedevo comunque male. Ma chi aveva avuto l'idea di mettere una finestra così in alto?

Guardando attraverso il vetro sporco mi mancò un battito.

C'era Lien, come immaginavo, con la divisa e una sigaretta non accesa tra le dita, di fronte a lei c'era un uomo che non avevo mai visto.
Poteva avere sui 40 anni, alto e magro come un chiodo, i capelli erano cortissimi e molto chiari, gli occhi dietro le lenti sembravano nocciola.

Lien mi dava le spalle, ma notavo che era leggermente rigida.

«Va tutto come dovrebbe andare? Quando è scappata Danton sono successe delle cose»

«Cose?» Sussurrò Lien quasi spaventata.

L'uomo annuì. «Si, esatto. Stiamo cercando di tenere la situazione tranquilla, ma devi sbrigarti.»

«Ah, non preoccuparti. È quasi fatto.»

Lien lasciò cadere la sigaretta che non aveva portato alla bocca neanche una volta e la schiacciò con la punta della scarpa.

«Devo rientrare»

L'uomo annuì ancora. Lien si voltò e rientrò, ma l'uomo rimase immobile guardando il vuoto finché non alzò lo sguardo su di me.

E per un istante, un solo misero istante, vidi me stessa dal suo punto di vista.

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