Capitolo 19 - Di nuovo insieme
Una volta rientrata in stanza dopo essere corsa ad avvertire qualcuno del risveglio di Shawn, trovo il ragazzo col volto girato verso la finestra. La sua chioma scura e leggermente ricciolina mi fa sorridere: in questo mese ho avuto occasione di accarezzarla più volte, e la sua morbidezza è davvero rilassante. Più volte è riuscita a tranquillizzarmi e a sconfiggere gli incubi del mio cuore.
Mi avvicino al ragazzo, che, sentendo i miei passi, si volta nella mia direzione. Tendo le mani verso le sue e le afferro, ricevendo un sorriso stanco ma sincero.
«I medici stanno arrivando» lo avviso e nello stesso momento in cui termino la frase, la porta si apre lasciando apparire il primario e un'infermiera dai capelli gialli come la polenta. Imbarazzante.
«Shawn, che bella sorpresa ci hai fatto!» esclama l'uomo in camice bianco per far sentire il moro a suo agio. Il ragazzo non dice nulla, anzi chiude gli occhi ed io ho un leggero moto di panico: non si starà riaddormentando per un altro mese, vero?
I miei pensieri risultano infondati quando lo vedo sollevare nuovamente le palpebre e puntare le pupille verso di me.
«E' merito suo» sussurra, la voce impastata e le labbra secche. «Ho sete» aggiunge, passandosi più volte la lingua tra i denti e stringendomi un po' più forte le mani.
«Corro a prenderti un bicchiere di acqua e nel frattempo avverto i tuoi genitori, torno subito» dico, separando a malincuore le nostre dita per poi dirigermi alla velocità del suono verso il bar dell'ospedale.
Mentre corro a perdifiato, estraggo il cellulare dalla tasca e digito il numero di casa di Shawn. Dopo due squilli risponde Clara.
«Si è svegliato! Shawn si è svegliato!» grido in preda all'euforia e riattacco subito. Ho un'altra missione da compiere e non posso perdere tempo.
Arrivo al bar e noto una fila pazzesca alla cassa, così dopo aver maledetto chiunque sia in coda, torno nuovamente al quarto piano e mi fermo ad una delle macchinette per prendere una bottiglietta.
Perché non ci hai pensato prima razza di idiota? dico rimproverando me stessa per aver corso giù per quattro rampe di infinite scale inutilmente.
Torno in camera giusto in tempo per udire il primario chiedergli se si ricorda quello che è successo.
Shawn mi guarda, e dai suoi occhi capisco che prima di rispondere vorrebbe rinfrescarsi l'ugola.
Svito il tappo della bottiglietta di plastica blu e gli poso una mano dietro al collo per aiutarlo a sollevarsi appena; poi avvicino il contenitore alle sue labbra. Noto il suo pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi piano, e dentro di me non posso che pensare a quanto sia sensuale quel movimento prodotto da lui.
A quella considerazione, scuoto il viso e cerco di darmi un contegno. Non sono mai stata così... "perversa" prima d'ora, poi però guardo meglio il ragazzo al quale sto reggendo la testa e capisco che sarebbe strano non fare alcun pensiero di quel tipo su di lui.
Quando Shawn torna con la testa sul cuscino, riavvito il tappo alla bottiglia e la appoggio sul tavolino lì accanto.
«Ricordo tutto» mormora poco dopo, lasciandomi vagamente spiazzata.
«Dei ragazzi mi hanno aggredito perché ho tentato di aiutarla» aggiunge biascicando e riferendo a me l'ultima frase.
Il dottore inizia a visitarlo, gli stacca alcuni fili ormai superflui e sostiene che potrà tornare a casa nel giro di una o due settimane. Nel frattempo, però, avrà bisogno di accertamenti soprattutto a livello motorio.
«Non è detto che recuperi del tutto la deambulazione. Per questo avrai bisogno di tanta fisioterapia, sia qui, che quando sarai dimesso»
Shawn ed io annuiamo consapevoli, ed è proprio quando il primario ci lascia finalmente soli che il mio telefono inizia a squillare.
«Non rispondere, stai un po' con me» mi prega il bel morettino facendomi sorridere.
«Mi libero in fretta, promesso» gli dico lasciandogli un bacio consolatorio sulla guancia, calda.
Quindi premo il tasto verde e rispondo.
«Polizia di Wilminghton, parlo con la signorina Foster?»
Un brivido mi scorre lungo tutta la spina dorsale.
«Sì, sì sono io» mormoro perplessa.
«Abbiamo arrestato cinque ragazzi che potrebbero essere gli aggressori del suo amico. Dovrebbe venire in centrale per identificarli il prima possibile» esplica la voce maschile sull'altra linea.
Quei figli di puttana... spero davvero che siano loro.
«Certo, arrivo subito» esclamo, riattaccando e ricevendo un'occhiataccia da Shawn.
Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio dolcemente sulle labbra prima di spiegarli il perché io stia scappando da lui. «Spera che siano loro altrimenti in prigione ci finisco io per omicidio volontario, anzi, volontarissimo»
Detto ciò lo saluto, lo avverto che i suoi genitori stanno arrivando e che quindi non sarà solo e mi dirigo a passo spedito verso l'ascensore: non voglio più vedere delle scale per un bel po'.
-
Arrivata davanti alla centrale, entro in cerca di qualcuno a cui chiedere informazioni.
Un poliziotto sulla trentina mi osserva, così decido di affidarmi a lui.
«Buonasera, sono Camille Foster, dovrei identificare cinque sospettati» dico con sicurezza. Dentro ribollo di vendetta.
Fa che siano loro, fa che siano loro quei pezzi di merda.
Senza nemmeno rispondere, il ragazzo in divisa alza un braccio e col secondo dito della mano mi indica una porta.
Alla faccia della cordialità, penso, prima di ringraziarlo e farmi spazio tra gli agenti che vanno e vengono dallo stretto corridoio.
Busso alla porta indicatami ed entro.
Due uomini mi salutano e mi chiedono un documento che accerti che io sia davvero chi dico di essere. Mi sembra doveroso, così estraggo dal portafoglio la patente e gliela porgo.
«Prego, si accomodi in quella stanza. I sospettati sono già in posizione»
Faccio come dice quello che sembra il più giovane e quando varco la soglia per poco non mi prende un colpo. Subito alla mia sinistra una fila di persone di sesso maschile mi fissa inconsapevolmente.
Tengono tutti un cartellino con un numero in mano, ma di questo poco mi importa.
Sono le facce che mi interessano. Li scruto uno ad uno e, sebbene su tre abbia qualche dubbio, il terzo e il quinto li riconosco subito.
Colui che porta il numero tre è lo stesso che ha insultato Shawn e che lo ha colpito per primo. Il quinto, invece, è colui che mi teneva braccata tra le sue luride braccia tatuate.
«Il tre e il cinque» asserisco ad alta voce, continuando a fissarli attraverso il vetro. «Degli altri non sono sicura»
Quanto vorrei spaccare la divisoria e volargli al collo, sputargli in faccia e non so cos'altro. Stringo i pugni così tanto da sentire le mie stesse unghie conficcarsi nella carne dei miei palmi.
Li odio, li odio per quello che hanno fatto a Shawn, li odio per la mancanza di pietà, sentimenti e dignità. Li odio anche solo per essere venuti al mondo.
«Signorina, può andare, mi ha sentito?»
Senza nemmeno rispondere, mi affretto a lasciare l'edificio, non prima, però, di aver fatto il dito medio sia all'uno che all'altro figlio di puttana.
-
Tornata all'ospedale, trovo i genitori di Shawn riversi sul letto. Piangono, lo abbracciano, lo baciano ed è una scena che mi scalda il cuore.
Penso che forse sia meglio lasciarli un po' da soli, ma quando faccio per andarmene sento chiamare il mio nome.
Mi volto e non faccio in tempo a vedere nulla perché le braccia di Clara sono attorno al mio corpo in una stretta spacca ossa.
«Grazie, grazie Riley, davvero grazie. Hai salvato mio figlio» afferma piangente. «Scusa se ho dubitato di te, se ho creduto che tu fossi il male per lui. Mi sbagliavo, sei una brava ragazza e Shawn ha bisogno di te nella sua vita. Non deluderlo mai, ti prego, mai»
Quelle parole mi rimbombano in testa come un martello pneumatico. Le lacrime iniziano a sgorgare copiose sulle mie guance e, con la testa, annuisco con vigore, stringendo a me quella donna rinata.
-
Due settimane più tardi...
Shawn è tornato finalmente a casa.
La riabilitazione in ospedale è andata bene ma c'è ancora molto lavoro da fare.
Purtroppo la gamba che già gli dava problemi, è peggiorata e, dato che anche l'altra non è il massimo, per un po' dovrà fare uso di una sedia a rotelle.
La cosa ovviamente non lo entusiasma affatto, ma se non altro, con la fisioterapia a domicilio, siamo sicuri che tornerà come prima.
A livello di memoria, sembra a tutti che stia bene. Non è confuso, né spaesato, e questo non può che rendermi felice e orgogliosa della sua forza di volontà.
«Allora che facciamo?» mi chiede ad un certo punto della nostra partita a Scala Quaranta.
Sollevo il viso dal mio mazzo e rido appena.
«Mi sembra abbastanza palese, stiamo giocando a carte» rispondo ovvia.
Il moro arriccia il naso e poggia le mani sul tavolo.
«Mh.. in realtà non ne ho più voglia. Mi piacerebbe uscire a fare un giro» esclama guardandomi con quegli occhioni da cerbiatto innocente.
Per poco non mi sciolgo come neve al sole. Prendo le carte e le risistemo nella loro confezione.
«Non so se è il caso, Shawn, dovrei sentire i tuoi genitori, o addirittura il fisioterapista, e poi...»
«Oh dai, Riley, non sono mica in fin di vita, non più almeno. Guardami, sono sveglio, allegro, e mi sento benissimo» asserisce, cercando di convincermi con i gesti e quel suo sguardo furbo.
Ovviamente cedo subito.
«E va bene, però andiamo al parco qui dietro, non un metro più lontano, okay?»
Shawn annuisce e mi sembra un bambino felice.
-
Giunti all'area verde situata nella via parallela alla nostra, camminiamo indisturbati e in silenzio uno accanto all'altra per un po'.
A quell'ora della mattina non c'è praticamente mai nessuno: i bambini sono a scuola, gli adulti a lavorare. Gli unici esseri viventi che si possono incontrare sono insetti, uccellini e vecchietti.
«E così...»
Di punto in bianco la sua voce profonda riempie l'aria.
«...trovi che il tuo nome pronunciato da me sia sexy, eh?»
Sentendo quelle parole una vampa di calore mi pervade all'improvviso. Ho un'immensa voglia di togliermi il maglioncino che mi sta facendo soffocare, ma cerco di calmarmi.
Tengo il viso basso, sono troppo imbarazzata dal fatto che lui si ricordi quello che ho detto mentre era incosciente. O meglio, da un lato mi fa piacere, questo significa che mi ha davvero sentito, dall'altro mi maledico per le cose un po' troppo personali che ho detto.
Di solito, poi, sono io quella che fa battute, non il contrario. Questa situazione mi sta mettendo a disagio.
«Hai perso la lingua?» mi incalza lui prendendomi la mano.
Sobbalzo lievemente, ma la sua stretta delicata attorno alle mie dita mi tranquillizza.
«Beh sì, non è niente male» sussurro, la voce che mi si spezza ad ogni parola.
Che cavolo mi prende?
Facevo tanto la spiritosa prima e ora mi pietrifico?
In realtà so benissimo quale sia il motivo.
Il fatto è che non vedo più Shawn solo come un amico, lo vedo come qualcosa di più. Lui mi piace, tanto, e ora ogni sua frase maliziosa, frecciatina o cose simili, mi fanno vibrare tutta.
«Vieni qui»
Di nuovo la sua voce che mi sta parlando.
Mi volto verso di lui, il quale sta picchiettando entrambe le mani sulle sue ginocchia.
Vuole che mi sieda su di lui, questo è ovvio.
Mi faccio coraggio, cercando di ritrovare in me la Riley che ero un mese fa. Senza macchia e senza paura.
Avvolgo un braccio attorno al suo collo e mi siedo, sperando di non essere troppo pesante e fargli male.
I nostri visi, ora, sono davvero troppo vicini e per la prima volta, attorno a noi non c'è anima viva.
Siamo completamente soli.
I miei occhi si riflettono nei suoi e penso che potrei stare ore e ore a guardarlo in quel modo.
Ma quando sento la sua mano sulla mia guancia, chiudo istintivamente gli occhi e mi lascio cullare da quel tocco elegante.
Non faccio in tempo a risollevare le palpebre che le mie labbra vengono premute da qualcosa di morbido e caldo: le sue.
Inizia così una sorta di danza tra le nostre bocche, che prima si presentano, poi si attorcigliano, infine si esplorano.
Sento il suo respiro dentro di me ed è una cosa che mi costringe a volerne di più. Apro un po' di più le labbra e, stringendo con una mano i suoi capelli, mi faccio spazio alla ricerca della sua lingua, che non tardo a trovare.
Nell'istante in cui la tocco con la mia, un fremito di eccitazione mi pervade.
Mi stacco, forse un po' troppo bruscamente e mi appoggio alla sua spalla, nascondendo così il mio viso bordeaux alla sua vista.
Se avessi continuato, non credo sarei riuscita a fermarmi.
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