Capitolo 11 - Emozioni reciproche

Nei giorni successivi, non penso ad altro che alla serata passata con Riley, ma la sua reazione è al centro di tutto.

Perché si è spostata?

E' questa la domanda che mi frulla nella testa ogni minuto, ogni secondo.

Ripenso ad ogni mia mossa, ad ogni mia parola, e cerco di capire se, per caso, io abbia commesso qualche errore di cui non mi sono accorto.

Non mi sembra di averle lanciato segnali espliciti, anzi semmai quella è stata lei.

Lei mi guardava ed io...

E' da mercoledì che non la sento e non la vedo, e oggi è sabato, giorno che, da sempre, dedico ai miei genitori.

E' una specie di rituale: il week end lo si passa insieme, e a me non dispiace affatto, anche perché, in fin dei conti, ci riuniamo tutti e tre soltanto la sera, per cenare.

Mio padre ha deciso di fare una gita fuori porta al mare, sulla costa est, a circa 10 miglia da Wilmington. Ormai è ottobre, ma il clima non è ancora autunnale, perciò si possono indossare ancora magliette a maniche corte e bermuda.

«Metti il costume Shawn, magari ci viene voglia di farci un bel bagno!» esclama mio padre dal piano di sotto mentre io sono di sopra intento a prepararmi, e al solo pensiero sorrido.

Quando, dopo un'ora scarsa, siamo tutti e tre pronti, saltiamo in macchina e ci dirigiamo verso la superstrada.

Direzione: Wrightsville beach.

Il tragitto casa-spiaggia lo passo ascoltando la playlist del mio cellulare, sperando che le voci dei Queen, di Micheal Jackson e di altri grandi artisti, siano sufficienti a distrarmi dai miei pensieri.

Dopo mezz'ora ci ritroviamo distesi sotto al sole del terzultimo mese dell'anno. Si sta benissimo e vorrei soltanto godermi la brezza marina e lo iodio, ma mia madre insiste per spalmarmi la crema sulla schiena.

Odio la sensazione di appiccicoso addosso, ma la lascio fare perché altrimenti so che, con la fortuna che mi ritrovo ad avere, finirei con lo scottarmi.

Pronto per immergermi nella lettura che mi sono portato dietro -"Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart"-, sento il mio cellulare squillare all'interno dello zainetto.

Mi alzo col busto e apro la tasca per estrarlo.

Il suo nome è la prima cosa che leggo sul display illuminato.

Rimango a fissare lo schermo incredulo, poi guardo i miei genitori, distesi sulla sabbia a pochi passi da me.

Decido di alzarmi, non mi va che ascoltino la mia conversazione con Riley.

«Vado in riva al mare» annuncio alzandomi, poi, una volta a debita distanza dalle orecchie dei miei, rispondo.

«Ciao»

La sua voce non è squillante e allegra come al solito, me ne accorgo subito.

«Ciao. Tutto bene?» domando, leggermente preoccupato.

«Sì, sì, tutto bene» risponde prontamente. Sembra imbarazzata. «E tu?»

«Sono al mare» dico, accorgendomi che la chiamata sta diventando un noioso botta e risposta.

«Ah. Capisco» mormora la ragazza all'altro capo del telefono. «Non volevo disturbarti è solo che...»

Solo che?

Solamente quando non sento più nulla, riprendo a parlare.

«Solo che...cosa?». La curiosità mi sta divorando.

Riley sospira.

«Mi aspettavo una tua chiamata, ecco.»

Rimango di sasso.

Io, invece, non mi aspettavo proprio questa frase.

Dopo la figura di merda che ho fatto con lei, chiamarla è stato l'ultimo dei miei pensieri.

Cosa avrei potuto dirle poi? Quando ci siamo lasciati, qualche sera fa, sembrava non ricordarsi nemmeno del mio tentativo di incollare le labbra alle sue.

Forse è proprio per questo che si aspettava che io la chiamassi. Perché per lei è tutto normale.

Quando mi accorgo che il silenzio tra noi sta regnando sovrano, butto lì la prima scusa che mi salta in mente.

«Non volevo disturbarti mentre eri al lavoro» dico, mentendo spudoratamente.

«Non regge» risponde, lasciandomi spiazzato per la seconda volta.

Mi sto innervosendo.

Cosa vuole da me di preciso?

Decido allora di vuotare il sacco.

«Okay, vuoi la verità?» domando cercando di rimanere calmo. «La verità è che gli ultimi due giorni li ho passati a pensare» sbotto.

«A cosa?» chiede lei.

Ah! Ora fa anche la finta tonta.

«Credo che tu lo sappia a cosa» rispondo atono.

Rimane in silenzio per qualche secondo.

Forse l'ho messa in difficoltà.

«Io...in realtà ti ho chiamato perché volevo chiederti una cosa» dice, cambiando completamente discorso.

Mentalmente la ringrazio perché, questa storia del bacio non dato, mi ha già rotto le scatole. Non ne voglio più parlare.

«Dimmi»

«Sei disponibile a darmi lezioni di piano da domani?»

Eccola, ora sì che la riconosco.

Allegra e dritta al punto.

Tuttavia sono dubbioso.

Darle lezioni implicherebbe, da una parte, vedersi più spesso, il che non mi dispiacerebbe affatto, dall'altra, potrei cedere nuovamente, e se succedesse rovinerei tutto quello che si sta creando tra me e lei.

Ma cosa si sta creando realmente tra me e Riley? Conoscenza? Amicizia?

Chiudo gli occhi e li stringo forte, scuotendo la testa.

«Shawn? Ci sei?»

La sua voce mi riscuote.

«Sì. Vieni da me domani sera dopo cena, d'accordo?»

Il solo pensiero di noi due insieme in camera mia mi fa avvampare.

Sto decisamente correndo troppo.

Il problema è che non so come funzionano queste cose. Non l'ho mai saputo.

Dovrei forse iniziare a guardare qualche commedia romantica?

«Affare fatto. Ci vediamo domani e... grazie»

Poi riattacca.

-

La domenica la passo totalmente a guardare le prime quattro puntate della sesta stagione di "Game of Thrones", due al mattino e due al pomeriggio, fino all'ora di cena.

Appena sento mia madre chiamarmi dal piano di sotto per avvisarmi che la cena è in tavola, il mio cervello connette: tra un'ora arriverà Riley.

L'ho detto ai miei genitori e l'hanno presa bene, soprattutto papà che ha esclamato un "ahaa!" alquanto ambiguo.

Sembra proprio che il mio vecchio voglia vedermi fidanzato, al contrario di mia madre che per ogni cosa si preoccupa, ma posso capirla.

Se avessi un figlio emofiliaco lo terrei sotto controllo anche io, lasciandogli però i suoi spazi e divertimenti.

«Allora, allora, allora...» borbotta l'uomo di casa, prima di addentare un boccone di merluzzo.

Mi lancia un'occhiata di sottecchi a cui rispondo con un'alzata di sopracciglia.

«Tu e quella ragazza...»

Vorrei restare serio per non lasciar trapelare nessuna emozione a riguardo, ma mi scappa da ridere. Non perché lui abbia ragione - qualsiasi cosa stia pensando -, ma perché, come al solito, parte in quarta.

Ora anche mia madre ha sollevato la testa dal piatto. Con le labbra all'insù mi osserva tranquilla.

«Ti piace?» mi domanda quest'ultima con premura.

Mi è stato insegnato che mentire non porta mai a nulla di buono, e, se con Riley qualche piccolo sgarro l'ho fatto, con i miei non posso. Non voglio.

«E' carina. E simpatica» rispondo, ingoiando un pezzetto di carota cotta.

«Siamo contenti che tu abbia trovato un'amica, così ti distrai un po'»

Sì, rispetto a un mese fa devo dire che, a distrazioni, sono migliorato. Sono meno pessimista e più energico.

Pensare a lei mi fa bene.

Poi però, la vicenda del fiume mi torna alla mente come un deja vù.

Nonostante abbia detto a me stesso di non volerne più sapere, il motivo per cui lei non abbia voluto ricambiare mi tormenta.

E i pensieri che mi sono fatto tornano a galla.

1 Non se la sentiva perché mi conosce ancora troppo poco;

2 Non le piacciono i maschi, cosa possibile;

3 Mi puzzava l'alito

Non mi accorgo di aver smesso di mangiare fino a quando la voce della donna di fronte a me non pronuncia il mio nome.

«Sono quasi le nove, tra poco sarà qui»

Annuisco con vigore e mi affretto a finire ciò che ho lasciato nel piatto, poi mi alzo lentamente e mi dirigo zoppicando verso il bagno per lavarmi i denti.

Mi sciacquo anche con il colluttorio, non sia mai che il punto 3 sia la vera causa.

Alle 21.04 ecco che il campanello suona.

Da sdraiato sul letto quale sono, balzo in piedi e mi avvicino alla cima delle scale.

La vedo entrare e rimango affascinato.

Indossa un vestitino turchese lungo quasi fino al ginocchio, delle scarpe nere basse e ha la coda.

Strabuzzo gli occhi per lo stupore.

Mentre sulla mia faccia aleggia l'espressione più idiota mai vista, Riley solleva lo sguardo e mi saluta con la mano, prima di raggiungermi.

«Ciao» sussurra, e io ricambio con lo stesso, impercettibile, tono di voce.

Mi volto e le dico di seguirmi, finché non raggiungiamo il mio regno.

Una volta dentro, vedo il suo sguardo posarsi immediatamente sul grande Forster nero al centro della stanza.

«E' stupendo» mormora, e percepisco la sua gola secca.

«Quindi ti piace la musica classica?» le chiedo, facendole segno di accomodarsi pure allo sgabello.

«Mi piace il suono che emette il pianoforte, più che la musica classica»

Mentre spiega poggia l'indice sul FA della sesta ottava, per poi voltarsi verso di me.

«Posso?» chiede, ed io annuisco dolcemente, senza mai staccare gli occhi dalla sua figura.

Stasera è bellissima e vorrei dirglielo, vorrei urlarglielo, ma qualcosa - la timidezza, la paura - mi trattiene.

Preme il tasto e il suono che ne fuoriesce la fa sorridere.

«Suonami la tua composizione, per favore»

A quella richiesta mi irrigidisco appena.

Suonarla davanti a colei che mi ha ispirato mi paralizza.

Tuttavia mi obbligo a non fare lo stupido e, con estrema delicatezza, inizio a suonare.

Le prime note, basse, iniziano a riempire le mura, fino a dar vita ad una melodia leggiadra, allegra, proprio come è la ragazza seduta al mio fianco che mi osserva con gli occhi più belli che abbia mai visto.

Dopo aver sfiorato l'ultimo tasto, mi volto verso di lei per osservarne la reazione.

I suoi occhi sono bagnati di lacrime, che lei non ha la minima intenzione di asciugare.

Prendo coraggio e, con mano leggermente tremante, le tocco una guancia. Con delicatezza, muovo il pollice prima da una parte poi dall'altra e lei sta ferma. E' immobile, sembra una statua e le sue pupille, profonde come pozzi, sono incollate alle mie.

Sarebbe il momento giusto per fiondarmi sulle sue labbra, lo sento, ma la paura di rimanere scottato di nuovo è troppa.

Così, non so come, smetto di accarezzarla e le sorrido come se niente fosse.

«Allora? Come ti è sembrata?» le chiedo.

La ragazza sembra delusa dalla mia domanda. Che si aspettasse che facessi davvero qualcosa questa volta?

«E' stupenda» mormora ad occhi bassi. Lo sguardo, ora, fisso sui tasti bianchi.

«Se vuoi posso insegnarti qualcosa di semplice» asserisco, iniziando con una melodia di tre note soltanto.

-

Dopo quarantacinque minuti in cui le ho spiegato come leggere le note su uno spartito e, di conseguenza, sul piano, e dopo aver suonato una breve e semplicissima melodia, mi alzo per andare a prendere qualcosa da bere.

Quando torno in camera, la trovo in piedi accanto al mio letto.

Sta osservando la pila di DVD riposti sull'apposita mensola.

«Vuoi guardare un film?»

La mia domanda nasce spontanea dalla mia bocca, tanto che mi accorgo di essa soltanto dopo averla posta.

«Perché no?» risponde lei, incrociando le mani davanti alle gambe.

Le porgo la coca cola che ho recuperato dalla cucina e accendo la tv che ho di fianco alla finestra.

«Scegli pure quello che vuoi» mi raccomando, e quando mi porge il contenitore de "Le Belve" con una Blake Lively più sexy che mai, sento il calore farsi spazio dentro di me.

Ho visto questo film almeno dieci volte e le scene iniziali sono tutt'altro che caste.

Cerco di captare dalla sua espressione se lei lo abbia visto oppure no, ma si è già seduta sul letto e ora vedo il suo viso solo per metà.

Inserisco il DVD nel lettore e premo play.

«Puoi spegnere la luce? Così fa più effetto cinema» mormora ed io acconsento.

Ora, l'unica luce proviene dallo schermo.

Mi siedo accanto a lei e il film comincia.

I primi cinque minuti scorrono tranquilli, ma poi...

Alla vista della Lively che bacia, no, che morde, anzi, che scopa letteralmente con uno dei suoi coinquilini, inizio ad agitarmi.

Incrocio le braccia al petto, ma poi le rilascio lungo i fianchi, e nel farlo urto accidentalmente la sua mano.

Non mi muovo.

Lei nemmeno.

Le nostre mani sono una sopra l'altra, gli occhi di entrambi fissi sullo schermo, anche se i miei non stanno realmente guardando la scena.

Mi basterebbe allargare le dita per poterle intrecciare alle sue, ma non lo faccio.

Lei mi ha preceduto.

Sento la sua mano stringere la mia ed io faccio lo stesso.

Percepisco il suo dorso sotto al mio pollice, che inizio a muovere delicatamente sulla sua pelle.

Poi, all'improvviso, la sua testa si avvicina a me, e la mia spalla fa altrettanto.

Sembriamo due magneti, due calamite che si stanno attraendo.

Ed io sono felice come mai prima d'ora.

Questi due piccoli gesti mi stanno per causare un infarto, lo sento.

«Shawn»

Odo la sua voce flebile chiamare il mio nome ed io rispondo con un misero "sì?".

«L'altra sera... è un po' complicato» sussurra.

E' dispiaciuta, lo percepisco, ma al momento non mi importa più niente dell'altra notte al fiume.

Forse mi sto illudendo, anzi sicuramente è così, ma le nostre dita intrecciate, la sua testa appoggiata alla mia spalla, per me adesso valgono più di mille baci.

«Non preoccuparti, anche io ho un segreto che è difficile confidare» rispondo.

A queste mie parole lei si alza, la sua testa non è più su di me ma le nostre mani sono ancora unite, grazie a Dio.

«Lo so che ci conosciamo da pochissimo tempo, ma puoi fidarti di me. Io di te mi fido. Non so nemmeno spiegarmi io il perché, ma è così. Dalla prima volta che ti ho visto ho capito che eri speciale, te l'ho detto, ricordi? E... non posso negare di... insomma... di vedere un bel morettino quando ti guardo»

Le sue parole sono una boccata d'aria fresca.

Si fida di me ed io mi fido di lei, anche se non glielo ho mai detto.

Non sono bravo con le parole, ma con i gesti sì.

Quindi mi sollevo dallo schienale del letto al quale sono appoggiato, e allargo le braccia.

«Vieni qui» mugugno, e la mora si precipita contro il mio petto.

E' strano come in così poco tempo una persona possa affezionarsi ad un'altra, ma io mi sento così.

Affezionato. Attratto. Incantato.

La sento mormorare un "Oh Shawn" e d'istinto le lascio un bacio sulla guancia olivastra.

Sciolti dal contatto fisico che abbiamo creato, torniamo a guardare il film ma non prima che lei abbia fatto una battuta delle sue sulla mia abbronzatura a chiazze.

Infatti, dato che il giorno prima ho tenuto gli occhiali da sole tutto il tempo, ora ho una sorta di mascherina sul viso tale da farmi assomigliare a un procione, e lei non perde l'occasione per farmelo notare.

Ridiamo in sincronia, poi, rilassati, ci godiamo un po' d'azione sullo schermo.


Fighter Space:

Okay. Ho aggiornato.
Sono la prima a dire che i capitoli troppo lunghi mi annoiano ma non ce l'ho fatta a dividerlo.
Mentre scrivevo stavo sclerando, ditemi che anche voi avete urlato mentre leggevate.

Ora vi lascio ai commenti, mi raccomando ditemi tutto ciò che vi passa per la testa, perché anche io, come Shawn, sono molto curiosa.

Mi dileguo. Notte.

Ah, ovviamente team #Shiley.

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