41 - Seme della Discordia

Non aveva più visto Kath per i successivi giorni, né a lezione né    tra i corridoi. Era come se la ragazza fosse scomparsa o la stesse cercando di evitare. Poco le importava, non aveva nulla a che fare     che lei, con nessuno di loro. Cercava solo dei modi per distrarsi, con l’assenza di Fenrid quel luogo era ancora peggio. 

Solitamente si divertiva un po’ a dargli fastidio e a punzecchiarlo, specialmente quando la obbligava a studiare irrompendo nella sua stanza e lei, dopo soli due minuti, iniziava a combinare guai come invertire l’ordine delle lettere o delle frasi sui libri secolari, o cambiava le raffigurazioni, o ancora si isolava non ascoltando minimamente le sue parole. Era così lei, se non le interessava qualcosa allora non valeva la pena dare la propria attenzione fino in fondo.

– Ti dico che è così, è strana!– sentì dire ad un certo punto da un ragazzo più piccolo di sé di qualche anno mentre camminava per i corridoi quasi spogli e deserti a lezioni più che finite, tornando dalle ore di meditazione di Enver. Molti si rifugiavano nelle stanze più fresche, la stagione calda iniziava a farsi sentire pure lì e anche a lei stava dando fastidio. La cosa positiva era che la sua collana dalla pietra scura sembrava in parte proteggerla da quel caldo come a sapere che non le fosse gradito.

– Non doveva avvicinarsi a- state zitti!– ricominciò un altro ma che non disse una parola in più quando lei passò accanto al gruppetto. Erano due ragazzi e due ragazze, quest’ultime non la guardarono minimamente. Non sapeva capire bene se per paura o attrazione, solo si fermò e li fissò tutti. Di cosa stavano parlando?

– Siete amici di quella fissata con i giochi se non sbaglio.– le venne in mente poi ricordandosi di averli visti assieme alla ragazza con cui si era divertita.

– È colpa tua se è così ora!– le ringhiò contro uno dei due giovani, il più alto e all’apparenza coraggioso. Molti non le osavano rivolgere la parola. Sheera invece inclinò la testa accigliata.

– Così come?–

– Inizia a blaterare cose insensate su Yreles da quando ha giocato a non so che cosa con te. Prima vedeva questo posto come una seconda possibilità per rimediare ai propri sbagli mentre ora la vede come un inutile gabbia di matti!–

Sheera ridacchiò appena nel sentirlo, mettendosi tranquillamente le mani in tasca e con fare curioso.

– In realtà l’ha sempre vista in questa maniera, le serviva solo un qualcosa per farla cedere.–

Li vide subito irrigidirsi e farsi più seri, totalmente in disaccordo. Stranamente lei invece rimase tranquilla ad aspettare in una loro reazione.

– Cosa le hai fatto?– domandò arrabbiato il secondo ragazzo e lei fece spallucce.

– Io niente che non volesse fare. Le idee sono le sue. Il gioco l’ha solo fatta pensare probabilmente.–

Quello era uno degli scopi da quel che il suo istinto le diceva riguardo il Gioco del Caos, portava a dubitare di ogni singola certezza fino a tentennare e vedere l'intero mondo sotto un’altra prospettiva. Ma ciò accadeva solo alle anime che già dubitavano di molte cose. Su di lei sembrava non fare effetto infatti.

– Questo posto è importante, ci farà diventare qualcuno là fuori!– disse una delle due ragazze timidamente. Sheera la fissò facendo un passo verso di loro e inclinando la testa da un lato.

– Credete seriamente alle parole di Maestro? Che questo tempio vi possa aiutare ad affrontare il mondo che vi aspetta? Da quanti anni siete qui esattamente?–

Tutti e quattro rimasero zitti, in totale silenzio. Lei capì perché.

– Siete rimasti orfani, vivete qui da quando siete nati a giudicare dalle vostre espressioni. Lasciate che vi dica una cosa da una persona che ha vissuto là fuori.– iniziò a dire avvicinandosi ancora quel che bastava per permetterle di sentire la loro paura e preoccupazione in modo più nitido e sfamarsene.

– Non avete mai trascorso un solo giorno come persone normali, in mezzo ad altri uguali a voi senza essere stati divisi in base alla vostra magia. Credete che tutto sarà perfetto? Che ogni persona vi tratterà bene solo perché siete rimasti senza una famiglia, o senza uscire da qui? Che provino pena? Vi sbagliate. Ci sarà sempre la paura di ciò che potrete fare e non si fideranno. Quello che vedono e pensano, è che siete stati isolati per un motivo. Si chiederanno perché nessuno vi ha presi, perché è stato Maestro a raccattarvi dalla strada.–

Sheera fece un altro passo per avvicinarsi alla ragazza più bassa e più piccola di loro nonché quella che era più spaventata da lei e le sue parole taglienti come una lama. Tutto quello era ciò che pensava e che aveva sempre pensato.

– Aspettano solo che voi cadiate, facciate un passo falso per maledirvi. Il mondo è egoista, meschino, diffida delle diversità.– concluse il discorso non volendoli avere più intorno.

– Ci si vede.– disse allontanandosi senza più voltarsi. D’altronde era ciò che era accaduto sempre a lei. Fin dal primo giorno tutta Agraq si era mostrata falsa e senza cuore davanti ad una neonata. Non che lei fosse stata così tanto da meno.

I suoi primi ricordi risalivano a quando aveva circa due anni, anche quello era strano eppure aveva una memoria straodinaria lei. E già lì aveva visto le facce inorridite delle persone solo a vederla senza che facesse niente. E non era mai andata a genio a nessuno, anche respirare sembrava essere stata una condanna.

Il Kafar le aveva dato dei divieti solo perché non si poteva applicare l’incantesimo per privare della magia durante il Wix ad una bambina. Lei sapeva che, un giorno o l’altro, l’avrebbe dovuto affrontare. E se non fosse stato per Kyra la sua vita sarebbe finita.

Appena il suo pensiero andò verso quella ragazza, la testa prese a farle brutti scherzi, annebbiando la mente e la vista per qualche istante. Dovette appoggiarsi al muro freddo del corridoio per non cadere mentre il petto le fece male da impazzire, faticò a respirare. Sentiva dolore e tanto. Ma non era il suo. 

Era come se qualcuno avesse cercato di strappare via qualcosa da un’altra persona a lei legata e la cosa si stesse riversando anche su di sé. Insieme all’affanno e al disperato tentativo di cadere a terra, delle immagini sfuocate: la terra che si spacca tra una ragazza in un vestito violaceo ed un ragazzo sconosciuto accanto a lei come a volerli separare, poi delle voci sconnesse di persone, una collana identica alla sua con una pietra chiara, occhi viola chiaro impauriti. 

Svanì all’improvviso così come era apparso, permettendole di tornare a respirare con tranquillità e riprendersi da quello strano avvenimento. Non c’era anima viva intorno a lei. Cosa sarà mai? si domandò massaggiandosi le tempie dolenti mentre riprese a camminare e senza fare caso ad un ragazzo che per sbaglio urtò. Anche lì accadde qualcosa di strano: sentì un’energia familiare.

– Sta attenta ragazzina!– le ringhiò contro quel giovane. Doveva avere qualche anno più di sé dato l’aspetto, e non indossava alcun uniforme. Era solo vestito di scuro, in un modo tremendamente familiare così come la sua putrida aura rosso sangue.

Lo vide andare via per la sua strada ma in lei crebbe il desiderio di uccidere, di ferire, di vendetta. Per quale motivo? Non ne aveva idea ma voleva l’anima di quel ragazzo a tutti i costi.

Perciò lo seguì rendendosi invisibile e stando attenta ad ogni suo movimento. Non passava per i corridoi principali, era come se volesse evitare le persone proprio come cercava di fare lei. Poi eccolo, fermo davanti ad una porta di una camera in cui entrò chiudendo subito la porta dietro di sé a chiave, o meglio, con uno strano incantesimo.

Non fu un problema per lei che chiuse gli occhi lasciandosi abbracciare da una nube nera come i suoi capelli, ritrovandosi subito dopo all’interno della stanza. Era buia, piccola e con il massimo indispensabile come la sua, la stessa finestra spalancata che dava sul manto ormai stellato. E il ragazzo sconosciuto era lì in piedi davanti a lei a darle le spalle a torso nudo. Gli vide le scapole, le spalle larghe, la pelle chiara quasi quanto la sua. Era assai attraente, ma non per lei. Provò solo schifo, ribrezzo.

– Come mai così solo?– sussurrò sulla sua pelle di poco più calda della sua quando gli si avvicinò, sfiorandogli la schiena con le dita. Lui sussultò e si voltò subito. Non era niente male il suo fisico scolpito che osservò attentamente fino ad arrivare ai suoi occhi neri come i suoi che si intravvedevano attraverso un ciuffo scuro ribelle. 

– Mi chiedo come saresti sotto forma di statua, ti venerebbero?– gli chiese con parole senza senso per lui che la squadrò, prima lei e poi la porta.

– Chi sei? Come hai fatto ad entrare?– chiese lui serio e serrando la mascella quando lei ridacchiò maliziosa avvicinandosi ancora e poggiandogli le braccia sulle spalle. Erano troppo vicini per lui anche se per qualche motivo non riuscì a togliersela di dosso come avrebbe voluto.

– Solo una a cui piace divertirsi. E quell’incantesimo, beh, era semplice da aggirare.– disse con voce provocante osservandogli gli occhi e poi le labbra carnose, e di nuovo gli occhi. Era un modo per vedere se era attento e lui non si scompose, solo la osservò. Poco dopo ridacchiò e prese per i fianchi quella ragazza strana per avvicinarla a sé.

– Non sei come le altre che ho visto in giro. Sembri non sentire l’effetto di queste strane regole di Yreles.–

– Mi sembra di capire che lo stesso valga per te.–

Lui le sollevò il volto con le dita per osservarla e rimase affascinato dalla sua bellezza; contemporaneamente Sheera percepì quanto fosse attratto fisicamente da lei, motivo per cui sorrise con malizia lasciando che una mano gli percorresse la spalla, poi i pettorali e l'addome scolpito e teso osservando come reagisse al suo tocco. Voleva giocare, sentiva la sua energia premere per farlo diventare la sua vittima.

– Quindi, vuoi solo divertirti?– le domandò.

– Esatto. Posso chiedere a qualcun altro se pensi di non esserne degno.–

Lui rise appena.

– La mia anima è putrida, sicura di volerti cacciare nei guai?–

– La mia è peggio.–

E non hai idea di quanto pensò nella mente lasciandogli i suoi sospiri sulla pelle. Lo vide fremere, talmente tanto da ritrovarsi contro il muro, braccata. Sarebbe durato poco.

– Prima volta?–

Sheera rise.

– Mi hai presa per una santarellina?–

– Sanno mimetizzarsi, non te la prendere.– ribatté prima di aggiungere altro.

– Meglio per me.–

Fu diretto e veloce a prenderla per i fianchi e alzarla da terra, lei lasciò che le gambe si avvinghiassero al suo bacino mentre inclinò la testa all'indietro quando lui si accanì al suo collo, famelico e voglioso. Era caduto nella sua rete così semplicemente grazie al suo sapere ammaliare, al suo potere.

Gemette soddisfatta quando le morse con forza la pelle dopo averla liberata dalla maglia che indossava facendola rimanere con una stoffa leggera a coprirle il seno. Non era per i suoi tocchi che si lasciò abbandonare per qualche istante, li odiava, non sopportava l'idea di esser toccata da altri se non la ragazza che le aveva rubato una parte della sua anima; era per un semplice motivo: quel giovane era come lei, in grado di sfamarsi di sangue se necessario. E lasciò che il suo corpo si nutrisse della sua lussuria.

– Oh, Merikh. Se solo fossi stato più intelligente, mi avresti d'invidia di più provando a combattere.– gli disse poco prima che potesse nutrirsi del suo sangue. Quel ragazzo si bloccò all'istante nel sentire il suo nome, fissandola.

– Come sai il mio nome?–

La corvina gli prese il volto tra le mani ghiacciate ridacchiando maligna. Li vide stavolta i suoi occhi viola scuro che portarono nel suo corpo paura, terrore. Non riuscì a muoversi sfortunatamente, a scappare da quella ragazza.

– Io so tutto, demone.– gli disse. Merikh non seppe esattamente come ma in una frazione di secondo si ritrovò a terra, Sheera seduta sull'addome come se nulla fosse a fissarlo con odio, disprezzo e vendetta. Fece per parlare ma lei gli appoggiò sulle labbra l'indice.

– Non vorrai far sentire agli altri, vero?–

Merikh provò comunque a dire qualcosa ma non uscì alcun suono dalla sua bocca. Cosa gli aveva fatto?

– È difficile come decidere di farti fuori, ci sarebbero così tanti modi divertenti!– esclamò con una risata maligna la corvina.

– È inutile che ti divincoli, sono più forte di te.– aggiunse quando lui tentò di levarsela di dosso. Per sicurezza Sheera evocò delle catene magiche nere che lo tennero fermo alle braccia e le gambe mentre lei iniziò a graffiargli il petto tanto da provocargli profonde ferite. E lei si chinò per bene il sangue nero come i suoi capelli dalla fame, le forze che l'avvolsero. 

Dopodiché si soffermò sul suo battito accelerato fissandolo negli occhi pieni di terrore nella sua inutile tentata di fuga nello spezzare le catene. Aspettò per qualche secondo prima di far apparire una lama nella sua mano che conficcò con rabbia nella carne facendolo urlare, la voce che ritornò. Sheera non si preoccupò di questo, aveva creato intorno a loro una barriera magica apposita. E le piacque da impazzire il sentirlo supplicare, le sue scuse, le richieste di tenerlo in vita.

– Vi farò fuori.– iniziò a dire facendogli una profonda ferita di modo che non la guarisse.

– Uno ad uno.– continuò spostando la carne facendolo urlare disperato alla ricerca di ciò che voleva: il suo cuore. Lo strappò via e rise al suo grido sordo. Lo fissò in quegli ultimi istanti della sua vita e Merikh fissò lei, quella ragazza apparentemente normale ma che celava ben altro che teneva in mano il suo cuore pulsante e grondante di sangue nero. L'unico modo per uccidere un essere del genere era ferirlo direttamente al cuore, bruciarlo o distruggerlo. Anche senza potevano sopravvivere per giorni.

– Dovessi metterci secoli. Pagherete voi sporchi traditori.– concluse prima di mordere famelica la sua unica via di fuga da quel destino. Il sapore non era dei migliori ma era forte, deciso, la mandò in estasi. Il sangue scuro le colò dalle labbra lungo il collo, il posto, le mani imbrattate del suo peccato come molti altri. 

E una volta finito quel pasto a base di vendetta o odio, lasciò che il suo corpo venisse avvolto da delle fiamme violacee; non la ferirono come accade con la ragazzo ormai morto, sembravano invece incantarla e stordire i sensi. Era una sensazione straordinaria per cui rise come ubriaca. Si sentiva bene. Tremendamente. Era lei, era lei quando si perdeva nella propria oscurità.

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