Capitolo 5
Crowley aveva iniziato a chiedersi per quale ragione, tra tutte le cose che avrebbe potuto fare, tra tutti gli impieghi che avrebbe potuto trovare, aveva scelto un dannato negozio di piante.
Certo, era un ottimo giardiniere. Ma era anche consapevole del fatto che la clientela di un negozio di piante potesse essere curiosamente varia. E questa era una cosa tutt'altro che ottima.
Nel corso degli anni Crowley aveva imparato a riconoscere i tipi di umani che gli piacevano e quelli che detestava dal profondo del cuore.
Nonostante ciò che si potrebbe pensare a causa del fatto che il demone era, per l'appunto, demoniaco, Crowley non odiava i bambini, e neanche le vecchiette.
Certo, queste ultime tendevano a chiamarlo "bel giovanotto" e a parlargli per ore e ore quando il suo obbiettivo era di vendere un vaso di petunie e non di ascoltare racconti sui vecchi tempi che sicuramente lui non poteva neanche immaginare.
Non che avesse di meglio da fare che starle ad ascoltare. Da circa tre giorni la sua routine era diventata quanto di più grigio e schifoso potesse esistere. Finito il primo turno si miracolava una bottiglia di vino rosso in mano, si chiudeva nella stanza sul retro, guardava Golden Girls mentre beveva, smaltiva la sbornia, tornava al lavoro e poi di nuovo giù con gli alcolici.
Comunque. Le vecchiette in fondo erano un bel passatempo.
Ciò che non sopportava erano certi supponenti esseri umani tra i venti e i trent'anni che o lo fissavano in modo strano, o parlottavano tra loro in gruppo o cercavano di approcciarlo con grossi sorrisi e domande improbabili. Crowley adorava gli umani, ma odiava tanti dei loro meccanismi sociali costruiti per relazionarsi agli altri, basati sul fingere, sul recitare. Ed erano quelle le persone che non sopportava, quelle che andavano da lui recitando una parte, sia che gli sorridessero fingendo di essere gentili quando avevano parlato di lui come di uno strambo dall'aria inquietante, sia che cercassero di far finta di voler avere una conversazione casuale quando puntavano ad altro.
Grazie a... qualcuno, la clientela di quel genere non era mai troppo numerosa, ma lo infastidiva parecchio.
Poteva però vedere tanti altri sgraditi soggetti, tra ragazzini incazzati per aver dovuto accompagnare i genitori, persone che si facevano selfie con le piante e se ne andavano senza pagare niente (la sua invenzione alla fine gli si era ritorta contro...) e uomini d'affari che andavano talmente di fretta che sembravano essere inseguiti da un Cerbero pronto a mordergli il culo.
Ecco, Crowley aveva davanti quasi tutti i soggetti.
Un ragazzo e una ragazza occupati a farsi delle foto si fianco a delle rose e a occupare spazio, un tizio che gli si rivolgeva con il sorriso più forzato della terra e, subito dietro quest'ultimo, un tipo in giacca e cravatta che batteva nervosamente il piede.
Forse, se avesse fatto il venditore di dischi avrebbe trovato meno disagio, chissà.
Sta di fatto che il demone era nervoso, sia a causa della clientela, sia a causa degli avvenimenti dei giorni precedenti, che lo avevano lasciato piuttosto scombussolato.
Aziraphale non si era fatto vedere, Crowley era rimasto chiuso in casa, con la speranza che le ferite che aveva nell'animo guarissero.
Ma non era un dolore da niente, il suo. Aveva appena distrutto seimila anni di... di tutto quello che c'era stato tra di loro. E aveva solo voglia di bere.
Forse avrebbe dovuto chiudere il negozio e dormire per un centinaio di anni. Del resto era una cosa che aveva già fatto in passato, quindi perché no?
Cos'altro aveva da fare, esattamente?
Fu mentre era immerso in questi pensieri, occupato a contare il resto per Mr. Sorriso dell'anno, che sentì suonare il campanellino che segnava l'entrata di un altro cliente.
Borbottò un "buongiorno" senza alzare lo sguardo e finì di pagare dare il resto al tizio.
L'uomo con il Cerbero a mordergli il culo sospirò, avanzando verso la cassa "Finalmente."
Crowley stette zitto, gli disse quanto avrebbe dovuto pagare per il suo eucaliptus e finì il tutto in modo indolore.
Il cliente successivo posò una piantina, un garofano bianco, davanti a lui. Crowley alzò lo sguardo e vide davanti a sé il viso adorabilmente paffuto di Aziraphale.
"Posso aiutarla?" chiese il demone.
"Crowley, abbiamo bisogno di parlare."
"Questa viene dodici sterline, ma se vuole ho anche un vaso più grande, costa un po' di più."
"Puoi smetterla per favore?"
Crowley sospirò e posò i gomiti sulla cassa. Perché?
Perché non poteva rimanere lì, a deprimersi per il resto della sua vita, ovvero l'eternità, senza che il suo Angelo lo facesse stare ancora peggio?
"Non dobbiamo parlare. Dobbiamo solo allontanarci l'uno dall'altro e dimenticarci vicendevolmente. Allora, dodici sterline."
"Ma io non posso."
"Cosa? Dimenticarmi? Ma sì, certo che puoi. Fatti un lungo pisolino, vedrai che ti sveglierai come nuovo e senza demoni per la testa." disse Crowley, tenendo lo sguardo basso. Le sue parole suonavano velenose ma non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Crowley, non voglio dimenticarti."
Il demone si alzò, con l'obbiettivo di allontanarsi dal bancone e da Aziraphale. Quest'ultimo, però, si allungò verso di lui, posandogli le mani sulle spalle per dargli un bacio sulle labbra.
Crowley non avrebbe voluto desiderarlo così tanto. Non avrebbe voluto essere così debole, così vulnerabile.
Forse per la prima volta, in quell'esatto momento, un demone fu tentato da un angelo.
E il demone fu abbastanza debole da non riuscire a resistere.
Si strinse ad Aziraphale, pentendosi subito di ciò che stava facendo ma non riuscendo a evitarlo in alcun modo. Sapeva bene di essere troppo debole per resistere, proprio per questo in precedenza aveva evitato un ultimo bacio, o un ultimo abbraccio. Perché non sarebbe stato in grado di staccarsi mai più.
"Starò bene - gli sussurrò sulle labbra Aziraphale - Te lo prometto."
"Ti sbagli così tanto..."
Miracolosamente il cartellino che stava davanti alla porta, quello con su scritto "Aperto", si voltò, mostrando invece la parola "Chiuso".
Quanto gli era mancata la vicinanza dell'Angelo, e quanto odiava volerlo ancora di più stretto a sé.
Si separò da lui solo per un attimo, dato che tra di loro c'era ancora il bancone con la cassa e tutto il resto.
E in quell'attimo solo si sentì perduto e triste e disgustato da sé stesso per tutta la sua debolezza. Per non essere stato in grado di allontanare quello stupido di Aziraphale da sé per più di qualche giorno, per aver ceduto subito, per aver guardato nel pozzo della solitudine e non aver avuto il coraggio di saltare.
Si sentiva così egoista.
Aziraphale lo strinse di nuovo a sé e stavolta non si allontanarono l'uno dall'altro. Crowley lasciò che tutto accadesse, con la nebbia nella testa, una disperazione muta che lo avvolgeva e quell'odiata felicità che provava nello stare con l'angelo.
Affondò il viso nella sua spalla e lasciò che l'altro lo stringesse, lo coccolasse in modo così orribilmente gentile, mentre, preso dal rossore, iniziava a sbottonargli la camicia nera.
"Aspetta, avevi detto che non eri pronto..."
"Ora lo sono."
Aziraphale gli sorrise, cercando ancora di rassicurarlo. E gli sembrava così bello, in quel momento, con quel sorriso e con gli occhi luminosi.
Crowley lo baciò sulle labbra e si odiò, si odiò davvero tanto.
Avete presente quando iniziate un capitolo con l'intenzione di scrivere una cosa e ne esce fuori un'altra?
Ecco, indovinate cosa è appena successo.
COMUNQUE.
Due importanti annunci. Primo, sono riuscita a scrivere nonostante io mi trovi in un altro continente, quindi dovrei riuscire a pubblicare una volta a settimana, forse e poi tornare a scrivere di più dopo il quattro Agosto, giorno del mio ritorno.
Secondo, essendo io negli USA, cosa ho fatto il primo giorno? Sono volata in libreria e ho preso lo script book di Good Omens, che in Italia non si trova.
Invidiatemi.
ORA. Cosa pensate di questo capitolo? Non lo so, mi fa abbastanza strano, perché non era nei miei piani. What do you think?
(PS. I did this)
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