IX - Thomas

Thomas

"WICKED è buono"
"71526483"

«basta, basta...» sussurrai. Le voci si facevano sempre più forti, non riuscivo a farle smettere.

Aprii piano gli occhi e mi accorsi che mi trovavo in una struttura di ferro, si muoveva verso l'alto con un rumore assai forte.

"Lea"
"Codice mortale"

Con il chiasso e le voci nella testa non capivo più niente, il buio attorno mi stava inghiottendo e non avevo la minima idea di dove mi trovassi.

"Sta per cambiare tutto"
"Thomas"

Parole su parole, frasi sconnesse e numeri mi annebbiavano la mente. Pensavo che sarei svenuto e invece no, quella tortura mi tormentò ancora e ancora.

«smettetela, fermatevi...» sussurrai, provai a tapparmi le orecchie ma non servì a niente, le voci non si fermavano.

"Not alive"
"68275413"

«basta!» urlai «fatele smettere!» peggiorai la situazione, di fatto le voci divennero più insistenti e la testa pulsava molto più forte di prima, dovevo trovare assolutamente un modo per calmarmi.
Rallentai il respiro, mi sedetti e chiusi gli occhi.

"Labirinto"
"Memoria"

Le voci si fecero più flebili man mano, il dolore alla testa passava e il cuore riprese a battere a una velocità costante. Sentivo solo un po' di male al collo, un pizzico nella parte dietro, proprio sotto la nuca.

Finalmente non udivo più niente, solo il rimbombo del metallo contro altro metallo. La stanza di fermó, cessò anche quel fastidioso rumore e mi ritrovai avvolto dal silenzio che si fece man mano più inquietante. L'ambiente era troppo tranquillo, riuscivo a udire il mio cuore battere e sentivo un fischio nelle orecchie, era debole ma lo sentivo.
Aumentò.
Sarà una sensazione pensai, purtroppo non era così.

Si fece più intenso, mi facevano male le orecchie talmente era fastidioso, non era molto forte, però urtava parecchio l'udito. Capii che non era solo una sensazione e che quel rumore era reale. Sentivo come se un ago mi stesse entrando nelle orecchie e mi trafiggesse il cervello.
Dannazione

Chiusi gli occhi e provai a rallentare il battito cercando di nuovo di calmarmi invano. Questa volta non funzionava, dovevo trovare metodi alternativi. Ma quali? Mi tirai su in piedi e cercai di adattarmi al buio ma uno scossone improvviso mi fece cadere e la stanza in cui mi trovavo riprese a muoversi verso l'alto. Sbattei la faccia contro il pavimento di metallo e gemetti, la botta aumentò l'intensità del fischio e ci furono altri rumori insopportabili seguiti da scossoni.

Poi di colpo tutto si fermò -compreso quel fastidioso fischio- proprio come prima e una piccola luce rossa si accese lasciandomi vedere l'ambiente in cui mi trovavo.

Appoggiai la schiena contro la parete e raccolsi le gambe al petto respirando profondamente cercando di calmarmi. Stetti così per una mezz'ora circa anche se pareva di più, ma il silenzio illudeva le persone e così faceva anche con me. Mi resi conto che non avevo idea da dove saltasse fuori quel ragionamento né di chi fossi, solo che mi chiamavo Thomas. Sembrava l'unico ricordo che avessi, non conoscevo altro di me. Eppure sapevo cos'era una scuola, l'economia, una casa, l'oceano, i libri e tantissime altre cose materiali e non, solo... non riuscivo a collegarli con la mia vita. Scavai dentro me stesso cercando di aggrapparmi all'ombra di un ricordo, sentivo che c'era qualcosa di più, una sensazione difatti mi pervadeva ma non riuscii comunque a capirne la provenienza. Volevo sapere, ricordare, urlare dalla frustrazione. Mi bastava un volto, un nome, un'azione, un mio vecchio compleanno... Quanti anni avevo? Qual era il mio cognome? Chi era mia madre?
Chi sono io?

"Lea"

Una voce.
Poi l'ombra sfocata di un volto.

"Lea"

Ripeté.
Aprii gli occhi, non sapevo se tutto ciò stava davvero accadendo o era solo nella mia testa.

"Lea"

Non c'era nessuno, succedeva dentro di me.

"Lea"

Di nuovo.
Un volto, più vicino, meno sfocato, era una ragazza. Chiusi gli occhi e l'immagine si fece più nitida e riuscii a coglierne i particolari.

"Lea"

Sussurrò.
La voce era di una ragazza, quella nella mia testa, era lei che parlava, ne ero certo. Si avvicinò di più e sorrideva, aveva i capelli castani con qualche sfumatura dorata, le labbra non troppo carnose e gli occhi marroni, trasmettevano tranquillità.

«chi sei?» domandai al vento e la domanda sembrò rimanere sospesa nell'aria.

"Lea"

Ribadì la voce nella mia testa.
Mi concentrai su quella ragazza provando a ricordare ogni minimo dettaglio, era il mio unico ricordo oltre al mio nome, non potevo e non volevo lasciarmelo scappare. Ma di colpo diventò sfocata, si allontanò e l'immagine si riempì di macchioline nere che la ricoprono tutta. Rimasi con gli occhi chiusi con la speranza che sarebbe ritornata.

Fu così, la vidi di nuovo ma non come prima. O meglio, sì, era la stessa e identica ragazza, ma con qualcosa di diverso. Era più spaventosa, non che fosse brutta ma... metteva inquietudine.

Altre immagini veloci come la luce attraversarono i miei pensieri, raffiguravano sempre la stessa ragazza, Lea. La voce si fece risentire e ogni volta che pronunciava il suo nome accelerava. Che mi stava succedendo?

"Lea, Lea, Lea, Lea"

Andava come un fulmine e diventava man mano più forte, le immagini di fecero più inquietanti e scure e la ragazza di prima non la vedevo più, non era lei, era completamente cambiata. Aveva le vene rigonfie e un liquido nero le colava dal naso, gli occhi erano spalancati e esprimevano tutt'altro che tranquillità, ma pura pazzia. E rabbia, molta rabbia.

Aprii gli occhi per non vedere più quell'orrore e venni inondato da una scia di luce che mi costrinse a coprirmi la faccia con entrambe le mani. Richiusi gli occhi d'istinto ma rividi le immagini che stavano ancora passando nella mia testa. La voce non si era ancora fermata e urlava nelle orecchie con più forza e velocità, iniziavo a spaventarmi.

Sentii altre voci ma non riuscii a coglierne la provenienza, capii solo che appartenevano a dei ragazzi. Tolsi le mani da davanti la faccia e mi adattai alla luce di prima. Guardai verso l'alto e riuscii a scorgere qualche viso, ma non vedevo bene. Avevo la vista appannata e non sentivo nient'altro che la voce. Un ragazzo biondo entrò con un balzo nella stanza di metallo e si chinò su di me.

«hey, sai come ti chiami?» mi chiese. Lo sentivo a malapena, volevo rispondere ma non riuscivo a parlare, la mia lingua era come bloccata e quello che feci fu solo guardarlo con un'aria spaventata. Lui se ne accorse e mi mise una mano sulla spalla chiedendomi se stessi bene. A quelle parole la voce emise un urlo fortissimo da trapanarmi i timpani. Di scatto portai le mani sulle orecchie e chiusi gli occhi rivedendo il volto di quella ragazza.

Il biondo parve preoccuparsi e si avvicinò a me confuso. Poi tutto si fermò proprio com'era iniziato.

Spalancai di scatto gli occhi e presi un respiro enorme, mi misi a pancia in su e guardai verso l'alto notando il viso di una ragazza. Quella ragazza.

«Lea» dissi con un filo di voce «Lea...» ripetei debolmente.
Poi buio.

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