Prologo pt. 1: Hale

Il ragazzo si era stancato della sua vita. Non ne poteva proprio più di quella monotonia.
Era uno studente di un college insignificante, che la sera lavorava in uno squallido bar vicino alla stazione del treno per pagarsi l'affitto di un monolocale in cima ad un grattacielo di Los Angeles.
Nella sua vita aveva fatto di tutto, dall'imbianchino al commesso in un negozio di fiori, eppure, andando avanti con gli anni gli risultava sempre più noioso andare avanti.

Per cui un giorno ignorò la sveglia alle sei di mattina, dormì per altre due orette e poi mise tutti i suoi pochi averi in una valigia: dei vestiti sgualciti, una ventina di diari rilegati in pelle dall'aria consunta e una fotografia in bianco e nero, che ritraeva un ragazzo con un sorriso contagioso che abbracciava una donna sui vent'anni dallo sguardo di sfida e un ghigno prepotente.

Poi uscì di casa, si chiuse la porta alle spalle e lasciò le chiavi nella cassetta della posta, senza guardarsi indietro nemmeno una volta.
Camminò per le strade affollate fino ad arrivare ad un grande edificio con una scalinata in marmo e una scintillante porta a vetri oscurati sotto alla targa che recitava: Agenzia viaggi "the eternity"

Il ragazzo soffocò una risatina pensando a quanto fossero pacchiani quelli dell'Agenzia, insomma, chiamarla addirittura Agenzia...
Il ragazzo non li apprezzava affatto, né loro in sé per sé, né i loro metodi. Se fosse stato per lui avrebbe girato al largo da quell'organizzazione, ma doveva ammettere che erano utili a volte. Maledettamente utili.

Per cui salì i gradini e si specchiò sulla porta a vetri. Capelli tagliati a spazzola talmente corti da renderne indistinguibile il colore facevano spiccare occhi di un verde intenso e vestiti troppo stretti fasciavano un corpo massiccio e muscoloso, segno di tutti quei pomeriggi passati in palestra a sollevare pesi.

Il ragazzo entrò e per prima cosa venne aggredito da un forte odore di caffè appena fatto.
Di fronte a lui si trovava una maestosa sala in stile vittoriano, dalle pareti in marmo bianco e una reception dove una ragazza minuta stava scartabellando alcuni documenti.
<<Buongiorno.>> Disse senza alzare gli occhi dalle scartoffie.
<<Come posso aiutarla?>>
<<Ritrasferimento.>> Disse il ragazzo seccamente. Con gli anni aveva capito che nonostante alla reception preferissero di gran lunga nomi in codice lunghi e pieni di giri di parole, faceva decisamente prima ad arrivare dritto al punto.

La ragazza alzò la testa di botto, esaminando il ragazzo da capo a piedi.
Ci mise un attimo a riconoscerlo e subito il suo atteggiamento si trasformò in moine e gentilezza.
<<Signor Wadsworth! Ma che piacere rivederla qui! Non si preoccupi, non c'è problema, la accompagno subito all'ufficio di ritrasferimento. è da pochissimo tempo che non passa da qui, mi sorprende! Mi segua.>> Disse alzandosi e facendogli strada verso un ascensore nel muro.

Quanto prestigio legato a quel cognome. Al cognome di Erin. No, non al cognome, quello non c'entrava nulla, era lei ad essere una leggenda. Un mostro. Un'eroina. Tutto dipendeva solo dal punto di vista.
La ragazza selezionò il pulsante per il primo piano e una fastidiosa melodia invase l'abitacolo. Il ragazzo si strinse la radice del naso tra due dita, guardando il numero dei piani.

Piano numero uno: smistamento e trasferimento.

Piano numero due: uffici dei gradi e auditorium.

Piano numero tre: Sala riunioni.

Piano numero quattro: Uffici dei generali.

Piano numero cinque: Amministrazione suprema.

Piano numero sei... quel bottone non portava nessuna etichetta, ma il giovane sapeva a cosa era adibito: Lì venivano rinchiusi i prigionieri e torturati per estorcergli informazioni importanti sui cacciatori.

Ed erano i mercenari a gestirlo. I mercenari che si trovavano addirittura al di sopra dell'amministrazione suprema.

Per fortuna le porte dell'ascensore si aprirono con uno scossone e lui scattò fuori senza aspettare la ragazza. Tanto sapeva già dove andare.

Entrò in un ufficio senza bussare e si richiuse la porta alle spalle.
Seduto ad una scrivania c'era un uomo tarchiato con dei capelli neri laccati all'indietro e rughe intorno agli occhi ad evidenziarne l'età.
<<Morice!>> Disse il ragazzo a mo' di saluto. L'uomo sorrise e gli fece cenno di accomodarsi ad una sedia.

<<E così è già qui, signor Wadsworth. Devo dirle la verità, non lo aspettavo così presto.>>
<<Neanche io pensavo di stancarmi in così poco tempo, ma eccomi qui.>> Rispose il ragazzo con voce secca e concisa.
<<Certo, certo. Capita a tutti sai? Arrivati ad un certo punto si perde interesse per ciò che hai visto ripetersi come un gigantesco loop...>>
<<Risparmiati questo discorso Morice, ne abbiamo già parlato. Non sono come Erin e non ho nessun interesse a diventarlo.>>

L'uomo si sporse in avanti tormentandosi le mani grassocce e sporche di inchiostro.
<<Suvvia, la signora Wadsworth in tutti questi anni ha deciso di avere un solo apprendista. Uno solo. E lei da giovane ingrato, invece che seguire le orme della donna più ammirata in tutta l'Agenzia preferisce vivere cento vite di noia e anonimato.>>
<<Sì.>> Tagliò corto.

<<Beh, io penso che presto si accorgerà anche lei che ha bisogno di un obiettivo vero.>>
Il ragazzo sospirò e si impose di non rispondere male all'uomo.
<<Forse un giorno, ma intanto voglio un nuovo trasferimento.>>

Morice fece una smorfia, sapeva che discutere con il giovane era impossibile.
<<Va bene, ha già in mente una città?>>
Il ragazzo scrollò le spalle con noncuranza e scosse la testa.
<<Mi piacerebbe tornare in Europa.>> Rispose seccamente.
<<Bene, allora provvederò. Il nome invece?>>
Il ragazzo, il cui vecchio nome era Dean, si gustò il momento. Era la parte migliore e la peggiore allo stesso tempo. Lo scegliere un nuovo nome e abbandonare la propria identità che ormai stava stretta aveva un che di magico, mescolato a malinconia e nostalgia.

<<Hale. Hale Wadsworth. Suona bene.>>
Morice accese un computer e digitò alcuni tasti.
<<H-a-l-e. Perfetto, direi che diciannove anni possano andar bene, in fondo dimostra quell'età.>>
Hale annuì compiaciuto.
<<Bene, allora signor Wadsworth le chiedo di aspettare qualche ora e poi di ripassare. Le consegnerò i nuovi documenti e le spiegherò bene chi sia Hale.>> E pronunciando il nome fece il segno delle virgolette.

Hale sperò che Morice si inventasse una storia credibile stavolta, e non quell'assurdità che si era fatto venire in mente per il nome Dean. Già, probabilmente Dean era stata l'identità peggiore che il ragazzo avesse mai avuto. E ne aveva avute tante.
Hale Wadsworth, nuovo nome, nuova vita. Andava avanti così da secoli ormai e il ragazzo ci aveva fatto l'abitudine, tanto che ormai gli sembrava di cambiare identità come un serpente cambiava la pelle. Uscendo dall'ufficio gli venne in mente che magari avrebbe potuto pure farsi crescere un po' i capelli.





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