Capitolo 6: All'inseguimento di Bobby

Rose's pov

C’è troppo rumore. Ovunque. Mi rimbomba in testa, mi assorda, mi stordisce.
Vago come uno zombie nei corridoi della scuola, trattenendomi per non mettermi ad urlare agli altri studenti di stare zitti. Ogni loro parola sembra amplificata come se stessero strillando. Solo che non sono loro il problema. Sono io. Sento cose che non dovrei sentire, come discorsi di gente dall’altra parte della scuola. Tutte le voci, le risate e i rumori si sommano insieme e mi stanno facendo esplodere la testa.

Devo andare via da qui se non voglio impazzire.
Vado a sbattere contro dei ragazzi più grandi.

Boffonchio uno “scusa” strascicato e trattengo una smorfia quando loro mi urlano di stare più attenta.

Basta. Mi stanno implodendo i timpani.
Mi sento quasi disconnessa dal mio corpo.
Non ho mai immaginato che un tale frastuono potesse stordirmi così.
Mi sento come un cane terrorizzato dai botti dei fuochi d’artificio, che corre disperato da una parte all’altra non capendo più nulla.
So solo che devo uscire da questa scuola del cazzo, cercare un posto tranquillo e scoprire una volta per tutte che cos’ho.

Il rumore ha iniziato a darmi fastidio in mensa, prima stavo bene.
Sto per piangere.
Gridare.
Buttarmi per terra e coprirmi le orecchie con le mani. 
Per non sentire. Il rumore.
Mi guardo intorno.
Non riesco a concentrarmi sui singoli visi.
Non capisco più niente.
Corro come un animale braccato fuori dalla scuola.
In cortile.
Aria fresca.
Sto un po’ meglio.
Ma continuo a sentire rumore.
Mi fa male la testa e la vista vacilla.
Cammino per la strada di ghiaia che porta verso il boschetto di betulle vicino al cortile.
Lì troverò del silenzio.

Spero.

Corro.

In mezzo agli alberi dalla corteccia bianca e le foglie variopinte di arancione e rosso.
Il frastuono delle voci comincia pian piano a diminuire, finché non si ferma del tutto, lasciando il posto solo al cinguettio di qualche passerotto nei paraggi.
Mi fermo e mi siedo su un sasso in parte coperto di muschio. Sono nel bel mezzo del bosco, vicino ad un piccolo stagno dove minuscoli moscerini sfrecciano sopra all’acqua verdastra. La luce del sole filtra tra le fronde degli alberi avvolgendo tutto il paesaggio in un manto dorato. L’aria fresca mi aiuta a schiarirmi i pensieri mentre la pace di quel luogo mi culla pian piano verso una sensazione di tranquillità. La calma dopo la tempesta.

E’ inutile chiedermi come mai mi sia successo questo. È ovvio che si tratta di qualcosa legato alla mia sparizione. E al posto dove mi sono svegliata.
Forse questo è il momento giusto per iniziare a riordinare le idee e a capire che mi è successo.
Allora, partiamo col primo punto: mi sono svegliata in un obitorio. Chi mi ci ha messa lì? E soprattutto perché? Ero coperta di sangue. E indubbiamente c’è qualcosa di diverso in me ora. Forse sono morta e tornata in vita tipo zombie o vampiro, anche se la seconda ipotesi la scarterei perché riesco ad espormi alla luce del sole senza problemi. Anche la prima mi sembra inverosimile visto che non ho assolutamente voglia di mangiare cervelli. Allora che mi è successo? Se solo ricordassi… 

Un rumore di foglie calpestate mi riscuote dai miei pensieri e mi volto di scatto con una velocità e una grazia che non mi appartengono.
Ma non c’è niente. Eppure giurerei di aver sentito qualcuno.
Sto per tornare a riflettere sui miei dilemmi quando vedo un cervo scrutarmi dall’altra parte del sentiero. Ah, ecco cos’era quel rumore. C’è solo lo stagno a dividerci e ammiro quell’animale maestoso. La cosa che mi colpisce di più sono le corna enormi, che da quel che dovrei ricordare ho anch’io.

<<Entrambi cornuti, eh?>> Dico. Non mi deprimo per questo, mi sento solo incazzata. Non sono mai stata quel tipo di ragazza che dà tutta se stessa nelle relazioni, però il minimo è essere sempre fedeli al partner. Per fortuna da quello che mi hanno detto i miei migliori amici l’ho lasciato quel cretino.
La bestia mi fissa e giurerei di sentire nell’aria l’odore della sua diffidenza, mescolato ad un po’ di curiosità. 

<<Che c’è? Non hai mai visto una ragazza?>> Gli chiedo sentendomi subito una stupida. Insomma, sto parlando con un cervo. Devo essere messa proprio male.
L’animale indietreggia di qualche passo, spaventato dalla mia voce.
<<Esatto,vai via. Sono nel mezzo di una crisi esistenziale, quindi lasciami riflettere in pace.>>

Il cervo non accenna ad andarsene però, quindi mi avvicino di un passo e faccio uno scatto in avanti, per spaventarlo e farlo scappare.
Solo che in qualche modo calcolo male la distanza e volo dritta dritta oltre lo stagno.

E con volo non intendo salto. Mi libro per circa due metri da terra e vengo catapultata in avanti proprio contro il tronco di un albero.
<<Ma che cazzo…>> Esclamo cercando di districare una ciocca di capelli scuri da un ramo.

Il cervo scappa terrorizzato e qualcosa dentro di me si risveglia. Una sorta di perverso divertimento primordiale per la caccia. Improvvisamente voglio prendere il cervo e… non lo so. Magari mettergli un fiocco tra le corna, chiamarlo Bobby e tenerlo come animale domestico. Voglio solo raggiungerlo, il resto non conta.

Mi lancio all’inseguimento, un po’ svolazzando, un po’ correndo. Il cervo è veloce, sfreccia tra le fronde come una saetta, ma io lo sono di più.
Lo avrei già raggiunto da un pezzo se non fossi così goffa. Non sono abituata a questa nuova velocità e continuo a sbattere ed impigliarmi tra i rami e le fronde. E secondo me ad un certo punto mi sono mangiata pure un moscerino.

Corro tra gli alberi come… non lo so nemmeno io. Mi sento più veloce della luce.

Devo.

Raggiungere.

Quel.

Cervo.

Vedo la distanza tra noi accorciarsi sempre di più, finché c’è solo qualche metro a separarci.
Con un volo gli salto in groppa e mi aggrappo alle sue corna. Lui scuote la testa violentemente cercando di disarcionarmi, ma sono più forte io e riesco a rimanere lì.
<<Insomma Bobby! Non vuoi diventare un cervo domestico?>> Chiedo, proprio quando lui si alza sulle zampe posteriori facendomi sbattere la testa contro ad un ramo.

<<Ahi! Figlio di puttana!>> Esclamo cadendo di culo dalla groppa. Il cervo scappa via e io mi massaggio la nuca stordita.

<<In fondo è meglio così, Bobby non si meritava l'onore di essere il mio cervo domestico.>> Borbotto.
Per lo meno la voglia di rincorrere animali così a caso sembra essere passata. Per ora. 
Gatti del quartiere temetemi, il vostro peggiore incubo è arrivato.
Sono proprio un disastro! Il mio cardigan rosa è strappato in diversi punti per via dei rami in cui mi sono impigliata e i miei capelli sono… un nido. Letteralmente. 

Beh, posso sempre dare il via ad una nuova moda. Ormai non perdo neanche tempo a chiedermi che mi sia preso, tanto è tutto collegato.
Però se riesco a volare alla fine questa cosa potrebbe anche essere una figata.

Solo che come faccio a volare? Non ci ho pensato prima, mi sono librata in aria e basta.

E se ci riprovassi? Chiudo gli occhi e mi immagino senza peso. Non sta succedendo nulla e… <<MERDA!>> Esclamo. Ricadendo a terra per la seconda volta.

Forse il posto migliore per imparare a volare non è un bosco pieno di dannati rami che sembrano non voler altro che colpirmi.
Mi incammino fuori dal boschetto, un po’ saltellando, un po’ svolazzando. Mi viene naturale, come se non fosse assolutamente una cosa stranissima.

Beh, anch’io adesso sono stranissima.





















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