Capitolo 2: Un fantasma per la strada

Hale's pov

Non c’è niente di meglio che guidare di notte su una statale deserta, da soli, senza pensieri, cantando a squarciagola canzoni di secoli passati.
Sto tornando dall'aeroporto dopo una bella vacanza alle Maldive.

Hale Wadsworth, un’identità che mi piace e che indosso da circa un anno ormai, stavolta ho un lavoro come bibliotecario in un paesino sperduto in Inghilterra.
Scommetterei qualsiasi cosa che Morice pensava di farmi un dispetto dandomi un lavoro così noioso, ma non ha idea di che favore mi abbia fatto.

Posso starmene tranquillo in un luogo silenzioso e pacifico, sommerso tra i libri e venendo pure pagato. Una pacchia insomma, in confronto a quello che ho passato.
Le Maldive sono state una bellissima distrazione per due settimane, ma ora, guidando lungo la strada deserta, riesco solo a pensare a quanto mi sia affezionato a questo posto. Forse ci resterò più del previsto.

Seleziono dal bluetooth della macchina il numero di Summer e la chiamo.
La mia datrice di lavoro risponde dopo una manciata di minuti con voce squillante e allegra, nonostante l’orario.
<<Hale! Sei già arrivato in città?>> Mi chiede. Summer è quel tipo di ragazza perennemente attiva, sveglia a qualsiasi ora della notte, in qualsiasi contesto.

Ha circa vent’anni, i capelli biondi e gli occhi azzurri come l’oceano sotto al sole.

<<No, ma sto arrivando.>> Le rispondo.
Passa un minuto di silenzio, poi Summer sussurra:
<<Sai che Rosemary Sepherd è sparita da due giorni?>>
<<E’ solo sparita, magari non le è successo nulla e riapparirà quando meno lo si aspetta.>>

Non credo nemmeno io a quello che ho detto, ma è ciò che Summer ha bisogno di sentire. Probabilmente avrà fatto una di quelle cazzate da adolescenti, per attirare l’attenzione, oppure è scappata con qualche ragazzo e tornerà appena si renderà conto che quando le cotte passano le idee pazze come sparire nel nulla perdono la loro magia. E poi siamo a New Hill, una cittadina che definire noiosa è come dire che una pozzanghera sia l’Oceano Pacifico.

Rose Sepherd è una ragazza del liceo di New Hill, una di quelle popolari ma non bulle, una di quelle belle ma non snob. Per quello che ho capito osservandola in biblioteca intenta a studiare con le sue amiche è una di quelle rare persone dolci e sensibili che la vita non ha ancora spezzato.

<<Non lo so, Hale. Quando arrivi vuoi passare da me? Per stare un po’ insieme.>>

Non ci vuole un genio per capire che il “per stare un po’ insieme” di Summer nasconde parecchi doppi sensi. Abbiamo cominciato ad andare a letto poco prima della mia partenza alle Maldive. Una sera, poco dopo aver chiuso la biblioteca l’ho riaccompagnata a casa sua e le cose… beh, ci sono sfuggite un po’ di mano. 

<<E a Roger andrà bene?>> Chiedo menzionando il suo fidanzato.
Mi immagino di vederla irrigidirsi dall’altro capo del telefono. Sinceramente non ho idea di come mai quei due stiano insieme, vista la facilità con cui si tradiscono l’un l’altra.
<<Roger stasera non è a casa.>> Ovviamente.

Non che mi lamenti di questo rapporto con Summer, ma sono stanco di fare l’amante segreto. Se mi vuole allora che trovi il coraggio di dirlo al suo fidanzato, sennò che si tenga Roger.
<<No, sono stanco. Ti ho chiamato per dirti che domani penso mi prenderò il giorno libero per disfare i bagagli e cazzeggiare un po’.>>

La sento sospirare, mi sa che ha capito il vero motivo dietro al mio rifiuto.
<<Va bene, allora non ti trattengo oltre.>> E detto questo mi chiude il telefono in faccia.
Mi sfugge un ghigno. <<Buonanotte anche a te.>> Ridacchio da solo.

Freno di botto, talmente veloce che vengo sbalzato in avanti e poi di nuovo indietro.
In mezzo alla strada c’è una figura avvolta in un lenzuolo bianco.
Cazzo, io non credo nei fantasmi, ma questo…
Scendo dall’auto e mi avvicino, con una mano nella tasca della giacca che stringe l’elsa fredda di un coltello.

Ma poi perché un coltello dovrebbe essermi utile di fronte ad un fantasma?
La figura sta tremando e illuminata dai fari della mia auto sembra pallida come un vampiro.
Mi scappa quasi una risata, se fosse un vampiro sarebbe proprio il colmo, una sorta di umorismo cosmico perverso che mi perseguita da qualche secolo.

Ora che mi sono avvicinato noto che è una donna o una ragazza. Capelli scuri le coprono il volto e le ricadono disordinati sul corpo avvolto dal lenzuolo.
I piedi sono scalzi sull’asfalto e quando alza il viso vedo due profondi occhi di una particolare tonalità color acquamarina, disperati.

Da come si copre col lenzuolo sembra quasi che sotto non indossi nient’altro e qua e là spuntano delle macchie color ruggine sulla stoffa bianca che scommetto siano di sangue.
<<Ciao.>> Mi dice con voce roca, come se avesse urlato per tutta la notte, e improvvisamente la riconosco.
<<Rosemary?>> Chiedo e lei annuisce tremando.

<<Tu sei… se-ei Hale Wadsworth, il bi-bibliotecario.>> Balbetta con le labbra viola.
<<Che ci fai qui? Vuoi che chiami la polizia?>>
Vedo il suo sguardo cambiare. Sussulta e nei suoi occhi appare un lampo di terrore e panico.

<<N-no, per favore. Pe-però, s-se non ti dis-piace potresti darmi u-un passaggio in città?>>
Sono esterrefatto, si trova in queste condizioni e non vuole chiamare la polizia. Mi chiedo che le sia successo, per non voler chiamare aiuto.
<<Rosemary, ti ripeto che forse dovremmo chiamare la polizia.>>
<<No!>> Esclama con convinzione.

Se fossi una persona assennata ignorerei quello che mi ha detto e chiamerei i carabinieri immediatamente, ma non sono una persona assennata.
Assolutamente no, ho passato troppo tempo con Erin per definirmi qualcuno con molto buonsenso.
<<Lo capisci che se mi vedono in macchina con te in questo stato rischio di finire in guai grossi?>> Le chiedo.

Rosemary annuisce e mi fissa con quegli occhioni da cerbiatta che immagino facciano impazzire molti dei suoi coetanei.
<<Sei ferita? Ti porto in ospedale?>> Le chiedo e la ragazza scuote la testa.
<<Sto bene, davvero. Voglio solo tornare a casa.>>

Voglio solo tornare a casa, ha detto. Vengo colto da un profondo senso di deja-vu, sono le stesse identiche parole che ho pronunciato anni fa, una sera d’inverno, quando ancora credevo di star per morire.
Ripeto che una persona assennata e responsabile avrebbe chiamato la polizia, ma io probabilmente non ho mai avuto questo gran senso di autoconservazione.

Quando sale tremando sul sedile del passeggero mi rendo conto che forse sto cominciando a perdere troppo il contatto con le regole di questo mondo per temere dei semplici esseri umani. Mi tolgo la felpa e rabbrividisco per via della fredda aria autunnale.
<<Tieni, almeno cerca di evitare di prenderti una polmonite.>> Dico a Rosemary passandogliela.











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