Capitolo 27
Questa volta quando mi svegliai, ne ero stanco.
C'erano bende lungo il mio corpo, troppe per tenerne traccia. Tutto faceva male. Le mie guance erano calde.
"È sveglia," sentii. Era Mia. Riconobbi il modo in cui la sua voce si alzava alla fine delle sue frasi. Sembrava stanca.
Entrò una dottoressa, guardandomi dall'alto in basso e scrivicchiando come una matta su una lavagnetta.
"Dove si trova?" Gracchiai. La mia voce suonò come se fumassi da vent'anni. "Mia, dov'è Zack?"
"Sta bene," disse esitante.
Alzai lo sguardo su di lei. "Non mentirmi."
Si morse le labbra. "È ferito gravemente ma mi hanno detto che ce la farà, ok? Questo è tutto quello che so."
"Ma io... ho visto un corpo su una barella coperto-"
"Era Marcus," disse. La sua voce era vuota ora. "È morto nell'impatto."
Mi sfuggii uno strano suono soffocato e mi sembrò che qualcuno mi stesse premendo sulla gola.
Marcus era morto. Marcus era morto. Marcus era morto.
Mi guardai intorno nella stanza, cercando qualcosa su cui concentrarmi sui muri.
Stava succedendo davvero?
"Sta bene," disse il dottore. "La sua gamba impiegherà un po' a guarire, ma gran parte del suo corpo è stata nascosto durante l'incidente vero e proprio."
Mi congelai. Un ricordo mi attraversò la testa.
Un errore involontario. Un incidente. Il corpo di Zack si affrettava a coprire il mio.
La mia bocca sapeva di sale. Il dottore stava dicendo qualcosa ma non riuscivo a capirlo.
"Posso vederlo?" Lo interruppi. "Zack."
"Non ora," disse il dottore. "Lui è in-"
Venne interrotta da uno stagista che entrò e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Ci fu una pausa poi la donna mi guardò.
"Domani," disse. "Domani puoi vederlo." Lei fece un cenno a Mia. "Ce l'ha fatta."
Le prossime dieci ore della mia vita furono un inferno. Mi avevano chiesto dell'incidente. Com'era successo? Perché Marcus avrebbe dovuto farlo? Mi scervellai alla ricerca di ricordi che sembravano non esistere. Nel frattempo, sapevo che Zack doveva essere in fondo al corridoio.
Infine, chiesi a tutti di andarsene così potevo addormentarmi. Anche gli incubi erano meglio della realtà in questo momento.
Dormii dieci ore di fila. Appena mi svegliai, chiesi di vederlo. Mi guardavano come se fossi un cucciolo preso a calci. Volevo solo vedere il ragazzo che amavo.
Attesi un secondo fuori dalla sua stanza per ascoltare ma non c'era suono. Il mio cuore sprofondò. Non era un buon segno.
Quando entrai, trovai Carrie e Pete, entrambi con le occhiaie. Carrie si sforzò di sorridere e mi chiese se stessi bene. Dissi di sì, stavo bene. Gli chiesi come stesse lui.
Giaceva con gli occhi aperti. Si illuminarono appena mi vide. Il mio il cuore bruciò mentre prendevo la sua mano nella mia.
"Stai attento," disse Pete.
"Stai bene?" disse, la voce più bassa di quanto l'avessi mai sentita.
"Sto bene," dissi. "Ma tu..."
"Ehi, sto bene," disse ma la sua voce era rotta.
"Cosa c'è che non va?" Chiesi. La mia mano andò sul suo viso. "Cos'hanno detto?"
Mi fissò negli occhi e fu come guardare un vetro infrangersi.
"Hanno detto che forse non potrò mai più giocare a football."
E poi ci furono le lacrime. Singhiozzava mentre lo tenevo. Cercai di convincermi a dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma non ci riuscii, quindi lo strinsi più forte.
Seppellì il viso nella mia maglia e io lasciai che le lacrime bagnassero e mi baciassero la mia pelle.
Avevo avuto paura degli incubi per così tanto tempo. Ora sapevo che non erano niente in confronto alla realtà.
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