XV. Promesse e incontri
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Le tende porpora nelle stanze del principe oscuravano i primi raggi del sole, conciliandone un riposo lontano da incubi. Ma presto gli occhi di Will si schiusero e reagirono all'ennesimo battito contro la porta chiusa. Il principe si sforzò di alzarsi e infilarsi al volo una lunga camicia bianca, buttata al margine del letto la sera prima.
La sorpresa di vedere la regina Cassandra, già vestita a dovere e con i lunghi capelli rossi raccolti e impreziositi da gemme scintillanti, fu ben visibile negli occhi ancora assonnati del principe.
«Will, vostro padre ed io abbiamo bisogno di parlarvi» il suo era un tono autoritario, ma si era sempre rivolta all'erede come se fosse uno dei suoi figli. Lo amava allo stesso modo di Aileen e Owen. Quei ragazzi erano tutto per lei, tutta la sua anima.
«Quale conversazione non può attendere che il futuro re si sia riposato a dovere?» il tono ironico di Will fece arricciare il naso della regina, anticipandone un largo sorriso.
«Una conversazione molto importante» la donna stava per allontanarsi, poi si volse indietro. La luce proveniente dalle alte finestre brillava sui diamanti appesi attorno al collo. «E badate che un buon re non ha il tempo di dormire».
Will roteò gli occhi al cielo, si chiuse la porta alle spalle e si vestì velocemente. Lavò il viso nell'acqua fresca e passò la mano ancora umida sui capelli dorati, cercando di domare i ricci ribelli.
Si chiese quale altro problema avrebbe dovuto affrontare quel giorno.
«Oh bene, siete qui. Venite pure avanti figliolo» la mano alzata di re Richard, seduto a capo del lungo tavolo, fece cenno al principe di proseguire, intimandogli con lo sguardo di prendere posto accanto a lui, di fronte alla regina Cassandra. La tavola era imbandita con piatti e frutti esotici, latte aromatizzato alla vaniglia, panini dolci al miele e torte con noci e semi di melograno, le preferite del sovrano di Auringon.
Will invece afferrò una mela dal succo pomposo, continuando a rigirarsela tra le mani, l'aria preoccupata sul viso. Si rilassò solo quando notò lo sguardo spensierato del padre.
«Da quando la principessa Alis è qui a corte, vi ho lasciato carta bianca. In accordo con Aeron vi ho lasciato la libertà di agire come se foste già il re e la regina perché volevo mettervi alla prova. Non sempre sono stato d'accordo con le vostre richieste e le vostre scelte, soprattutto le più recenti, ma ho comunque nutrito profonda fiducia in voi e nel vostro buon senso» gli occhi del re scintillavano. Will sapeva bene a quali scelte alludesse, dopotutto non era un segreto il risentimento nutrito dalla corona nei confronti dei pirati. «Ma ora, caro figliolo sono io a chiedervi qualcosa. È tempo che vi assumiate ufficialmente le vostre responsabilità, che diventiate un tutt'uno agli occhi del popolo e degli dèi. Io e la regina siamo d'accordo, e lo è anche re Aeron» la mano del sovrano strinse quella minuta della moglie. Richard aveva gli occhi lucidi, ricolmi di gioia.
«Padre, parlate del... del matrimonio?» la mela scivolò lontano dalle mani del principe quando vide il sovrano annuire.
«Questo è l'anello che vostro padre mi ha donato il giorno del nostro matrimonio, consacrando la nostra unione. Con questo anello vostro padre ed io ci siamo giurati amore eterno» la regina sfilò dall'esile dito un grosso anello con lo stemma reale e lo posò sul palmo aperto del principe. Will lo conosceva bene, era l'anello di famiglia. Per generazioni re e regine di Auringon avevano suggellato il loro amore con quell'anello, dichiarando di appartenersi a vicenda, per sempre.
«Ma questa non sarà solamente una cerimonia di unione eterna; se vorrete davvero chiedere l'aiuto e il sostegno del popolo dei pirati, sarà necessario che tutti vi vedano come qualcosa di più di semplici marito e moglie. La vostra forza dovrà essere indiscussa, le vostre figure istituzionalizzate. Per questo, caro figlio, quel giorno sarà doppio di festeggiamenti: sarete incoronati re e regina di Auringon e Emergard».
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L'umore di Will sembrava toccare il cielo. Camminava a passo svelto verso la fonte dei suoi pensieri.
Come avrebbe dovuto dirlo? Quali parole erano giuste per chiedere la mano della donna che amava?
La sua principessa era poco distante, il suo cuore fu condotto come una calamita verso quello di Alis. Con lo sguardo accigliato e attento, lei era immersa in una lettura appassionante; i suoi occhi scuri brillavano come stelle e seguivano il fiume di parole, le dita esili assecondavano con delicatezza le pagine ingiallite. Era seduta all'ombra di un alto padiglione fiorito e i raggi del sole che filtravano attraverso i rovi le illuminavano il viso, le labbra arrossate, le guance spolverate di primavera.
Il vestito in finissimo pizzo bianco la circondava di un'aurea serena, bucolica, idilliaca. I lunghi capelli erano sciolti, come li portava sempre, e la corona di rose rosse faceva risaltare le gote, spruzzate di un velo di colore delicato.
Sembrava una creatura celestiale, più simile ad una dea che a una mortale. Il respiro di Will si spezzò per pochi secondi quando la vide lì seduta, di una bellezza disarmante, e il cuore si infiammò di un ardore tale che avrebbe potuto incendiargli le ossa.
All'improvviso gli venne in mente la conversazione con sir Achille in un giorno troppo lontano per essere ricordato soltanto come qualche mese prima, quando aveva scherzato sulla bellezza della principessa e sulla nobiltà del suo carattere.
Will credeva di aver visto molte donne dotate di una bellezza straordinaria, credeva che nessuna avrebbe più potuto affascinarlo, ma ora che era a pochi passi dalla principessa fu felice di essere nel torto. Nessuna donna splendeva quanto Alis. Nessuna fanciulla del regno poteva gareggiare con la principessa, esattamente come nessun bocciolo poteva essere più meraviglioso e profumato di un fiore rigoglioso.
Il suo animo, il suo cuore, il suo coraggio erano autentici. Le sue qualità e i suoi sentimenti provenivano da un altro mondo. La purezza e la forza della mente la elevavano, equiparandola ad una divinità.
Il principe la guardava e vedeva in lei una benedizione, la sua salvezza. Nella tragedia di essere nato nel momento esatto in cui re Harald era ritornato alla vita, di aver perso la madre, di dover lottare giorno dopo giorno contro un destino crudele, Will era immensamente felice che gli dèi lo avessero scelto come amico e compagno della principessa. Sentiva di potersi fidare di lei come mai di nessuno, di poterle raccontare la sua vita, i suoi ricordi, sapendoli al sicuro, custoditi con amore nel suo cuore puro. Sentiva che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa, perché nessuna paura sarebbe stata più grande del timore di perderla. Will non aveva mai capito il vero significato dell'amore. almeno, non prima di averla incontrata. E, in cuor suo, sperava che anche Alis provasse un sentimento tanto profondo.
«Will! Venite. Vi ho visto dietro la colonna!» la sua voce da usignolo spezzò il flusso di pensieri del principe.
«Non volevo disturbare la vostra lettura, sembra avvincente» il principe prese coraggio e si avvicinò, chinando il capo.
«Lo è, in effetti. Parla di due giovani innamorati che devono affrontare le avversità di un destino sfavorevole per poter stare insieme, per fare in modo che le loro mani si tocchino ancora e i loro cuori siano liberi di amarsi» la luce negli occhi della principessa era più luminosa del sole di Auringon.
Will aveva azzerato in fretta lo spazio che li separava, sedendosi accanto a lei sulla panchina di pietra levigata e avendo ora il candido viso di Alis a un respiro dal suo. Allungò la mano sul libro, intrecciandola a quella della fanciulla. Una scossa risalì dal braccio e gli pervase tutto il corpo. La principessa sorrise a quel tocco, le iridi scure scrutavano il volto di Will.
«E voi credete che ci riusciranno?»
«Assolutamente. L'amore è la forza più potente di tutte, alla fine trionfa sempre».
Will rise, ironico il volere degli dèi.
«Perché ridete? Lo trovate forse troppo romantico?» la principessa assunse un'aria enigmatica, era pronta a sfidarlo.
Will scosse il capo. «Credo nel potere del vero amore».
In quell'esatto momento il principe capì che non gli sarebbero servite a nulla le parole, Alis avrebbe capito. Lo avrebbe fatto sempre.
«È di questo, in effetti, che vorrei parlarvi. il respiro del principe si rilassò. «Dal giorno in cui sono venuto al mondo, ho sempre saputo che avrei dovuto servire il mio paese, proteggere il mio popolo; e che lo avrei fatto con una regina al mio fianco. Una donna che sarebbe diventata la mia migliore amica, la mia compagna di vita...» lo sguardo di Will si concentrò sulle loro mani, le sue dita accarezzarono le nocche candide della fanciulla. Una scarica di piccoli brividi gli attraversò la schiena, come se improvvisamente le stelle si fossero accese nel cielo.
«Sapete, da piccolo tutto questo mi appariva semplice, l'amore sembrava un gioco innocente, un divertimento. Ma crescendo ho iniziato ad odiare il mio futuro e le mie responsabilità. Il retaggio che mi avrebbe lasciato mio padre assomigliava ad una prigione. Che sovrano sarei stato, che decisioni avrei mai potuto prendere se quella più importante, scegliere chi amare, era la legge inequivocabile degli dèi? Una volta lessi che il cuore è lacerato in due metà, che prova mille passioni diverse, che ama e poi smette di farlo, che illude e viene illuso, ma che si dona completamente soltanto quando trova la sua metà mancante».
«Conosco questa leggenda: quando i nostri cuori troveranno la loro metà, nulla avrà più importanza, le parole, i gesti, la povertà e la ricchezza. Perché ciò che è povero sembrerà fiorente, ciò che è ricco sembrerà d'oro luccicante. Perché il vero tesoro sarà essersi ritrovati e aver riunito il proprio cuore con quello della persona che si ama, per sempre» i due si guardarono negli occhi, due zaffiri che si riflettevano nella profondità delle iridi della principessa. Alis sorrise, mantenendo quel contatto come se fosse l'unica ancóra a mantenerla viva.
Il principe estrasse il piccolo scrigno, contenente la sua promessa.
«Il mio cuore ha provato emozioni diverse, ha amato e poi illuso, ma ora sono sicuro che abbia trovato la sua metà. Il vostro cuore, Alis. Siete voi la mia metà».
La principessa allungò le mani verso il contenitore di velluto porpora, girò la chiave, rimase senza fiato. I suoi occhi si inumidirono, sapeva che presto sarebbero scese lacrime sincere.
L'anello era sfolgorante. Rubini del colore del sangue circondavano il sole a cinque punte della casata Gylden, facendo risplendere il colore dorato dello stemma reale.
«Mi concedereste l'incredibile onore di diventare mia moglie?» la voce di Will era spezzata dall'emozione, dalla magia del momento.
I pensieri di Alis erano un vortice incontrollabile. Fin da piccola si era rassegnata all'idea che il suo destino fosse già scritto, che non ci sarebbe mai stato spazio per l'amore in una vita come la sua. Sapeva che avrebbe dovuto sposare uno sconosciuto, scelto da suo padre e dagli dèi. Perché lei era nata per essere una regina, per servire il suo popolo.
Eppure, aveva ricevuto più amore di quanto fosse possibile per chiunque. Aveva amato senza confine, aveva sofferto un dolore atroce, e egualmente era stata amata e ferita.
E quando aveva raggiunto Auringon, il suo cuore era tornato a battere un po' più forte. Ma la principessa non poteva chiedersi se il cuore del principe Will fosse l'esatta metà del suo. Non poteva. Non voleva.
Sapeva sarebbe stata felice con lui, e questo le bastava. Sapeva che il suo amore l'avrebbe resa una donna migliore, una regina. E questo le bastò per accettare la proposta del principe. Volle credere al destino e, per una volta, non opporsi al suo corso. Obbedirgli le sembrava più semplice che fermarsi a riflettere su cosa voleva davvero il suo cuore.
Gli occhi di Will si illuminarono come fiaccole roventi nell'oscurità, le gambe tremarono, le labbra si schiusero in un sorriso, e il gesto che ne seguì fu spontaneo quanto necessario. La baciò con intensità, con una passione che non credeva di poter provare. Le baciò le labbra fino a non avere più fiato, fino a sentire i loro cuori unirsi sotto la pelle.
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Il lago, a poche ore a cavallo dal castello, era una calma distesa di acqua cristallina, illuminata dal rovente sole del pomeriggio. Il luccichio delle deboli onde si riversava anche sui ciottoli, come se lasciasse sulla loro superficie rugosa pietre preziose. Il lago delle fate, così lo chiamava la principessa Aileen.
Amava nascondersi nella natura, cullata dal rumore dell'acqua. Delle volte, tuttavia, desiderava sottrarsi alla vita frenetica di corte, alle chiacchere troppo rumorose e superficiali dei nobili, ai balli e ai banchetti; per quanto li amasse, a volte il suo cuore le chiedeva di restare sola, lontana e isolata da tutti.
Perché lei non era uguale agli altri, e non lo sarebbe mai stata. Per quanto folle, di tanto in tanto sognava di essere una fanciulla del paese, indossare abiti semplici e senza gioielli, senza maschere. Respirare l'aria di campagna e correre a piedi nudi sull'erba bagnata dalla rugiada, senza pensieri.
A volte pensava che tutto l'oro del regno non sarebbe servito a nulla se non avesse avuto qualcuno da amare, e per chi viveva umilmente amare era semplice, slegato da accordi politici o patti firmati tra padri. Aileen desiderava tanto per se stessa un amore così, semplice e senza pretese, basato soltanto su un sentimento sincero. Ma l'amore richiedeva anche un sacrificio, un dovere, e quello della principessa era nei confronti del suo regno e della sua famiglia.
«Perdonatemi, milady. Non credevo ci fosse qualcuno» il rumore dell'armatura alle spalle fece quasi sobbalzare la principessa. «Sono Evander. Evander Goldsand, altezza» il ragazzo si inchinò.
«Avrei dovuto farvi fare il giro del castello» la principessa lo riconobbe, Will le aveva chiesto di accompagnare il nuovo ospite per il palazzo e fargli vedere i giardini reali, le sale per l'allenamento e la palestra degli attrezzi, ma quella notte aveva deciso di trascorrerla nelle sue stanze, lontana da occhi e orecchie sconosciute. Si sentì in imbarazzo.
«Non preoccupatevi, altezza. Sir Achille è stata una guida molto precisa».
«Oh, certo. Lo immagino. Vi avrà annoiato a morte!» la fanciulla abbozzò un sorriso. A sir Achille piaceva ammaliare gli ospiti con la sua parlantina, raccontare vecchie storie di battaglie e guerre, ripercorrere la storia del castello fino alle sue fondamenta.
Anche Evander rise. «Il principe Will ha detto che se avessi voluto ammirare la vera bellezza del regno, sarei dovuto venire qui» il ragazzo si sedette sull'erba umida per poter guardare il lago scintillante da una prospettiva migliore. «In effetti, è magnifico».
«E chi credete abbia consigliato questo posto al mio caro fratello?»
«Siete stata voi?»
La principessa annuì, orgogliosa. «Vengo sempre qui quando ho voglia di immaginare come sarebbe la mia vita se non fossi nata con sangue reale. E poi, si dice che in questo punto della foresta vivano le fate».
Lo sguardo di Evander si incuriosì. «Le fate? Non sono soltanto delle leggende?»
«Solamente per chi non crede davvero in loro. Si dice che bisogna avere un cuore puro per poter vedere le fate. Vivono in mezzo a noi, solo che noi non riusciamo a vederle».
«Parlate come se le aveste viste» gli occhi di Evander si posarono sulla principessa, sul suo vestito rosa, sui capelli scompigliati dal vento. Le guance di Aileen avvamparono e il suo volto fu investito dall'imbarazzo.
«Raccontatemi di voi» Aileen volle cambiare argomento, interrompendo quel contatto.
«Non c'è molto da dire, in verità. La mia famiglia vive a Solkas, ho tre fratelli più piccoli e una sorella maggiore. Abbiamo una piccola fattoria» Evander si sforzò di ricordare i bei momenti, ma ogni volta che ci provava gli veniva in mente soltanto la notte dell'attacco delle ombre di re Harald. Da quella volta aveva fatto tutto il possibile per allontanarsi da casa e quando lord Jaime era arrivato per reclutare nuovi soldati, lui aveva radunato in fretta le sue cose, riposto la spada nel fodero e salutato la sua famiglia con tutta la calma del mondo, ma poi aveva seguito le fila di persone pronte ad unirsi all'esercito di Auringon.
Lasciare Nimue e i suoi fratelli era stato difficile, così come i suoi genitori, ma l'attacco di re Harald era stato sventato per chissà quale motivo e Evander non aveva fatto molto per proteggere la sua famiglia. Se fosse accaduto loro qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Sarebbe stata colpa sua. Per questo aveva deciso di seguire lord Jaime: voleva essere addestrato e avere la possibilità vera e concreta di proteggere le persone che amava. Era per questo che, tra le altre motivazioni, si fidava del principe e della principessa Alis. Credeva in loro.
«Sembra bello. Mi piacerebbe vivere così, senza pretese» Aileen tornò a guardare l'acqua sotto i piedi.
«Lo è, in fondo. Ma io ho sempre desiderato diventare un cavaliere, proteggere il mio regno e rendere fieri i miei genitori».
«Sono sicura siano orgogliosi di voi».
«Vi ringrazio, milady. Forse, un giorno, potrei mostrarvi dove sono cresciuto» il tono di Evander era calmo ora, tranquillo. Il ragazzo afferrò un piccolo giglio in mezzo all'erba e lo donò alla principessa. La fanciulla strinse le dita attorno all'esile gambo e, per pochi secondi, le loro mani si toccarono. Una scossa pervase la schiena di Aileen, una morsa le si chiuse dentro allo stomaco e il suo cuore batté a un ritmo accelerato.
«Si... ma forse è tempo che torni al castello» la sua voce era appena udibile.
La fanciulla corse verso il suo cavallo, il fiore ancora stretto tra le mani. Trascorse il tempo cavalcando verso casa pensando alla semplicità di un gesto che le aveva scaldato il cuore.
Era quella la vita che cercava, modesta e spontanea, ma in grado di riempirle i giorni. La principessa pregò affinché potesse durare.
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Il vento ululava con una potenza tale che il suo soffio sembrava un grido assordante, capace di penetrare persino la pietra. Lì dove una volta doveva erigersi una foresta maestosa, ora c'erano soltanto cumuli su cumuli di cenere. No, a guardare meglio non era cenere. Era neve. Evander strabuzzò gli occhi per vedere meglio e abituarsi a quel buio sconfinato. Per miglia e miglia non c'era nulla a parte la neve. Tranne il vento, Evander non sentiva nulla: c'era un silenzio disumano, come se non si trovasse nemmeno sul Continente.
Aveva una strana sensazione, di spaesamento e paura. Provava a muovere le gambe, a fare qualcosa, ma il ghiaccio lo inchiodava al terreno. Tentò di urlare e farsi sentire, ma la sua voce tornò indietro con un'eco glaciale. Man mano che il terrore montava dentro di lui, il buio aumentava, come fosse alimentato da quella paura.
Come rami malefici, scie di ghiaccio cominciarono a salirgli lungo il corpo, inglobando parte degli stivali del ragazzo. Poi, sentì un sibilo. Troppo debole per essere distinto nella bufera di neve, eppure Evander era sicuro che appartenesse a qualcuno. Lo aveva già sentito la notte dell'attacco. Forse gli chiedeva aiuto, forse gli intimava di scappare. Il ragazzo non riusciva a comprendere le parole, ma vedeva la neve cadere fitta dall'alto e il ghiaccio contorcersi sotto di lui: stava salendo rapidamente e ora gli aveva completamente bloccato le gambe, ibernandole in una morsa fatale.
Evander comandò ai suoi muscoli di rilassarsi, forse avrebbe potuto spaccare il ghiaccio, ma questi non rispondevano ai suoi impulsi e una folle paura si impossessò di lui. Chiuse gli occhi, doveva essere per forza un incubo. Ma quando li riaprì, la distesa bianca era ancora davanti a lui e il suo corpo era ormai un massiccio blocco di ghiaccio. Presto avrebbe raggiunto il cuore. Faceva così freddo che persino respirare era doloroso.
Evander sentiva che presto sarebbe morto congelato e non avrebbe mai saputo a chi apparteneva quella voce: ora era riuscito a isolarla dal resto della tempesta, ma non era ancora in grado di decifrare le parole. Ma non aveva più importanza.
Cercò di lottare con tutta la forza che aveva, di dimenarsi sperando che il ghiaccio si sciogliesse, ma questo si fece ancora più forte. Si nutriva della sua energia come se fosse vivo. Sentiva che gli sfiorava la base del collo, le punte dei capelli. Intorno a lui tutto era nero, ma non sapeva dire se a causa del cielo privo di stelle o perché aveva chiuso gli occhi, attendendo la fine.
Evander si svegliò in una stanza bellissima, con le pareti dorate e dentro ad un letto morbido e caldo. Mise pochi secondi a ricordare dove si trovava: il castello di Auringon era maestoso e lui non aveva mai visto un posto come quello.
Avvertiva un dolore alle gambe, come se le avesse ancora congelate nel ghiaccio. Ma ciò che lo fece veramente rabbrividire fu che, nonostante il calore della stanza e il fuoco che scoppiettava nel camino, la sua pelle aveva una strana striatura azzurra, le nocche delle mani erano spaccate e l'intero corpo era freddo come la neve.
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