X. Nuove prospettive
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I giorni passavano, le notti si alternavano l'una dopo l'altra, ma il tempo ad Auringon sembrava essersi paralizzato, immobile in una morsa di aria calda ma asciutta. La preoccupazione, che regnava sovrana a corte, sembrava lontana dagli alberi rigogliosi, dai piccoli animali e dal clima soleggiato tipico del periodo.
Erano trascorsi i giorni. Erano trascorse le notti. Ma Alis non aveva trovato nulla che potesse aiutare lei, o il popolo, nell'imminente battaglia. Nulla che potesse risollevarle il morale e l'animo.
Aveva cercato minuziosamente tra libri ingialliti e manuali polverosi, ma ogni lettura si traduceva in un vicolo cieco, in un nodo impossibile da slegare che la costringeva ad abbandonarlo e ricominciare tutto daccapo.
Forse lord Jamie aveva ragione. Non avrebbe trovato nulla nei suoi libri. O forse cercava in quelli sbagliati.
«Avrete diritto anche voi a dormire, ogni tanto» la voce di Will fece quasi sussultare la principessa, che intanto era impegnata a svogliare le pagine di un libro. "Sull'arte della guerra" recitava la copertina.
«Neanche voi sembrate tanto riposato» anche Will era stato molto impegnato in quei giorni. L'esercito reale aveva bisogno di nuove reclute, di un addestramento speciale, di essere incoraggiato e rafforzato, e il principe si era offerto, insieme al cugino Jamie, di scegliere personalmente i cavalieri migliori.
Avevano trascorso intere mattinate tra i paesi, tra i piccoli borghi, in cerca dei migliori uomini. La selezione era stata dura, solo i meritevoli — e coloro che lo desideravano davvero — avevano diritto al posto d'onore nell'esercito, ma a fine giornata Will e lord Jamie potevano ritenersi soddisfatti dei loro sforzi.
«Ma almeno esco all'aria aperta, di tanto in tanto. Parlo con persone diverse, voi invece mi sembrate tanto sola qui» Will si sedette accanto a lei, rivolgendole un gran sorriso che, inevitabilmente, coinvolse anche Alis.
«Ma io parlo con voi, mio signore» il tono della principessa si fece ironico. Amava il modo in cui Will sorrideva, come se in lui risplendessero i raggi del sole.
«Ad ogni modo. Dico sul serio, Alis. Dovete uscire da questa biblioteca».
«Non c'è nulla in questi libri che possa aiutarmi. Credo sia necessario andare ad Arcadya» la voce della principessa adesso divenne monocorde, come se non fosse più abituata a parlare. Come se si fosse nutrita di silenzi per interi giorni.
«Volete tornare ad Emergard?» chiese Will preoccupato.
«Vorrei consultare la biblioteca del regno. Quella di Arcadya è la più fornita, lì troverò sicuramente qualcosa che possa aiutarci a venire a capo di questa faccenda».
«Credo che abbiate bisogno di un po' di riposo, Alis. Siete bianca come un lenzuolo».
«Devo trovare un modo per rendermi utile».
«No, non in questo modo. A voi serve che la corte e i lord si fidino di voi. Che non vi vedano come un'estranea, ma come la futura regina di Auringon» col tempo Alis si era resa conto di quanto il principe fosse carismatico, di quanto gli venisse spontaneo e semplice convincere gli altri a fare ciò che desiderava.
«E cosa suggerite, vostra altezza?» Alis sottolineò in modo particolare quelle ultime due parole, sapendo quanto poco piacessero a Will. Molte volte, ormai, le aveva ripetuto di non badare alle formalità quando erano da soli, perché lo facevano sentire troppo importante, troppo autoritario, troppo simile al padre.
«Potreste partecipareall'incontro del re con il suo popolo. I lord capirebbero che siete realmenteinteressata alla politica e alle dinamiche del regno e il popolo sentirà più vicinauna regina che già adora» Will scattò in piedi, trascinandosi il lungo mantellorosso e porgendo la mano alla principessa.
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Le udienze con il re erano l'occasione migliore per il popolo di esporre le proprie preoccupazioni ed essere certi di venir ascoltati. E quel giorno c'era una grande affluenza di persone: vecchi, giovani, uomini e donne, persino bambini accompagnati dalle loro madri.
Alcuni chiedevano spiegazioni sui difficili momenti che avrebbe affrontato il regno, ma le ragioni di altri erano ben diverse, più concrete. Alcuni chiedevano al sovrano nuovo bestiame per poter lavorare, dato che quello che avevano era stato ucciso da un morbo proveniente da Nord, altri si gettavano ai piedi del sovrano e chiedevano più denaro per far crescere i propri figli. Altri ancora chiedevano giustizia.
«Vi prego, sire. Sono qui al vostro cospetto per avere giustizia. Quest'uomo ha ucciso il mio povero figlio, l'unico che mi rimaneva, a sangue freddo, come un bruto» stava dicendo un vecchio fabbro, quando la principessa e Will fecero il loro ingresso. Qualcuno sussultò alla vista di Alis e la principessa non poté far altro che sorridere a quella piccola folla.
Il vecchio che era di fronte a re Richard tremava dal dolore, anche la voce usciva spezzata e faceva fatica a guardare l'uomo che stava indicando, l'uccisore di suo figlio. Stremato volse lo sguardo verso il basso, appellandosi alla pietà del sovrano.
«Avete qualcosa da ridire?» chiese re Richard all'accusato mantenendo, ancora, un tono imparziale.
«Aveva rubato la mia mucca, maestà. Senza la mia famiglia non poteva sopravvivere» si giustificò l'altro uomo. Era più giovane e molto più alto e aveva le mani di un contadino.
«Ma il mio Tobias non l'avrebbe mai fatto. Non era un ladro» il povero vecchio scoppiò in una valle di lacrime, tanto che Will dovette fermare per un braccio la principessa, che già si era lanciata per confortare quel padre disperato.
La situazione sembrava abbastanza chiara. Un furto pagato con la morte. La legge degli uomini aveva trionfato sulla legge morale. Ma Alis riusciva a leggere oltre quella banale apparenza: se ogni famiglia avesse quel di cui aveva bisogno, bestiame, denaro, un tetto sicuro sopra la propria testa, incontri spiacevoli come quello non ci sarebbero mai stati. I cittadini non si sarebbero rivoltati gli uni contro gli altri solo per del cibo.
L'incontro venne annullato dal re, che si ritirò per meditare sulla questione: non poteva certo giustificare l'assassino, che non aveva neanche fatto nulla per far cadere le accuse rivolte contro di sé. Ma Richard aveva imparato a suo tempo che era molto meglio forgiare il proprio regno sull'ugualità, sulla giustizia e sulla gentilezza, piuttosto che sul terrore, sull'occhio per occhio. Perché quello era un circolo infinito di violenza dal quale non si usciva più.
Per questo non poteva condannare il contadino a morte, anche se i suoi consiglieri si sarebbero aspettati un esito del genere, anche se quell'azione gli sarebbe costata, inevitabilmente, il suo sangue.
La gente rimasta inaudita venne scortata fuori dalle guardie: per quel giorno re Richard aveva già abbastanza su cui riflettere. Anche Alis stava per lasciare la sala e preparare il necessario per il suo viaggio, ma un uomo varcò le porte dorate, correndo ed evitando le guardie che cercavano di fermarlo.
«Sire, vi prego. Accogliete la mia richiesta» aveva la voce affannata e i vestiti logori. Alis ipotizzò subito che fosse un contadino, dal momento che aveva il viso sporco di fango e terra, ma poi notò profondi graffi sulle mani e un taglio lungo tutto il polpaccio.
«Le udienze sono finite. Tornate domani» Richard gli rivolse uno sguardo compassionevole, ma il tono della sua voce era deciso. «Potete restare a palazzo, capisco che siate stanco e ferito.» continuò, notando il brutto taglio. Probabilmente era infetto. «I miei uomini si prenderanno cura di voi e vi daranno da mangiare» non poteva offrire altro a quell'uomo.
Ma questi, per quanto abbattuto fisicamente, non vacillò. «Maestà, quello che ho da dirvi non può aspettare un altro giorno. Vengo da Emergard, da un villaggio a sud della Grande Muraglia e ho camminato a lungo per essere qui al vostro cospetto, e a quello del mio re, Aeron».
Alis rimase per un secondo senza parole. Poi sentì il padre alzarsi dal suo posto e avvicinarsi a Richard; gli sussurrò qualcosa che la principessa non riuscì ad udire e fece cenno all'uomo di parlare.
«Vi ascoltiamo» disse suo padre.
L'uomo si guardò attorno, ma sembrò non notare lo sfarzo che ricopriva la sala: probabilmente aveva visto cose atroci per avere quella paura negli occhi.
«Riguarda il re del Nord» si bloccò quando pronunciò il suo nome, come se bastasse quello ad invocarlo. «Poco più di un ciclo lunare fa, il mio villaggio è stato attaccato da creature inumane, ombre. Erano vestite completamente di nero e si muovevano come se non temessero nulla e, infatti, niente riusciva a scalfirle. Io e gli altri uomini le abbiamo combattute con ogni mezzo a disposizione, ma il mio è un villaggio pacifico che vive dei prodotti della terra: non abbiamo armi e non sappiamo usarle. Quelle creature ci hanno preso alla sprovvista, sono arrivate senza che nessuno se ne accorgesse e ci hanno massacrati.» calde lacrime cominciarono a bagnare le guance dell'uomo.
Cadde in ginocchio, improvvisamente stanco. «Hanno ucciso la mia famiglia, mia moglie e le nostre tre bambine. Sono riuscito a sfuggire per volontà degli dèi, ma porto con me un grande dolore».
La principessa avvertì tutta quella sofferenza: gli occhi dell'uomo erano tristi, le mani e il corpo tremavano. Re Aeron si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. Se conosceva bene suo padre, Alis sapeva che si sarebbe addossato tutta la colpa. Avrebbe detto che sarebbe dovuto essere lì, ad Emergard. A proteggere il suo popolo; che quell'uomo meritava di essere ascoltato e consolato per la perdita immane.
«Come fate ad essere sicuro che fosse il re del Nord?» chiese Richard, il tono esigente.
«Quelle creature... non erano umane. Erano il Male» l'uomo fece una pausa, lasciando che i sussulti gli attraversassero il corpo: ormai non aveva nulla da perdere e questo spezzò il cuore ad Alis. «Molti villaggi parlano della rinascita del terribile re Harald: le donne sono terrorizzate e non lasciano giocare i bambini dopo il calar del sole. Non si può mai sapere cosa si nasconde dietro le ombre».
Ormai re Harald non era più una leggenda, una storia da raccontare prima di andare a dormire: era diventato reale, la Profezia più imminente che mai. E così doveva essere il viaggio di Alis. Doveva trovare a tutti i costi le risposte che cercava, oppure altri ne avrebbero pagato le conseguenze, altri genitori avrebbero perso i loro figli e altrettanti figli sarebbero diventati orfani.
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«Vengo con voi» il ciuffo ribelle di Sebastian fece capolino nella stanza della principessa.
Intanto Alis era indaffarata a sistemare le ultime cose per la sua partenza improvvisa. La sua stanza era in delirio, con vestiti gettati per terra e sul letto rifatto con cura, ma non poteva perdere ulteriore tempo. Aveva già aspettato abbastanza. L'incontro con il popolo e, in particolare, la triste storia a cui aveva assistito, le aveva chiarito in maniera ancora più limpida la mente. Il popolo aveva bisogno di speranza, di sapere ed essere certo che quella guerra imminente sarebbe stata vinta.
Ma non poteva ignorare i bisogni della gente; adesso l'obiettivo della principessa era anche quello di trovare le risorse che avrebbero potuto dare pace alla popolazione, risorse più concrete e materiali.
«Dovete restare qui, Sebastian» nonostante la preoccupazione, la voce le uscì senza esitazioni.
«Parlate ormai come una vera regina».
Dopo il Consiglio la principessa non aveva avuto molte occasioni di vedere o parlare con il fratello. Temeva che l'evolversi della situazione lo avesse allontanato da lei. Temeva che la vedesse come una sorta di usurpatrice: in fondo il titolo di sovrano di Emergard spettava a lui, da sempre. E adesso la Profezia ribaltava ogni aspettativa.
«Devo fare questa cosa da sola».
«Lo so».
Alis lo guardò dritto negli occhi. Non poteva mentirle. «Tra noi è tutto come prima, come sempre, fratello?»
In fondo al suo cuore, Alis temeva quella risposta. Se quell'oggi era la donna che era, molto lo doveva a suo fratello, che l'aveva sempre difesa, sempre sostenuta. Non poteva abbandonarla adesso, Alis non se lo sarebbe mai perdonato. E, probabilmente, non sarebbe stata in grado di affrontare il destino senza saperlo al proprio fianco.
«Certo, Alis. Nullasi metterà mai tra di noi».
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Quella sera l'aria era più fresca, con il soffio freddo del vento che arrivava direttamente dal mare, perfetta per una passeggiata. Ideale per pensare.
Il principe Sebastian camminava inosservato dal resto del mondo, che non sembrava fare particolarmente caso a lui. Le donne che portavano via i panni, i fabbri che battevano il ferro, i bambini che si rincorrevano con piccoli draghi di legno. La vita del popolo si susseguiva intorno al principe come un meccanismo perfetto, calcolato. Sentiva nell'aria odore di rosmarino e salvia bruciata.
Lui non apparteneva a quel mondo, ma per una notte si sarebbe dimenticato di essere un principe e avere delle responsabilità. Anche se, ormai, non era più sicuro di averne.
Fino a quel momento sapeva che un giorno sarebbe salito sul trono di Emergard, che avrebbe sopportato il pesante fardello della corona come il padre, e suo padre prima di lui. Ma la rivelazione della Profezia aveva cambiato ogni cosa, buttato giù ogni sua certezza come un fragile castello di carte.
Il trono di Emergard era destinato a sua sorella, e al principe Will. Loro avrebbero unificato i regni e comandato l'esercito, il più grande mai visto. Loro avrebbero preso tutte le decisioni, tutti si sarebbero rivolti a loro per ogni cosa. Loro.
Sebastian si chiese se gli dèi non lo avessero abbandonato, se lo avessero soltanto preso in giro, facendogli credere di essere importante. Forse suo padre aveva ragione, gli dèi non si curavano delle faccende degli uomini. O almeno non si curavano degli uomini comuni.
E in quel momento il principe si mischiava bene tra la folla, tra persone di cui nessuno avrebbe ricordato i nomi, le cui azioni erano destinate a morire con loro. Forse ci si confondeva fin troppo bene. Sebastian si guardava attorno e vedeva corpi anonimi, volti anonimi, passioni anonime. Vedeva gente senza futuro che dedicava ogni respiro a una vita insoddisfacente, senza ambizioni e senza sogni o gloria.
E in fondo vivevano per una vita troppo labile, troppo fugace.
Sebastian continuava a camminare tra le vie. Forse non era così male non aspettarsi nulla, vivere senza uno scopo ultimo, senza un desiderio. Quella sarebbe stata la notte di Sebastian. Nessuna illusione, nessun fine, nessun destino. Avrebbe soltanto vissuto il momento e quel che gli si sarebbe presentato di fronte. E, in quel momento, si ritrovò davanti ad una taverna. Era un edificio diverso dagli altri, nessun particolare adornava l'insegna semplice, l'architettura pareva stilizzata, austera. Era il luogo perfetto per Sebastian.
Comune e anonimo in mezzo a tanta stravaganza.
Anche all'interno si presentava senza decorazioni. L'edificio era buio, non soltanto a causa della notte, ma anche per le pareti rocciose e scure che impedivano alla luce di penetrare. Le candele creavano strani e inquietanti giochi di luce.
Eppure, contrariamente a quel che si sarebbe aspettato Sebastian, la taverna era piena di uomini. Si respirava un profondo tanfo e un pesante odore di birra. La gente chiacchierava e urlava.
Il principe attraversò la sala tra i numerosi tavoli, fino a trovare posto nell'unico rimasto ancora vuoto. Stranamente Sebastian si era subito ambientato in quel luogo, già si era dimenticato del terribile odore e del caldo eccessivo.
«Buonasera messere, cosa vi porto?» una giovane donna, forse dell'età della sorella, si era avvicinata al principe. Non era molto alta, da seduto Sebastian poteva quasi guardarla negli occhi. Capelli d'oro le incorniciavano il viso delicato e il sorriso lievemente accennato. Due occhi color del mare fissavano il principe, in attesa di una sua parola.
«Qualcosa che mi consigliate?»
«Vi suggerirei il nostro piatto migliore, stufato di carne e un boccale di birra» la sua voce era melodiosa, soave.
«Andrà bene, vi ringrazio».
La giovane abbozzò un sorriso, poi scomparve. Ritornò pochi minuti dopo con una porzione di stufato e la birra schiumosa.
«Non vi ho mai visto qui, messere».
«È la mia prima volta, in effetti» Sebastian posò lo sguardo sul piatto fumante. L'aspetto non era molto invitante, ma il profumo gli inebriava i sensi.
«Come vi chiamate, milady?»
«Oh no, non sono una lady» rispose lei, cercando di nascondere un risolino. «Fredys» le sue labbra si mossero ancora, rivelandone il nome.
«Sedete con me, Fredys».
La fanciulla si guardò per un attimo intorno, titubante, poi accettò l'invito del principe.
«Venite da molto lontano, messere?»
«Vi prego, chiamatemi Sebastian. In un certo senso, si. Sono molto lontano da casa». Lontano da Emergard, lontano dai suoi sogni e dalle certezze di una vita intera.
«E cosa vi ha spinto a venire qui ad Auringon?» gli occhi azzurri di Fredys non smettevano di scrutarlo.
«Volevo cercare me stesso».
«E ci siete riuscito?»
«No, in realtà credo di essermi perso completamente».
«Non posso crederci. Ognuno di noi ha un ruolo in questa vita».
«Ed è proprio questo il problema. Io lo avevo un ruolo, un destino. Ma mi è stato portato via, sfumato tra le dita come sabbia al vento» immagini di un passato senza futuro scorrevano di fronte a Sebastian, sogni e desideri che sarebbero rimasti solo illusioni fugaci.
Fredys si fece più vicina, riducendo la voce a un sussurro. «Credo che gli dèi abbiano ancora un piano per voi, Sebastian».
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helo amici! 🤍
Come state?
Forse questo è un capitolo un po' noiosetto, ma molto molto importante. Innanzitutto abbiamo un nuovo personaggio: Fredys ❄️⌛️
Chissà cosa penserete di lei... 🤭
se vi é piaciuto il capitolo non dimenticatevi di commentare e lasciare una stellina! ☆☆☆
vi voglio bene,
aphrodite
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