9.1 • Avere paura
"When pain knocks on your door, welcome it.
Let it in. Sit with it. Have tea with it.
Understand it. Then let it leave"
Najwa Zebian
Song: Atlantis - Seafret
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«Ripeto, Nathan», dissi correndogli dietro e tirandomi su la gonna: «Sei tu quello impazzito.»
«Ti giuro che non moriamo», rispose. Poi si affrettò ad aggiungere, strizzandomi l'occhio: «Oggi.»
Sembrava di star sentendo i viaggi mentali di un vecchio pazzo o, peggio, di starli vivendo.
«Dimmi almeno cosa devo fare», dissi esasperata e, nel mentre, mi chinai a strappare l'orlo più lungo della gonna, che ormai era tutto sudicio e rovinato; non aveva più altra funzione se non quella di fare da zavorra.
I capelli di Nathan ondeggiavano ad ogni passo; non mi ero resa conto che fossimo così lontani dall'epicentro dello sconto. Ai nostri lati c'erano alcune sagome prive di vita dei sylkukkonen - ne contai cinque - ma ero sicura che, se i corpi degli exousies non fossero stati destinati a scomparire appena la morte li attraversava, il terreno sarebbe stato cosparso anche dei loro. «Io distrarrò i bestioni, mentre tu li attacchi da dietro», disse, per poi proseguire: «Dalla coda.»
Era ufficialmente impazzito.
Probabilmente vide il moto di terrore che in quel momento mi attraversò gli occhi, perché pensò di rincuorarmi con una frase ancora più strana della precedente: «Sei essenzialmente uno storditore elettrico.»
Alzai un sopracciglio e domandai: «Questo dovrebbe tranquillizzarmi?»
«Guarda che ti ho fatto un complimento», mi rispose Nathan battendosi il pugno sul petto, vicino al cuore. «Ti sto affidando la mia vita, Dani.»
Mandai giù il groppo che mi si era formato in gola, guardandomi le mani tremolanti.
Perdi il controllo, lasciati andare.
Non era facile nemmeno dirmelo nella testa, dopo che avevo passato diciannove anni a cercare di mantenerlo, il controllo.
Vidi in lontananza Vivienne e Alastair che stavano proteggendo un piccolo gruppetto di ragazzi, mentre venivano coperti alle spalle da uno degli exousies dell'idro.
Dalla nostra destra spuntò all'improvviso un sylkukkonen, bloccandoci la corsa di riavvicinamento verso il resto del gruppo.
«Ora!», urlò Nathan battendo le mani tra di loro e, ad ogni contatto, delle scariche elettriche sempre più grandi fuoriuscirono dalle sue dita.
Feci come mi aveva detto, non pensai, ma balzai, con un unico grande salto, sulla coda dell'animale.
Mi aggrappai con tutte le forze che avevo in corpo, affondando le unghie nella sua pelle piena di scaglie. Sembrava di stringere un serpente. Il veleno di quest'ultimo poteva tornare utile come medicina, ricordai senza volerlo, ma scacciai il pensiero scuotendo la testa.
Il sylkukkonen continuava a scalciare come un toro impazzito, cercando di levarmi dalla sua coda, ma non mollai la presa. Mi sentivo spostare in tutte le direzioni e non vedevo niente di nitido intorno a me. L'animale ormai si era accorto della mia presenza, quindi sperai che non tormentasse Nathan più del necessario alla mia sopravvivenza.
Le mani mi tremavano e, per una volta, ringraziai che lo stessero facendo. Piccole scariche iniziarono a formarsi tra i miei polpastrelli, scendendo fino al punto di contatto con la lucertola alata. Pregai la Grande Madre che funzionasse e, dopo trenta interminabili secondi durante i quali strinsi gli occhi, con mia grande sorpresa la bestia cadde a terra, scossa da brividi di corrente elettrica. Mi staccai dalla coda solo quando fui sicura che non si sarebbe risvegliata per un po', scastrando le mie unghie dalla sua carne.
«Che schifo», disse Nathan
avanzando verso di me.
Feci un cenno di assenso sfregandomi le mani sulla gonna, pulendola dal liquido nero di cui si erano impregnate. Sotto le unghie mi rimasero delle strisce scure, come di inchiostro.
«Ce l'abbiamo fatta», esclamai rendendomene conto solo in quel momento.
«Sii un po' meno sorpresa», replicò Nathan spettinandosi i capelli carichi di elettricità.
Guardai verso il bosco, probabilmente il nascondiglio da cui erano arrivati il sylkukkonen e il motivo del rumore di legnetti spezzati che avevo sentito prima che ci fosse l'attacco.
Una donna si stava muovendo tra gli alberi, i suoi capelli creavano piccole onde nel vento ad ogni suo passo. Sembrava mi stesse osservando.
Sussultai sentendo una mano premere sulla mia spalla, mi girai di scarto.
«Dove eravate finiti?», esclamò Alastair guardando sia me che Nathan con occhi pieni di sollievo. «Menomale state bene. Ho mandato Blanc a chiamare i soccorsi dalla torre, dovrebbero arrivare a momenti», disse con voce affaticata.
Riportai la mia attenzione verso il bosco ma, quando non vidi più la donna, iniziai a seguire Alastair con al mio fianco Nathan.
«C'era una donna», dissi quasi mangiandomi le parole.
«Cosa?», domando l'insegnante rigirandosi le pedine degli scacchi tra le mani sporche di cenere nera. «C'era una donna nel bosco», ripetei.
Gli occhi di Alastair si incupirono, ma non disse niente, vidi solo la sua mascella color bronzo serrarsi.
I sylkukkonen rimanenti erano tre: Vivienne, insieme alla donna dell'idro a cui avevo dato una mano, ne stava tenendo a bada due; il terzo era invece accerchiato dalla ragazza con i capelli viola e le altre guardie.
Come era stato preannunciato dall'insegnante, Blanc planò dall'alto insieme a tre soldati dell'elettro, ognuno di loro brandiva una spada e alle loro spalle c'erano tre gruppi di cavalli.
In poco tempo, le tre creature rimanenti furono stordite e immobilizzate a terra, legate con catene massicce.
«Manderemo una pattuglia di ricognizione a sistemare le cose», disse una delle guardie, per poi urlare: «Alastair!», correndo verso di lui.
«Edan», rispose al saluto Alastair tendendogli la mano.
Il professore, che superava la guardia di almeno dieci centimetri, si piegò leggermente in avanti per contraccambiare il saluto, come a fare un piccolo inchino.
Le altre due guardie aiutarono alcuni futuri studenti a sollevarsi da terra, mentre caricavano quelli feriti su dei lettini attaccati ai cavalli, che stavano nitrendo e scalciando.
Mi avvicinai china ai feriti, cercando di non farmi vedere: erano cinque e avevano il volto pieno di lividi e bruciature sulle mani. Uno dei due gemelli perdeva sangue dalla bocca, ma non c'era traccia di ferita al petto che mi potesse far pensare al peggio; probabilmente si era morso la lingua o aveva perso un dente. Respirava piano, ma respirava. La cassa toracica si muoveva su e giù a ritmi regolari, quindi trassi un sospiro di sollievo.
Sentivo la loro energia, non sembrava di stare vicino a dei Silenti. Non c'era quel silenzio bizzarro che circondava le persone prive di potere, perché potevo avvertite lo sfarfallare della loro magia che mi solleticava le orecchie.
«Ragazzina», sentii chiamarmi da dietro. Alastair mi si avvicinò circospetto. Probabilmente sapeva del mio passato come guaritrice, quindi mi aspettavo un rimprovero per essermi fatta trovare vicino ai feriti, come a simboleggiare che stavo facendo più fatica del dovuto ad ambientarmi.
In un mondo in cui non avevo le coordinate. Forse non è vero, forse è normale.
«Staranno bene, ci vorrà poco per arrivare alla torre di mezzo.»
«Stavo solo...», cercai di dire, ma le parole mi si smorzarono in gola.
«Hai fatto bene», si limitò a rispondere lui, rinfoderando i pezzi degli scacchi in una sacchetta di pelle che portava legata alla cintura. «Torna dagli altri.»
Annuii e feci come mi era stato detto.
Contai, a mio malgrado, le persone che erano rimaste. Dieci di noi non ce l'avevano fatta. Dieci di noi erano stati ingiustamente strappati alla vita. Ricacciai indietro le lacrime mentre mi avvicinavo al piccolo falò che Vivienne aveva acceso sfregando tra di loro due legnetti.
La ragazza con i capelli viola stava aiutando un ragazzo a bendarsi una mano, mentre Nathan era intendo a scaldare sul fuoco una pietra tonda, spostandola con un bastone tra le mani completamente ustionate. Erano rosse al centro, mentre la pelle ai bordi sembrava intenta a scappare dalla sua posizione.
«E' per chi ha freddo», mi disse massaggiandosi la gamba destra. «Si mette dentro un panno e la si tiene vicino al corpo», spiegò, «A casa la usiamo prima di metterci sotto le coperte.»
La passò in mano al secondo gemello, che guardava nervosamente in direzione del fratello, come se avesse voluto correre da lui per stargli vicino.
Il viso di tutti era cupo, ma quello di Vivienne di più.
«Non era un attacco che ci aspettavamo», disse la donna continuando ad attizzare il fuoco, tormentando i bastoncini che lo alimentavano con le tre punte del suo tridente. «Mi spiace sia stata la prima cosa che abbiate visto, fuori da Brental.»
Nessuno disse nulla, ma la ragazza con i capelli viola le passò una pietra avvolta in uno straccio.
«Grazie, Else-Nora», ringraziò Vivienne prendendo tra le mani l'impacco.
Aveva le dita insolitamente prive degli arrossamenti soliti degli Elettro, mentre la sua arma era cosparsa di macchie di sangue nero.
Nella mia testa balenò l'immagine di un basco che rotola a terra, e sentii lo stomaco contorcermisi nella pancia.
Nathan teneva la testa piegata in avanti, sfregandosi meticolosamente la base del collo.
Alastair fece cenno in lontananza di avvicinarci e ci affidò, a coppie, un cavallo. Non avevo mai cavalcato, quindi, quando vidi che Nathan era già stato appaiato con una a ragazza dai capelli corti, mi misi dietro alla prima persona che trovai senza compagno: uno dei gemelli.
Vivienne mi incitò: «Vai pure con Quinlan.»
Salii a fatica, mettendo il mio zaino tra i nostri corpi. Era nettamente diverso rispetto allo stare vicino a Nathan, non emanava lo stesso calore che irradiava lui. Era una sensazione diversa, un profumo diverso. La sua magia sapeva di liquirizia e qualcosa di aspro, forse limone.
Sentii la pelle sulla schiena tirare e sapevo che con i movimenti che avevo fatto avevo riaperto la ferita, perché sentii il taglio iniziare a pulsare.
«Se cadi non fermerò il cavallo per riprenderti», tuonò facendo con le redini segno all'animale di iniziare a cavalcare.
Mi aggrappai alla sella infilando i polpastrelli sotto di essa - nonostante avessi metta cosce fuori dalla sua morbidezza - sentendo con le dita il pelo ruvido del cavallo: era caldo nonostante fosse impregnato di rugiada.
«Non cado», ribattei stizzita.
«Ho visto come tremi, non mi stupirei di vederti rotolare a terra prima di arrivare alla torre.» Si voltò a guardarmi, e un fulmine sembrò attraversargli gli occhi blu.
«Ho detto che non cado», ripetei, ma aggiunsi più calma: «E tuo fratello starà bene», sperando che il motivo della sua antipatia fosse da attribuire solo alla situazione in cui ci trovavamo.
«Sta' zitta, Idro.»
Non replicai, come in circostanze normale avrei fatto, solamente per il gusto di tenermi l'ultima parola. Non ne valeva la pena, mi limitai solamente a seguire con lo sguardo la luna, mentre ci lasciavamo alle spalle il luogo dell'attacco e quella strana figura nel bosco.
Arrivammo alla torre poco dopo, abbreviando la distanza grazie alla cavalcata, quando ormai le prime luci rosa del mattino stavano iniziando a fare capolino dalla montagna e le mie palpebre dovevano lottare con loro stesse per rimanere aperte.
Mi affrettai a scendere dalla sella mentre il gemello bofonchiava un: «Devi smontare prima tu», e mi avvicinai dolorante al centro del gruppo.
Sentivo già i lividi formarsi nell'interno coscia, e la pelle arrossarsi.
Una donna con i capelli bianchi raccolti in uno chignon, uscita dalla torre forse perché ci aveva sentiti arrivare, prese le redini dei cavalli e si spostò sulla destra, entrando in una stalla quadrata.
Lo spiazzo davanti all'edificio era di terra e argilla che, ancora bagnata dalla pioggia, macchiava gli stivali con sagome deformi. Sentii gli animali nitrire in lontananza mentre ci avvicinavamo all'ingresso della torre, protetto da una porta di legno incastrata in una parete fatta interamente da pietra lavica.
«Terremo i feriti gravi al piano terra, mentre gli altri possono salire al terzo piano», ci comunicò Edan. «Per il resto delle lesioni, la nostra guaritrice vi aiuterà a sistemarle.»
Entrai seguendo gli altri, facendo cigolare il pavimento di legno sotto i miei piedi.
Ci fecero togliere le scarpe per posizionarle in un piccolo mobiletto; la sensazione dei piedi liberi mi riportò alla memoria le volte in cui correvo con mio padre lungo la collina che portava alla Foresta Bianca, quando le libellule mi si appoggiavano sulle spalle e i bruchi si arrampicavano sulle nostre gambe.
Mentre due guardie portavano i feriti più gravi nella stanza a loro dedicata, noi altri fummo indirizzati verso delle scale a chiocciola. Mi aggrappai al corrimano mentre salivo gli scalini due a due, cercando di tenere il passo degli altri nonostante la stanchezza che mi imperversava nelle ossa.
La stanza destinata a noi era completamente spoglia, se non per un camino e qualche sacco a pelo impilato nell'angolo destro. I ragazzi iniziarono a sparpagliarsi, prendendo il proprio giaciglio e stendendolo a terra, senza fare la minima domanda. Non aspettavano altro.
Stavo per andare a prendere il mio, quando una donna che doveva avere circa una cinquantina di anni entrò nella stanza.
«Sono Emma, la guaritrice», disse appoggiando quello che teneva fra le mani a terra vicino al camino. «Sono dei vestiti puliti; ci sono un po' di taglie, quindi speriamo che vi vadano bene.»
Qualche ragazzo la salutò timidamente con un cenno della mano, tenendo gli occhi fissi sul pavimento in modo riverenziale.
Aveva i capelli raccolti sulla testa grazie ad un foulard arancione con dei disegni di foglie a decorarlo, a guardarli bene ero sicura fossero stati ricamati da mani esperte.
«Quanti di voi hanno bisogno?», chiese mentre Vivienne entrava nella stanza, appoggiandosi alla porta con la spalla bendata. Dalla fasciatura usciva un po' di sangue.
Quindi Emma si sta focalizzando prima su di noi.
Sembrava una ferita semplice, qualcosa che con due movimenti concentrici delle mani sarebbe stato risolto.
Vivienne aveva i capelli perfettamente pettinati e, tranne quel graffio sul braccio, era illesa.
Alcuni ragazzi e la ragazza che Vivienne aveva chiamato Else-Nora si avvicinarono, per seguire la guaritrice in quella che supponevo sarebbe stata l'infermeria. Mi chiesi se fosse particolarmente diversa dalle stanze che avevamo all'ospedale.
«Anche tu, Nathan», interruppe la marcia del gruppo Vivienne, indicando il ragazzo che stava cercando di farsi piccolo dietro ad una delle coperte.
«Hai le mani bruciate, seguila.» Era la prima volte che le sentivo impartire ordini con tanto vigore.
Nathan si portò al centro della stanza, coprendosi con il sacco a pelo come se fosse un baco da seta. La sua pelle, di solito olivastra, in quel momento tendeva al bianco candido proprio delle falene; si era calato fin troppo bene nella parte.
«Non... non mi piace farmi guarire con...», tentennò, «con la magia. Sto bene.»
Mi guardò rapidamente, per poi spostare lo sguardo a terra, guardandosi i piedi che stava piegando per appoggiare il peso prima sulla punta delle dita e poi i talloni.
«Non mi interessa, sei ridotto a pezzi, ti serve che Emma ti curi», continuò senza battere ciglio Vivienne. Le sopracciglia erano alzate, facendo riempire la fronte di piccole rughe che muovevano le lentiggini sul suo viso.
«Posso farlo io», esclamai facendo un passo in avanti. «Conosco le erbe, se le avete posso curarlo io senza magia.»
Non ero valente quanto Lauren in quel settore, ma ne ero capace.
Emma si scambiò uno sguardo dubbioso con Vivienne, ma poi mise una mano dentro la tasca del grembiule bianco che portava legato in vita, estraendone delle fialette di vetro riempite con erbe tritate e alcune foglie.
«Tieni», mi disse allungandole nella mia direzione.
Facendole tintinnare ne presi tre, avvicinandomi cercando di non far cigolare le assi di legno, poi la ringraziai con un cenno del capo.
Nella stanza rimanemmo solo io e Nathan, con pochi altri ragazzi che però già stavano dormendo sotto il tepore delle coperte. Sentivo i loro respiri scoordinati.
Mi avvicinai al camino, facendo cenno a Nathan di seguirmi.
Lui mollò sul pavimento la coperta solo quando fu sicuro che le due donne se ne fossero andate, poi lo sentii strisciare i piedi per avvicinarsi a me. Si sedette a terra incrociando le gambe, mentre io disponevo davanti a me le fiale che mi erano state date: aceto di mele, lavanda ed iperico.
«Grazie per esserti proposta», sussurrò Nathan guardandomi le mani.
«E' quello che faccio», replicai, «non è un problema.»
Tolsi il tappo di latta dalla boccetta contenete l'aceto: «Questo brucerà, ma devo disinfettare.»
Nathan annuì tranquillo, ma quando glielo versai sulle ferite delle mani, serrò la mascella e sfregò i denti fra di loro, producendo un suono simile ad uno scricchiolio.
«Comunque», tentai mandando giù rumorosamente la saliva, «Come mai non ti fai curare da noi?»
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Buonasera a tutti! Ho dovuto tranciare il capitolo in una scena non proprio ottimale, ma questo capitolo è lungo nella sua interezza seimila parole, quindi in qualche modo dovevo dividerlo.
Come sempre, ditemi cosa ne pensate nei commenti 🤍
La prossima parte sarà emotivamente impegnativa, ma metterò un disclaimer generale e segnerò dove inizia la parte più pesante.
A settimana prossima! 🤍
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