7 • Erdelia: cosa é rimasto

"We'll be a fine line.
We'll be alright."

Song: Fine Line -Harry Styles

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12 anni prima
Torann, nei pressi di Brental
Il giorno di Sola Notte

«Erdelia!»
Aveva sentito Atlas urlare il suo nome e quello di Gael, poco prima di vedere un uomo conficcargli un pugnale nella gola.

Erdelia, gli occhi pieni di lacrime e i capelli un groviglio, si materializzò appena poco fuori dalla foresta del Rituale; sentiva imperterrito alle sue spalle il rumore delle guardie e lo sferragliare delle armi. Ancora la vista non accennava a tornarle, ma le vibrazioni che avvertiva intorno a lei le facevano da bastone: venivano da tutte le parti, da ogni albero e persino attraverso il terreno.
Ripensò a quella mattina con un moto tra la tristezza e la rabbia, facendo inevitabilmente il paragone con la situazione infangata e solitaria in cui si trovava in quel momento.
Le mani affondarono nel terreno pieno d'acqua, il solo mantello a proteggerla debolmente dal temporale che si abbatteva imperterrito su di lei e, forse, a causa sua.
Si ritrovò a sussurrare un debole «Smettetela» alle Madri, come se loro l'avessero potuta ascoltare. Non lo avrebbero più fatto, si rese conto Erdelia.
Era colpa sua in parte, di questo ne era consapevole, ma ancora stentava a credere che le Grandi Dee avessero pensato che la sua anima si sarebbe salvata dopo aver visto...
Aveva visto bene?

Quella mattina suo figlio Gael - la pelle diafana come sempre - aveva fatto colazione e si era preparato per il Rituale. Erderlia aveva passato tutto quell'anno a maledirsi per non averlo partorito almeno pochi giorni dopo: se avesse compiuto diciannove anni dopo il Rituale di quell'anno, forse lei sarebbe stata in grado di tenerlo ancora in vita.

Avrebbe sicuramente trovato un modo: un patto con le Madri, una cura.
Le sarebbero bastati cinque giorni in più per rubare Gael a quel destino crudele.

Suo marito quella mattina le si era avvicinato e le aveva premuto il mento sulla testa, accarezzandole i lunghi capelli castani, dello stesso colore dei suoi: erano uno lo specchio dell'altra.

«Atlas», aveva sussurrato lei, dando voce a quel senso di angoscia che solo lui riusciva a tenersi dentro.

Ad ogni carezza che Atlas le faceva sulla testa - le mani fredde ma che sapevano di nient'altro che amore - una lacrima le sgorgava sulle guance.
Stava piangendo fiumi.

Le dita di suo marito diventarono ancora più ghiacciate quando usò i suoi poteri su di lei per calmarla, per bilanciare i livelli degli ormoni che aveva in corpo.
Erdelia mormorò un flebile "grazie" dalle labbra umide di pianto, ma non staccò il viso dal petto di Atlas: lo affondò ancora di più nel maglione del marito, che profumava di pan di zenzero - i biscotti che preparava ogni settimana - e disinfettante.

"Suo figlio ha una malattia del sangue", le avevano detto pochi anni dopo la nascita di Gael, quando ormai era diventato evidente a chiunque che il suo bambino fosse più debole degli altri della sua età.
Le altre maestre e insegnanti della scuola del suo villaggio, poco fuori Brental, le si erano strette intorno quando lei glielo aveva riferito.

«Andrà tutto bene Lia, non preoccuparti», le aveva sussurrato Atlas all'orecchio, per poi baciarle la fronte. Il dolore fisico si era assopito grazie al tocco di lui, che le allentò i nodi che aveva nello stomaco e il pulsare del cuore nelle orecchie.

Negli ultimi mesi non era stata in grado di guarirsi da sola, almeno non per quanto riguardava la sfera emotiva, ma suo marito non aveva mai esitato un secondo ad aiutarla, nonostante la scarsità di energie dopo le giornate passate in giro per le case a curare chi ne aveva bisogno.

Erdelia si era chiesta se un exousies dell'Idro sarebbe potuto morire per uso eccessivo del proprio potere. Sapeva che i maghi dell'Elettro rischiavano letteralmente di bruciare se usavano troppo il loro elemento, potevano prendere fuoco dall'interno.

Lei questo non l'aveva mai provato, la sua temperatura era in una perfetta forma bilanciata in ogni momento. Trentasei gradi e cinque in confronto ai trentaquattro gradi di suo marito.

In segno di ringraziamento per il gesto, Erdelia aveva sfregato le mani tra di loro e aveva avvolto quelle di Atlas tra le sue, lasciando che le sue scariche centellinate lo scaldassero.

Ma in quel momento, in quella fredda giornata, né Atlas né Gael erano lì con lei.
Ricordò a frammenti, a lance di vetro che le si conficcarono nel cuore.

Il primo a cadere sotto i suoi occhi era stato il figlio, non appena aveva posizionato le mani sui Pilastri. Erdelia lo aveva detto ai Veggenti che la sua malattia lo rendeva troppo debole per un afflusso di Magia simile, eppure loro non avevano fatto cenno a chiedere aiuto alle Madri.

D'altra parte, Erdelia aveva già pregato tante volte, sia la Madre dell'Idro che la Madre dell'Elettro, ed entrambe le avevano dato la stessa risposta: "Noi non possiamo interferire se non c'è prima una mossa da parte di un mortale."
Ma Erdelia non si era mai sentita mortale, non fino in fondo. Certo, il suo corpo poteva deperire, la sua pelle aprirsi e lacrimare sangue... Ma era una Tessitrice. Questo non vuol dire niente?

Era dovuta rimanere seduta sulla scalinata della foresta mentre vedeva il figlio mettere le mani su quei dannati Pilastri. Alba Laras, la rappresentate dell'Idro, gli era stata vicino, come spesso faceva quando avvertiva debolezze fisiche negli exousies.

Che lei sapesse, solo quella donna era dotata di tanta energia da poter analizzare il corpo di una persona a distanza: Alba conosceva il percorso dei vasi sanguigni di tutti, le loro giunzioni cellulari e riusciva a rilevare i movimenti di ogni singolo muscolo e organo.
In un certo senso, Erdelia aveva riposto fiducia in Alba. Nella stessa donna che aveva preso suo figlio tra le braccia quando lui era ceduto sotto l'Energia delle due magie.

Il secondo a cadere era stato Atlas, mentre lei correva per andargli incontro ed espandere lo scudo di Acqua anche verso di lui.
Troppo tardi. Sei lenta. Dannatamente lenta. Corri.

«Atlas!»

Erdelia aveva mosso di scatto il braccio in avanti, spingendo ancora più rapidamente l'acqua verso suo marito. L'elemento che era partito da lei si era allungato come tante mani verso l'uomo, che la stava guardando con gli occhi ambrati pieni di terrore.
Ma non era paura per se stesso. Aveva paura per lei. Si era preoccupato per lei nonostante fosse lui ad avere un pugnale alla gola.

Aveva sentito la sua stessa Acqua gridare, riflettere la disperazione che lei stessa provava. Il dolore le aveva riempito le orecchie.
Erdelia aveva corso, avvolgendosi in una bolla di protezione, per arrivare da Atlas.
Con la mano sinistra aveva lanciato un fulmine verso l'uomo con il coltello, facendolo volare a molti metri di distanza. Lui aveva battuto la testa su un tronco, ma ad Erdelia non importava più di nulla.
In quel momento non era più la migliore guaritrice del villaggio.

Aveva solo sentito il battito di Atlas rallentare, lo aveva sentito nella testa come se fosse il proprio.
Lo aveva sentito morire.

«Che maledizione è questa?» Aveva urlato più a se stessa che alle Dee.

Con le mani a coppa, aveva preso delicatamente la testa di Atlas e se l'era messa sulle gambe. Lui aveva annaspato, la bocca piena di sangue.

Erdelia aveva allungato una manica della camicia e gliela aveva passata lungo le labbra, in un disperato tentativo di ripulirlo.
Atlas aveva spostato una mano pallida verso di lei, per sfiorarle la guancia.

«Mio cuore, ora ti curo. Non preoccuparti», aveva sussurrato Erdelia, con una delle mani sopra il collo del marito, a coprire il punto in cui il coltello era affondato.

Lo sguardo di Atlas aveva vagato a cercare Gael, ma Erdelia non aveva avuto il cuore di dirgli che loro figlio era spirato tra le braccia di Alba.

Si era sentita in colpa per aver messo anche Atlas in quella posizione. Stava morendo per causa sua. Era lei che aveva fatto tremare la terra, era per lei che le guardie avevano urlato "Tessitrice" mentre scendevano le scalinate dell'anfiteatro nella Foresta Bianca.

Appena aveva visto suo figlio stare male, come se lei non potesse - o volesse - controllarsi, un fulmine era partito dalle sue mani e aveva diviso il palco in due. Atlas l'aveva tirata indietro, ma la folla mossa dalla paura li aveva divisi. Le loro mani si erano cercate, ma non erano riuscite e trovarsi.
Si stavano trovando ora, alla fine.
Alla fine del mondo di Erdelia.
All'inizio di qualcosa che non l'avrebbe più resa se stessa.

Erdelia raccolse le energie per tirarsi in piedi, facendo cadere a terra il mantello che ormai aveva esaurito la sua funzione protettiva, che non stava facendo altro se non farle penetrare il freddo ancora di più nelle ossa.

Si sentì il corpo molle, quasi scollegato dal sistema di ossa e tendini, e fece fatica a mantenere la schiena in posizione eretta.

Sfregò le mani tra di loro, facendo scaturire una patina di acqua per pulirsi il sangue di dosso, ma dubitava che sarebbe bastato per levarselo anche dalla mente.

Ad ogni passo sentiva un pezzo di cuore staccarsi e rimanere dietro, attaccato alle radici degli alberi della foresta.

Me ne sto andando veramente.

Non aveva neanche potuto provare a recuperare i corpi di Atlas e Gael.

Muoveva passi incerti, con la coltre di nebbia che ancora le copriva la visuale e forse - iniziò a realizzare - non avrebbe più riavuto indietro nemmeno la vista.

Erdelia mandò un afflusso maggiore di sangue alle orecchie, sperando di aumentare le capacità di quell'organo di senso, cercando di sopperire a quello che da quel momento le sarebbe mancato. I rumori intorno a lei iniziarono ad acquisire nuove sfumature, li sentì immediatamente più potenti e, con quella piccola nota di felicità, arrivò nuovamente anche la paura.

«Tessitrice!»

Erdelia iniziò una corsa barcollante verso la parte Ovest della foresta, lontano dalla città di Brental, verso le lande desolate che portavano a Xeka.

All'improvviso vide alla destra del suo debole campo visivo un'ombra nera, una sagoma indistinta.

Sentì uno stridio che quasi le graffio le orecchie, tanto era vicino.

Le montò subito il panico, dato dalla mancanza di conoscenza.

L'ombra fischiò ancora, stavolta più debolmente e, senza che Erdelia potesse fare niente, si appoggiò sulla sua spalla.

Erdelia non smise di correre, ma le sembrò di sentire un flebile battito di ali.

Un pipistrello.

Avvertì una vampata di caldo intorno al lato destro del collo e, allungando una mano in quel punto, sentì la peluria dell'animale.

Si era accovacciato intorno al suo collo, quasi facendole da sciarpa.

Erdelia non smise di correre, non smise di piangere, ma quel nuovo calore che aveva iniziato a sentire le alleggerì lievemente il cuore.

«Ti chiamerò Espoir», disse Erdelia in un rantolo di fatica al pipistrello.

Speranza.

La donna vide altre sagome indistinte attorniarla, come per accompagnarla con i loro versi nella direzione che più le sarebbe stata utile.

Ora era cieca, si, ma aveva altri occhi che avrebbero lavorato al posto dei suoi.

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Eccomi qui con un capitolo diverso dal solito, con protagonista Erdelia.

Che ne pensate?

Fatemi sapere nei commenti <3

A mercoledì prossimo!

xoxo

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