6.2 Il marchio

"Non credo che sia debole
chi è disposto a cedere,
anzi, è pure saggio."
Perfetti sconosciuti

Song: No light, no light - Florence+The machine

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«Hai paura di un po' di cose» osservò Vivienne, le sopracciglia alzate.

«Solo di quelle per cui dovrei averne.»

Non le dissi che, in un modo o nell'altro, qualsiasi cosa poteva finire per fare paura. Un ramo di pesco di notte si trasformava in un mostro, i cigolii conosciuti di una casa, se sotto suggestione, diventavano urla. Ho sempre avuto paura, anche quando iniziavo ad avvertire la felicità. Soprattutto in quei momenti.

La paura era un'emozione che mi aveva sempre tenuta sulle mie gambe, che mi aveva insegnato più di quanto chiunque avesse mai fatto. La odiavo, ma quanto - immaginai - si odia una sorella. Non intensamente, non veramente.

Vivienne mi si avvicinò con passo leggero, e mi fece vedere il contenuto della scatola.

Era un timbro di forma rotonda, con dei segni di usura su tutto il manico.

La donna lo prese in mano e me lo mostrò dicendo: «Adesso lo scalderò e te lo appoggerò sul collo per pochi secondi.»

Sussultai e scattai in piedi.

«Mi marchiate a fuoco?» Dissi quasi urlando. Questi sono pazzi.

«Ariadne, capisco che tu abbia cambiato poteri da poco, ma ti consiglio di non attizzare un incendio in un edificio fatto interamente di legno.»

Alla mia espressione confusa Vivienne indicò con un cenno del capo le mie mani, e io spostai subito il mio sguardo su di loro. Piccole scintille azzurre danzavano sulla punta delle mie dita, tremolanti come sempre.

Scossi violentemente le mani per mandare via le faville dalle mie dita, ma quelle rimasero nella loro posizione, diventando addirittura più forti.

«Non spegneresti un incendio con altro fuoco. Siediti e calmati.»

«Non è lei quella che verrà marchiata a caldo», replicai perché il discorso non venisse lasciato aleggiare in aria, ma mi sedetti, chiudendo le mani a pugno.

Vivienne mi si avvicinò nuovamente, spostando i suoi lunghi capelli sulla spalla sinistra, lasciando scoperto il lato destro del collo. Inclinò la testa per liberare la visuale.

«Anche io ho una cosa simile, vedi.»
Guardai e notai un simbolo che non avevo mai visto prima di quel momento, che non combaciava nemmeno con quello che c'era sul timbro.

«Questo, a differenza di quello che farò a te, è veramente marchiato a fuoco», mi rivelò spostandosi nuovamente i capelli a coprire quella zona di pelle bruciata e cicatrizzata, forse l'unico difetto che portava sul proprio corpo.

«Il vostro è diverso», proseguì, per poi spostarsi vicino al fuoco con il timbro tra le mani.

«Scaldandolo, rilascia una sostanza metallica. Serve ai nostri magnetfeltper rintracciare chiunque ne sia entrato in contatto.»

La guardai posizionare sul fuoco l'oggetto metallico, che iniziò a colorarsi di rosso e arancione. Potevo sentire da quella distanza quanto avrebbe scottato se fosse stato toccato in quel momento.

Sapevo poco delle tradizioni e delle vite degli Elettro, le poche informazioni le avevo ricavate involontariamente da Nathan, ma sapevo che i magnetfelt erano exousies dell'Elettro specializzati nel campo magnetico, che null'altro era se non l'estensione dell'elemento principale.

Mi permisi di fare un'altra domanda alla donna: «Tu sei un' Elettro?»

Diversamente dal superiore di Loris, mi sembrava molto più aperta al dialogo, anche se temetti che da un momento all'altro avrei potuto mettere piede in un campo minato e si sarebbe chiusa a riccio. Pensai che la sua eleganza e la sua bellezza fossero già una difesa intrinseca della donna, ma non avrei voluto spingerla a schermarsi ulteriormente.

Vivienne si ritirò dal fuoco.

«Possiamo dire così. Togli i capelli dal collo.»

Basta domande personali.

«Adesso prendi un bel respiro e stai tranquilla, hai la mia parola che non sentirai dolore.»

I suoi occhi si fissarono sui miei, facendomi capire che non voleva guardassi mentre appoggiava l'oggetto su di me.

Feci come mi era stato consigliato, inspiri a fondo e sentii la mancanza del non sentire più il sangue rimbombarmi nelle orecchie. O meglio, lo sentivo, ma il significato che poteva prendere prima, quando ancora avevo i miei poteri, non c'era più: era solo sangue, nient'altro.

Mi accorsi che Vivienne mi aveva appoggiato il timbro sul collo solo perchè la vidi muovere il braccio e per un leggero pizzicore. Era caldo, ma non scottava, era più simile alla sensazione che si provava stando sotto il sole per tanto tempo.

Vivienne ritrasse velocemente il braccio.

«Visto, tutto a posto», disse sorridendomi e sigillando nuovamente nella scatola il piccolo oggetto, risistemandosi la chiave sotto la camicia.

«Ora potete rintracciarmi come un cagnolino», le riferii a bassa voce, sicura delle mie parole ma non altrettanto del fatto che volessi che le sentisse.

«Lo so che sei diffidente, è normale, ma ti assicuro che è per il tuo bene...» Fece una pausa per buttare fuori aria e poi continuò: «Per il vostro bene.»

Mi sfregai il palmo della mano sul collo. La zona non era in rilievo, ma potevo sentire delle piccole palline di materiale ferromagnetico sotto la pelle che tracciavano lo stesso disegno che era impresso nel timbro.

«Nessuno qua vuole riferire niente a nessuno», ribattei infastidita. «L'ho capito benissimo che è un modo per rintracciarci quando sicuramente qualcosa ci porterà via. Non è solo una misura preventiva.E non sono neanche sicura sia solo per questo.»

Vivienne mi si avvicinò, in modo che potessi sentirla oltre il crepitio del fuoco nonostante stesse parlando a voce sommessa: «Questo non è il mio lavoro, non sono apprezzata da tutti qui», disse indicandosi la cicatrice, per poi proseguire: «E non è il mio compito dirti niente. Quello che ti ho detto è stato per volontà personale, ma per ora non mi puoi chiedere altro o entro stanotte mi ritrovo con un coltello alla gola.»

Aprii la bocca per risponderle, ma lei mi zittì subito.

«Ti conviene chiudere anche la tua, di bocca, almeno fino a quando non vi avranno resi partecipi di quello che sta succedendo. Cerca di non essere troppo sveglia.»

E quello fu l'ammonimento finale, quindi non le chiesi più nulla.

Pensai che forse avrei dovuto sapere di più di quello che stava succedendo, ma Brental era talmente isolata dal resto delle città di Kiross che non mi sarei sorpresa se non fossi stata l'unica sprovveduta.

Il rumore del fuoco accompagnò i miei respiri per quei minuti di silenzio fra noi due, mentre Vivienne prendeva dei fogli dalla piccola libreria e se li metteva nella giacca, ora tornata sulle sue spalle. Sui fogli lessi rapidamente un nome: "Tessitrice", ma le lettere si mischiarono nel mio cervello mentre Vivienne piegava la carta. Mi alzai in piedi facendo stridere le gambe della sedia nello spostarla.

Tessitrice.

Avvertii un groppo in gola.

Come diceva la signora Norren, non era un caso se le difese tra i diversi confini erano state rafforzate, se Loris e gli altri erano stati messi a guardia dei passaggi.

Ma anche le leggende erano tante a Kiross, a Brental, e il fatto che gli avvenimenti di qui tempi fossero più recenti di altri non gli conferivano maggiore veridicità.

Giusto?

Erano voci. Io non lo ricordavo, e non avevo mai sentito nessuno - a parte mio padre - parlarne.

«Gli altri ventinove ragazzi sono dietro la torre, è il momento di andare all'Accademia. Seguimi», mi portò via dai miei dubbi Vivienne.

Percorremmo la strada fatta a ritroso, salutando prima Polly, che sigillò nuovamente l'acqua alle nostre spalle, non prima di aver fatto un singulto dispiaciuto. Mi si strinse lo stomaco per lei. Sentire talmente tanto la mancanza di qualcosa -di qualcuno- da sigillarsi nelle profondità della terra pur di starle vicino.

Nel camminare mi ritrovai a pensare ad un'altra delle storie che mio padre aveva iniziato a raccontarmi da quando ebbi superato gli otto anni.

«Ari, vieni qui», mi fece cenno mio padre per sedermi di fianco a lui e appoggiare la mia testa sulle sue gambe.

Da quando la mamma era morta, da piccola avevo cominciato a mettere le sue magliette come camicie da notte e, spesso, mi ritrovavo a inciamparci dentro.

Quella volta arrampicandomi sul letto avevo evitato di spaccarmi il labbro per un soffio, perché mio padre aveva prontamente creato una piccola bolla d'acqua che mi aveva tirata su. Issata su, aveva iniziato a raccontare.

«Erdelia era una donna bellissima e molto potente, la Tessitrice più amata della sua generazione. Viveva con suo marito e suo figlio...»

Io lo interruppi slanciando le mani in aria, gridando:«Vicino a casa!»

Lui rise:«Sì, mini, vicino a Brental.»

Di solito la storia proseguiva con Erdelia che affrontava un mostro d'acqua o un esercito di trecento soldati. Ma quella volta fu diverso, talmente tanto da quasi spaventarmi.

«Erdelia venne allontanata dalla città, per i suoi crimini, ma nessuno fu più in grado di localizzarla.»

Quella fu la prima e l'ultima volta che raccontò quella versione della storia.

Quando sbucammo al di fuori della torre, ormai la luce del pomeriggio aveva lasciato spazio alle semi-tenebre dell'imbrunire e alla frescura umida che mi penetrò fin nelle ossa.

Mi strinsi nelle spalle, sfregandomi le mani sulla braccia nude. Sentii i brividi formarsi, manifestandosi sotto forma di pelle d'oca.

Pensai alla sensazione immediata di calore che avevo provato quando le scariche elettriche si erano formate sulla punta delle mie dita, ma in quel momento l'Elettro non voleva saperne di farsi vivo. I tremolii delle mie mani creavano piccole scosse sotto alle unghie, ma nulla di più.

«Per quanto sembri strano, dal momento che andiamo in surriscaldamento col troppo calore, il nostro sangue non deve scendere sotto ad una certa temperatura per poter liberare una dose sufficiente di energia. E tu devi ancora abituarti al cambio di poteri, per questo senti così freddo.»

Era Vivienne, che ora mi si era avvicinata dalle spalle. La sentii mettermi nelle mani qualcosa di morbido, ed abbassai la testa per controllare: era un piccolo scialle verde bosco, nelle cui maglie di lana vi erano infilati rametti e rimasugli di foglie, come se qualcuno lo avesse usato per sedersi sull'erba.

«Non ringraziare me», mi precedette Vivienne. «E' di Polly, vuole che lo abbia tu.»

Mi feci un appunto mentale di lasciare qualcosa sotto ad un albero di castagno come ringraziamento, sempre che all'Accademia ci fossero stati alberi.

Ovvio che ci saranno, non ti chiuderanno mica sotto terra.

Mi misi sulle spalle lo scialle e la sensazione di tepore che sentii fu immediata, mi avvolse e mi fece tirare un sospiro di sollievo.

Vivienne riprese a camminare e la seguii dietro la torre, dove il sentiero andava mano a mano a diradarsi.

La sentii fischiare.

Riconobbi subito l'uomo che rispose al suo richiamo spuntando da dietro un pino, rinfoderando il coltello che brillava sotto la luce della luna.

Alastair salutò Vivienne: «Eccovi, temevo Polly vi avesse prese in ostaggio», poi spostò lo sguardo su di me.

«Ragazzina» disse rivolgendosi a me, facendo un impercettibile segno con il capo.

Vivienne mi tirò una gomitata nel fianco, e io raddrizzai la schiena: «Signore.»

Alastair spostò una ciocca di capelli ribelle dietro l'orecchio, e vidi che aveva una costellazione di orecchini metallici su tutto il lobo. Erano a forma di scacchi.

«Non abbiamo tempo da perdere, non è mia preferenza viaggiare di notte.»

Si mosse in avanti grattandosi la barba, seguito da Vivienne, i loro passi perfettamente coordinati.

Li seguii, sentendo la pelle dei loro vestiti sfregare, pensando a quanto fosse strano che ad Alastair facesse paura la notte.
Mi era sempre stato insegnato il contrario: il freddo notturno era come una camomilla per gli Elettro.

Dietro un secondo pino vidi gli altri ventinove ragazzi di cui mi aveva accennato precedente la donna. Ognuno era vestito in modo differente, il che mi consolò pensando alla mia gonna e alla mia camicia fin troppo leggera.

Spostai velocemente lo sguardo tra loro, cercando di analizzarne i visi: felicità, noia, abitudine, terrore ...

Non ero l'unica ad aver paura.

Bene.

La poca luce che scaturiva dalla luna mi permise di riconoscere pochi dettagli, quasi tutti irrilevanti, se non una ragazza con i capelli viola e una che portava un basco che sembrava fin troppo in bilico per poterle stare in testa.

Mi avvicinai a loro, scostandomi da Vivienne e Alastair, che nel frattempo si erano messi in testa al gruppo, vicino ad altri adulti dalle divise blu e viola. Non ci sono solo exousies dell'Elettro, quindi.

Tutti si girarono a guardarmi per pochi secondi, ma poi tornarono subito a parlare tra di loro o guardare l'erba bagnata sotto i loro piedi.

Con la coda dell'occhio vidi un ragazzo sgomitare per arrivare verso di me, ma non riuscivo a distinguerne il volto, divorato dalle ombre della notte.

«Ariadne.»

Riconobbi la voce.


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Eccomi con la seconda parte del quinto capitolo!
Il prossimo capitolo avrà una protagonista diversa, ma vi tengo sulle spine e non faccio spoiler 👀.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ditemi nei commenti che ne pensate🤍
A mercoledì prossimo!

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