3.2 • Ciò che non è umano
"These mountains you are carrying
You were only supposed to climb"
Najwa Zebian
Song: Why am I like this - Orla Gartland
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Aprii piano la porta di casa mia, entrai e feci cigolare le solite due assi di legno, per avvisare mio padre del mio arrivo. Avremmo potuto ripararle, ma quello era un "errore" della nostra casa che rimaneva dai tempi in cui la mamma era ancora con noi. Alcuni errori non erano tali in tutti i sensi, alcuni errori erano fatti per esserci.
Non lo avremmo tolto noi.
«Ari, sei tu?»
«No papà, sono la strega cattiva», risposi togliendomi il golf e sistemandolo nell'attaccapanni alla destra della porta. Anche lui era un po' sbilenco, come mi sentivo ora.
Le mani mi tremavano come se fossero attraversate da una scossa continua, e avevo freddo. Cambiai idee e ripresi il golf.
«Non si scherza su queste cose, Ariadne», rispose mio padre scendendo dalle scale che portavano alla zona notte della casa, dove c'erano camera mia e quella che era stata la camera dei miei genitori.
Alzai le braccia tremanti in segno di resa, ma parve più una presa in giro che altro.
Mio padre disse, socchiudendo gli occhi: «Prendi il secchio con l'acqua e scendi, ceniamo dopo.»
Dopo aver cercato di ripararmi.
Forse avrei dovuto inserire anche me stessa tra gli errori che la mamma si era lasciata dietro e non avevamo sistemato.
Le assi sarebbero potute rimanere sollevate e cigolanti, ma io avrei voluto che qualcuno avesse le capacità di sistemare me.
«Arrivo», gli risposi sorridendo, infilandomi il golf mentre salivo gli scalini a coppie.
Entrai in bagno, mi appoggiai al lavandino e misi una mano sul rubinetto di ottone. L'acqua iniziò a sgorgare.
Un po' troppo forte.
Non feci in tempo a levare la mano che mi trovai completamente zuppa da testa a piedi.
«Santa Madre», non vedo l'ora che il Rituale sistemi questa cosa.
Sentii mio padre urlare per chiedere se stessi bene.
«Sto bene, papà!», gridai passandomi una mano sugli occhi.
Mentre lasciai il secchio a riempirsi nel lavandino, mi asciugai velocemente e mi misi in pigiama. Il lino leggero della vestaglia mi solleticò la peluria di gambe e braccia.
Dal giorno a seguire non avrei più avuto problemi con i miei poteri, quei problemi di assestamento che iniziavano per tutti intorno ai diciassette anni e smettevano solo grazie al Rituale e alla connessione profonda con le Madri e tutti gli altri exousies.
Mio padre adorava raccontarmi quella storia, quando ero piccola.
Con l'arrivo delle Madri a Brental, erano comparsi due enormi fasci di energia: una cascata d'acqua e un vortice di energia elettrica. Intorno ad essi era successivamente cresciuta quella che sarebbe stata conosciuta in seguito come Foresta Bianca, il centro magico di Kiross e la fonte di tutta l'energia magica.
«Ari, scendi che ho fame.»
«Arrivo», risposi con il secchio fra le mani e già un piede sul gradino.
Mi misi seduta sul divano, appoggiando il secchio per terra, sopra il tappeto intrecciato.
Mio padre mi passò una coperta e me la misi sulle spalle, diventando un baco da seta color pesca.
«Allunga», mi ordinò gentilmente, infilando le sue mani nell'acqua del secchio.
«Sai che non risolverà mai niente, vero?»
Non lui, ma l'acqua. Non con me. Funzionava con tutti ma non con me.
«Non è detto», disse dopo aver inspirato a fondo. «Per ora non ha funzionato completamente, ma sicuramente ti aiuta», disse mettendo le sue mani sui miei polsi, stringendo la presa: doveva arrivare ai vasi sanguigni e ai nervi.
«Si beh, non è un grande risultato.»
A quello non rispose.
Una patina d'acqua iniziò ad avvolgermi le braccia, diventando sempre più fredda e rivelando tutte le direzioni che il mio sangue prendeva dal braccio alla punta delle dita.
Mio padre mosse lentamente entrambi i pollici e, così come era arrivata, l'acqua svanì, assorbita dalla mia pelle.
Sgranchii le dita e, malgrado non volessi ammetterlo, i tremori erano diminuiti.
Mio padre, come ad intercettare i miei pensieri, sorrise.
«Ethan Meda, ti conviene smettere.»
Volevo essere seria, ma mi scappò un risolino.
Non volevo credere che quei trattamenti potessero servire a qualcosa a lungo termine, che potessero curarmi. Sarei peggiorata, lo sapevo, era come stare su una barca e sapere che prima o poi si sarebbe schiantata sugli scogli.
Sapevo che sarebbe successo, solo non mi era concesso sapere quando.
Mio padre spostò il secchio alla destra del divano carminio.
«Andiamo a mangiare.»
Era sempre stato così, non aveva mai voluto parlare di certi argomenti.
Non aveva mai voluto parlare di tante cose.
Quando faceva così mi sentivo attraversare, sferzare, da ondate di freddo affilate come rasoi. Faceva male, ed ero da sola a prendermele.
Chiusi gli occhi e, come ogni volta che lo facevo, sentii la testa girare.
La mamma diceva sempre che era perché la mia testa si muoveva troppo velocemente per affrontare la paralisi esterna del mondo.
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