22.2 • Il freddo nelle ossa

"The sits are empty,

The theatre is dark.
Why do you keep acting?"

Song: Bad omens - 5SOS

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Il ghiaccio davanti a noi era l'unica cosa che ci avrebbe permesso di raggiungere Kiross senza passare per Brental che, in periodi fuori dalle gelate invernali, era l'unica via concessa ai viaggiatori per arrivare in territorio Silente che non fosse via mare.

Da quando le nostre due culture si erano fuse, non molte cose facevano intuire che si stesse lasciando il territorio degli exousies, ma tracce degli scontri potevano ancora essere intraviste disseminate per il paesaggio abbandonato.

Le vecchie torri di avvistamento e i caseggiati rurali non erano più stati abitati: per gli exousies erano tombe di Energia stantia, e per i Silenti ferite ancora aperte.

La folta cortina di nebbia stendeva il suo manto sopra la solidificata lingua di mare, Gloommere, in quel punto priva di correnti forti al punto da rompere il passaggio naturale che le Dee ci avevano concesso per quel periodo dell'anno. «Non sembra neanche Xeka; a Brental una gelata simile non l'ho mai vista», disse Nathan abbassandosi verso il collo del cavallo per proteggersi dal vento che gli faceva aderire i fiocchi di neve sulle folte ciglia.

Mi stavo reggendo al suo mantello puntando lo sguardo su Nora, che combatteva per scrollarsi di dosso la presa di Clara, la parlantina attiva come sempre. La sua voce veniva trasportata dal vento e distorta fino a renderla un canto selvaggio, un tutt'uno con gli ululati del vento. Quinlan aveva insistito per stare in fondo alla carovana, l'unico solo su un destriero piuttosto infastidito di averlo come fantino.

«Smettila di guardare se Quinlan continua a seguirci», dossi a Nora non appena i nostri cavalli pareggiarono il passo grazie a Nathan che allentò la presa sulle redini.

«Non capisco perché venga, suo fratello l'hanno mollato in infermeria come una zavorra. Non mi stupirei se facesse come ha detto Kalen e se ne andasse.»

Gli occhi della ragazza erano neri come la pece, e il freddo che ci circondava non faceva altro che renderli più penetranti in contrasto con la stasi della natura.

Portava una mantella sulle spalle, che le arrivava poco sotto il seno, svolazzando a ritmo della cavalcata rigida ma esperta.

Io sentivo la pelle rabbrividire contro la lana del maglione che mi ero messa sperando bastasse a tenermi al caldo, forse rassicurata nel vedere Alastair con solo una camicia a mezze maniche.

Blanc batteva le ali in testa alla carovana, il piumaggio che quasi spariva nel cielo grigio.

In parte mi vergognavo a non aver ancora raggiunto una temperatura nella norma per un Elettro; cercavo di mascherare la mia mancanza non coprendomi più del necessario. Pensavo che prima o poi mi sarei abituata, forse dando al mio corpo un aiuto adottando determinate misure.

«Se se ne va, non penso continueranno a curare il fratello», intuii. Seppure ormai eravamo rimasti una ventina, dopo l'attacco dei sylkukkonen, Kalen non sembrava spaventato dall'idea di perdere altri allievi e le cure non erano gratuite, doveva avere un'assicurazione che gli sforzi fossero ripagati a dovere. La moneta di scambio per la cura di Conall era Quinlan che, buona sorte o Dee, era sia suo fratello che il migliore del nostro anno. Forse rivaleggiava anche con gli studenti più grandi.

Mi stupiva non fosse stato ancora in grado di trovare un modo per far sparire noi tre o impedire ai Guaritori di stare dietro ai feriti, soprattutto se in uno stato di sonno cronico come Conall, dopo che i sylkukkonen gli avevano succhiato così tanta Energia.

«È un grande stronzo, ma pure per lui le Dee esistono. Se permettesse in maniera così esplicita la morte di altri exousies, non penso le Grandi Madri ne sarebbero contente», replicò Nathan facendomi quasi cadere quando si voltò per guardarmi negli occhi.

Il marrone dei suoi si era leggermente spento ora che non aveva la luce del sole a tuffarvicisi dentro, ma la solita pagliuzza dorata ancora faceva capolino quando inclinava la testa verso destra.

Kalen era un affronto alle Dee vivente.

«Perché sia chiaro per tutti», esordì Vivienne aprendo leggermente le labbra cremisi, quasi ci avesse sentiti, «questo non è solo il vostro primo compito ufficiale. È anche un modo per mantenere l'alleanza con i Silenti, colpi di testa non sono consigliati. Camminiamo su un filo sottile.»

La donna mi guardò in tralice, mostrando il sottile taglio marrone che le solcava una parte nascosta del collo. Ogni volta che l'avevo vista lasciare l'Accademia vestita con abiti sontuosi, il giorno seguente si presentava a lezione con qualche ferita in più. Mi chiedevo chi fossero i suoi Guaritori per permettere che i tagli le si rimarginassero con così tanta lentezza; sarebbe bastata una semplice carezza sulla pelle, un veloce passaggio con il pollice, per risanare danni di così bassa portata. Eppure lei li sfoggiava senza problemi, forse in tono di sfida, visto il lampo che le attraversava gli occhi ogni volta che Kalen le diceva di coprirsi.

Quel giorno indossava un lungo mantello blu notte ornato sul fondo da una sottile striscia di pelliccia bianca, forse ermellino, ma portava i pantaloni e gli stivali di pelle come il resto di noi.

Io ero stretta nella divisa viola opaco, anche se avrei preferito indossare il vecchio colore blu come stava facendo Seraphine e, quando giungemmo dentro le mura del villaggio principale di Kiross, quello che circondava il castello Silente, fu la prima a dirci: «Non badateci se capite di non essere graditi».

Capii presto che la popolazione Silente era spaccata in due correnti di pensiero: le persone più anziane, forse ancora memori della guerra, si spostavano al nostro passaggio come fossimo mosche; i più piccoli e i loro genitori, anche se non tutti, si avvicinavano curiosi.

Attraversare la piazza principale della città, costeggiando la lunga fontana centrale, era come richiamare l'attenzione di chiunque potesse non sapere del nostro arrivo tramite segnali di fumo e trombe stonate. A Brental la situazione era diversa; quelli che venivano all'ospedale per farsi curare erano sicuri di quello che volevano, era una loro scelta attraversare il nostro territorio. In questo caso, invece, era un po'... diverso.

Non eravamo più inclini dei Silenti a uccidere qualcuno, in fondo erano stati loro a iniziare la Caccia Bianca – la pulizia della Magia dal mondo –, eppure era inutile negare che avremmo potuto farlo con molta più facilità di chiunque altro; e loro non credevano alle nostre Leggi.

Nonostante gli stendardi– strisce di pesante tessuto decorato con fili dorati – che celebravano la Festa del Vero Freddo, si sentiva poca aria di gioia al nostro passaggio, seppure l'angoscia fosse coperta dal profumo di pane appena sfornato. Sperai fosse più per il clima avverso che per una qualche forma di risentimento nei nostri confronti, ma non ero così stupida da crederci senza riserve.

«Spero di arrivare a breve dentro il Palazzo dell'Anima o potrei impazzire», disse Nora spostandosi a lato della sella. I muscoli avevano cominciato a dolere e intorpidirsi da tempo, ormai.

«Ancora la parte finale della piazza e forse ci siamo», replicò Nathan girandosi a guardarmi per una seconda volta. Non fossestato per il fatto che ero ancora avvinghiata al suo mantello, avrei creduto che lo facesse per controllare di non avermi persa. Aveva studiato la cartina della citta prima della nostra partenza, ripetendola a mente e Nora finchè non era stato sicuro di averla assimilata completamente.

Il Palazzo dell'Anima aveva preso il suo nome durante il periodo delle rivolte, prima che i nostri due popoli sancissero i patti di alleanza. Era un titolo di scherno: i Silenti avevano un nucleo spirituale dentro al loro guscio di carne ed ossa, noi exousies eravamo solamente anime dannate. Il silenzio che noi sentivamo quando ci avvicinavamo a loro, la mancanza di Energia, per i Silenti era ciò che li faceva sentire superiori a noi e che, di conseguenza, faceva si che ci temessero. Anche in questo caso, però, non ero così cieca da pensare che noi non avessimo fatto niente per meritarci tale odio, semplicemente gli equilibri continuavano a pendere su due piatti della bilancia diversi in momenti diversi.

La sistemazione delle case di fronte a noi era ordinata, non su diversi piani di profondità e altezza come Brental, ma organizzate in modo regolare e distanziate in egual misura. Il colore preponderante era il bianco che, quando veniva colpito dalla luce del sole, rifletteva i raggi in un turbine infinito fino ad arrivare all'acqua limpida della lunga fontana di pietra calcarea. Le loro strutture erano molto più pulite delle nostre, la natura non si mischiava con esse come faceva nei villaggi exousies. Era più una decorazione, piuttosto che essere parte integrante dell'ambiente cittadino.

Era la stasi che spesso agognavo, un piccolo posto per me nell'immobilità del mondo.

Quando finalmente svettò davanti ai nostri occhi il palazzo, dovetti inclinare all'indietro il collo per poterne godere nella sua interezza: lunghe guglie spuntavano come corvi lungo tutto l'edificio, talmente bianco da riflettere l'azzurro terso del cielo e le vetrate colorate facevano invidia all'arcobaleno più bello.

I fiori cessavano di essere presenti solo dopo l'imponente cancello d'ingresso in oro massiccio, e lasciavano il posto a candelabri con candele la cui fiamma sembrava ignorare il vento che la sferzava.

«Bel viaggio, seguirti fino a qui.»

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capitolo privo di revisione non linciatemi vvb

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