19 • Accenditi

"When children are punished
for their honesty,
they begin to lie"

Song: Running up that hill - Placebo

————-𓆩♡𓆪————-

«Ti avrebbero uccisa senza nemmeno chiedere il permesso», mugugnò una voce dal corridoio.

La testa pulsava, il respiro combatteva con sé stesso per uscire dalle mie labbra, e il sapore metallico del sangue mi stava facendo tremare dai conati.

«Non ci uccideranno», dissi accoccolandomi contro il muro per formare una palla con il mio stesso corpo.

Il mio odore di rosmarino sembrava stesse puzzando di bruciato.

«Dani, che stai dicendo?»

Nora e Nathan erano andati avanti, ancora con il respiro corto per lo sforzo, mentre io ero rimasta indietro vicino al portone, che il ragazzo aveva prontamente richiuso alle nostre spalle.

Il metallo era ancora rosso per la modifica che gli era stata apportata.

«Non gli servi e, soprattutto, sei inferiore a loro. Non avrebbero problemi a liberarsi di te.»

Infilai la testa fra le gambe, premendo le ginocchia contro le orecchie tanto da far male, da farmi digrignare i denti.

Il pavimento di pietra era umido, come quello del laboratorio. La pozza d'acqua su cui mi ero seduta stava già impegnando i miei pantaloni del suo colore verdastro.

La luce di Nathan, tornato verso di me, brillava tra i nostri corpi, più vicini di quanto mai lo fossero stati.

«Ho bisogno di respirare, andate avanti senza di me», dissi cercando di concentrarmi sulle mie parole e non su quelle che sentivo grattare nel retro della mia testa.

I palmi mi sudavano, erano molli e stanche.

«Tutti loro potrebbero ucciderti. Non sei niente, senza l'Idro.»

Morsi la pelle fredda della mano, imprimendo in essa il segno degli incisivi e dei canini, piccole conche prive di acqua ma colme di senso di colpa.

«Sei sicura?» domandò Nora abbassandosi per guardarmi negli occhi. I suoi brillavano come due pozze nere, rese ancora più scure dalla mancanza di luce sufficiente nel corridoio.

«Sì, io... devo pensare.»

Nora stringeva al petto il libro dei Tessitori, stando attenta a non sgualcirne le fragili pagine.

«Ti aspettiamo in camera, allora», concluse Nathan quando non indirizzai il mio sguardo verso di loro; mi lasciò il suo maglione a coprimi le gambe.

La lana era un po' infeltrita e bruciacchiata sulle maniche, ma ancora morbida nella parte del torace. «Sì, lasciali andare da soli. Così possono pensare a come consegnarti alle guardie.»

«Sta' zitta», sussurrai spingendo con i piedi contro le pietre e facendo scattare indietro Nora.

La ragazza e Nathan diedero un ultimo rapido sguardo nella mia direzione, ma poi finalmente si decisero a sparire nel buio, a farsi inghiottire dagli ultimi stralci della notte.

«Avresti potuto ammazzare un uomo.»

La voce femminile era talmente insita nella mia testa che non ero quasi più in grado di comprendere se fosse una figura a sé stante o se i miei pensieri ne fossero pregni; se quella stessa voce fossero miei congetture, non parole esterne.

«Non l'ho fatto, sta bene», dissi premendo le mani sul freddo della pietra, affondando i polpastrelli nella polvere di sabbia. Mi graffiarono le spazio tra le unghie, che si stavano tingendo di viola insieme al resto della pelle.

Il fiato che mi scappava dalla bocca si diffondeva nell'aria come una sottile nebbiolina, accarezzandomi le guance con un insignificante calore.

«Però potresti, se volessi. Avresti potuto uccidere quell'uomo.»

«Non voglio», sputai le parole nel mio grembo, dove avevo inclinato la testa per toccare il collo con il mento.

Le dita tremanti stavano pulsando, il sangue combatteva tra i capillari e le vene per raggiungere le estremità.

I bambini cominciarono a comparire nella periferia della mia vista, riempiendomi nuovamente gli occhi. Ancora il fuoco, ancora le danze e ancora la famiglia al centro della piazza.

«Smettila», ringhiai, «non voglio vedere nulla di tutto questo.»

«Io non faccio niente, è solo il normale flusso dell'Energia», replicò la voce in un sussurro, «se fossi abbastanza forte riusciresti da sola a reprimerli

Le scintille mi stavano scappando dalle mani senza il minimo sforzo, diffondendosi lungo l'acqua che bagnava il pavimento. Era un cielo stellato al contrario, trattenuto nella terra. Potevo vedere il mio viso riflesso e illuminato da quello scostante viola-azzurro.

«Se fossi stata abbastanza forte, avresti salvato tua madre.»

Ora potevo vedere i lunghi capelli scuri della donna adagiarsi sulle mie spalle, come se fosse presente nella stanza. Mi solleticarono la pelle come una trapunta di spilli, avvinghiandosi alla mia pelle e ancorandosi ad essa.

Piantai i piedi saldamente a terra, girandomi per afferrare il collo della donna, ma quello svanì sotto il mio tocco come nebbia, dissolvendosi nell'aria.

«Forse lei sarebbe ancora viva», rise la voce in tono gutturale. La delicatezza che aveva avuto prima nel tono era completamente sparita: non era più una carezza, ma uno schiaffo.

L'uomo ora aveva il bambino in braccio, e lo faceva vorticare sopra la testa mentre sorrideva.

«Smettila», la avvertii nuovamente mentre affondavo le mie unghie nella carne del palmo delle mie mani. Il sangue scorreva già caldo verso i miei fianchi, io rannicchiata in una pozza cremisi.

«L'unica cosa che hai è il potere, e nemmeno ti azzardi ad usarlo.»

Dal nulla, mi arrivò uno schiaffo sulla voglia, surriscaldandomi la pelle della guancia. Era un fuoco febbrile sotto la carne.

«Vuoi vedere il potere?»

Mi alzai di scatto, le gambe tremolanti ma fisse nella loro posizione. Prima che potessi decidere in che direzione agire, abbassai in un movimento continuo le braccia, allargando le dita più che potei.

Rapide come lo erano stati i miei arti superiori, le saette si diramarono in tutte le direzioni, come nate dalla mia pelle stessa, avvolgendomi in una cupola di elettricità. Il corridoio umido si illuminò come una fiera di paese, e la scossa del rimbalzo dei fulmini sulle pareti fece precipitare dal soffitto una pioggia di terra e polvere, che si depositò sui miei capelli e mi tranciò di netto il respiro.

La voce rise.

«Dove sei?» urlai emanando una seconda ondata di fulmini. Un'onda d'acqua si scontrò contro gli stretti bordi del corridoio quando pestai la terra con lo stivale.

Lei continuava a ridere in modo fastidioso, la voce rimbombava imperterrita e mi costringeva a girare la testa in tutte le direzioni.

«Dove sei?»

L'acqua era il miglior conduttore per l'elettricità, e il pavimento era ormai un tappeto violaceo.

Lasciai scappare un urlo disumano, che mi grattò la gola con artigli affilati e imploranti.

La donna rideva senza controllo per tutto il corridoio, avvolgendomi in una spirale che si muoveva a tempo con le mie saette.

Il respiro che usciva dai miei polmoni era corto, indebolito dalla polvere che mi entrava in gola ogni volta che inspiravo. Le lacrime iniziarono a rigarmi il viso, concedendo un tocco di freddo al mio corpo che sembrava ingurgitato dalle fiamme.

L'elettricità non smise di percorrermi il corpo con la sua violenta tranquillità finché non fui troppo in sovraccarico anche solo per scatenare un tuono.

Caddi a terra sbattendo le ginocchia sulle pietre, il suono delle ossa contro i sassi mi fece rabbrividire.

«Siamo nate per uccidere, è la nostra condanna e il nostro dono.

————-𓆩♡𓆪————-

Capitolo molto breve ma penso sia altrettanto importante.

Spero vi sia piaciuto e sarei molto curiosa di sentire, anche in questo caso, le vostre teorie.

A Mercoledì prossimo!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top