15.1 • Assorbimento

"I cannot make you understand"

Franz Kafka

Song: Far From Home - Sam Tinnesz

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La sala da pranzo, arredata di tenebre come il resto dell'Accademia, era gremita di studenti, suddivisi su lunghi tavoli a seconda dell'anno di corso. Il soffitto era immenso, costituito da archi di pietra scura, e distribuiva uniformemente il suono in tutto lo spazio, mitigando la confusione.

Presi posto accanto a Nora e Nathan, che già stavano addentando della carne e della bizzarra verdura arancione.

«Oh, eccoti», esordì la ragazza passandomi un piatto già preparato.

La ringraziai e iniziai a mangiare anche io, con lo stomaco che finalmente mi ringraziava, seppure avrei preferito correre a cambiarmi e gettarmi addosso barilate di fiori di lavanda.

«Avete sentito i ragazzi più grandi?» domandò Claudia mentre tamburellava con il coltello sul bicchiere di vetro, facendo vibrare il liquido al suo interno.

Scossi la testa, per permetterle di proseguire il discorso. Bevvi un sorso d'acqua, nettamente più fresca di quella di Brental, che veniva estratta dai pozzi a valle.

Mi chiesi grazie a quale sistema di pompe o tubi riuscissero a prendere l'acqua dalle montagne.

«Per la festa del Vero Freddo, i Silenti vogliono invitare per la prima volta anche noi», rivelò la ragazza saltellando frenetica sulla panca.

«Noi dell'Accademia?» domandò Nathan guardandola di traverso, alzando un sopracciglio.

«Tutti gli exousies, così dicono», specificò Claudia facendo ondeggiare i suoi capelli biondo miele.

«Ve lo dico io, quelli ci vogliono fare fuori», puntualizzò Quinlan tagliando nervosamente una carota già ridotta a pezzetti.

Nora lo puntò con gli occhi pece, minacciandolo con la forchetta. «Bignè alla crema, le tue parole farebbero onore a un estremista.»

Nathan si fece sfuggire un risolino, che innervosì il ragazzo più di quanto già non fosse.

«Ridi, quando saremo in prima linea non ce ne sarà tempo.»

Claudia gli diede una spallata contro il braccio, ma Quinlan non sembrò farci caso.

La ragazza continuò imperterrita: «Vi immaginate i vestiti, i balli, la musica ...»

«Tesoro», disse Nora, «mi spiace infrangere un tuo sogno, ma se saremo invitati probabilmente dovremo stare accanto ai membri della guardia reale.»

L'entusiasmo di Claudia si affievolì così com'era arrivato, e i piselli che le erano rimasti nel piatto furono costretti a venir sballottati avanti e indietro dalla sua forchetta.

«Sono sicuro ci saranno altre occasioni», le suggerì Nathan polverizzando Nora con lo sguardo. Lei mimò un "che c'è" con le labbra, ma non chiese scusa a Claudia, si limitò ad alzare gli occhi al cielo e prendere una fiaschetta dalla tasca della tunica, piegandosi in avanti per berne indisturbata il contenuto.

Storsi il naso all'odore dell'alcol, ma mi limitai a guardarla di sottecchi. Sembrava abituata, anche se la cosa non mi tranquillizzava, e Nora mi fece spallucce prima che potessi tentare di farle domande.

Quando il pranzo si concluse, aspettammo che uscisse un po' di gente prima di alzarci anche noi.

«Assurdo che ci abbiano dato il pomeriggio libero», bofonchiò Nora sbadigliando.

«Non sei contenta?» le chiesi raggiungendola; le suole carenate degli stivali si impigliavano nel tappeto ad ogni passo.

«Ovvio, posso andare a dormire. Se mi disturbate vi uso come cuscini per il resto della vostra vita.»

Seguimmo i corridoi a ritroso, con Nora a capo e i chiacchiericci in sottofondo che emanavano una bizzarra sensazione di estraniamento. Li sentivo, ma non riuscivo ad ascoltare, troppo mischiati tra loro per potervi associare un senso.

All'improvviso, la mia mente si focalizzò su altro: una mesta cantilena che proveniva da uno dei cunicoli alla nostra destra.

«Lo sentite anche voi?» domandai piantando i piedi a terra.

«Ariadne, ti prego, se sei uscita da un manicomio diccelo. Non ti giudicheremo», rispose Nora grattandosi la testa svogliatamente. L'avevo interrotta nel mezzo di uno stiracchiamento.

La voce continuava a cantare melliflua, ma non riuscivo a capire bene da dove venisse, era come un rimbombo lontano e martellante.

«Cosa senti?» domandò Nathan allungandosi nella mia direzione, facendo due passi indietro.

«Qualcuno che canta», risposi. Sembrava come provenire da un sogno, l'atmosfera che emanava mi trasportò completamente nella litania. Dei bagliori di fuoco mi stavano avvolgendo, delle lanterne erano sospese sopra la mia testa e i bambini si rincorrevano lungo i muri. Le madri gridavano di non cadere nelle pozzanghere, mentre i padri stavano accendendo delle pire ai lati delle strade. Il nero della notte era investito dal vociare e dalle lucciole fluttuanti, che non badavano alla pericolosità del bosco.

«Fa leggermente paura», sussurrò Nora allontanandosi dal cunicolo che avevo indicato.

«Dillo a me che la sento», dissi cercando di alleggerire l'aria, che si era fatta stantia.

Un bambino cadde dal bordo dei ricordi, e corse a pulirsi le mani sulla gonna scura della madre.

"Gael, stai attento", gridò la donna rincorrendo il figlio non appena questo si ributtò tra la folla. Il piccolo era la copia carbone dei genitori, le persone avrebbero potuto ricomporre la famiglia anche solo guardandoli di sfuggita.

Le ragazze erano intente a ballare intorno ai fuochi fatui, roteando come foglie al vento nei loro vestiti candidi.

Tutto sembrava parte di un unico grande polmone, pensò la donna. Togli un'arteria, e tutto il resto crolla.

Non era più come sentire, era come esservi invischiata dentro.

«Oh, eccoti di nuovo

I bambini smisero di colpo di correre, il fuoco si spense con un tonfo. Un assillante silenzio era tutto quello che rimaneva di quello stralcio di vita.

Riconobbi la voce della sera precedente ma, a differenza dell'altro giorno, fui sollevata di riuscire ad associarvi un viso. La ragazza doveva avere circa la mia età, forse di qualche anno più grande, e i capelli ricci le incorniciavano il viso scuro perfettamente simmetrico. Il nasino all'insù le dava un'aria elegante, accentuata dal lungo vestito di pizzo rosa antico che le fasciava la vita, allargandosi sulle spalle.

«Sante dee», esclamai, quasi lasciandomi cadere a terra. Con la canzone che ancora risuonava inesistente nella mia testa, la realtà e il sogno erano in una foschia di sovrapposizioni.

«Questo bagliore lo vedo anche io», esclamò Nathan fin troppo contento.

«Riferisci al tuo amico che non sono un "bagliore"», ribatté stizzito il varjos, «mi chiamo Elowen.» L'Ombra fece un profondo inchino, sollevando i lembi della gonna con le mani adornate di anelli.

Nora tornò vicino a noi, mettendosi le mani sui fianchi. «Vi dispiacerebbe rendermi partecipe delle vostre pazzie?»

Cercai di spiegare al meglio delle mie capacità, seppure la ragazza avesse deciso di parlare solo con me, per mia sfortuna.

Sul viso di Nora rimaneva imperterrita un'espressione sconcertata, ma non sembrò mettere in dubbio la cosa, forse troppo stanca anche solo per tentare.

Il bagliore di Elowen illuminava il corridoio scuro, facendolo sfolgorare di bagliori dorati, mischiati ad una punta di rosa del suo vestito perfettamente stirato.

Era una luce calda, positiva, nulla a che vedere con le scene di festa di poco prima. L'ambiente doveva essere stato felice, ma era come vedere i ricordi di qualcuno che aveva deciso di appiccare il fuoco alla propria casa, per distruggerne ogni traccia o attaccamento emotivo.

«La scorsa volta saresti potuta essere un po' più chiara con l'avvertimento», la rimproverai ripensando al panico che mi avevano causato il fratello di Claudia e i suoi stupidi amici.

«Mi rincresce, ma quando c'è un evento che può intrattenermi, ne approfitto.»

«Potresti chiedere alla... tua amica perché starnazza come un'oca per i corridoi?» domandò Nora iniziando a perdere la pazienza con intensità proporzionale al tempo che le stavamo sottraendo dal riposo.

«Saresti così gentile da dire alla tua amica che io non starnazzo? Canto bene. Non ero io.»

«E scusa, perché sei qui?» ribattei, iniziando ad essere confusa pure io.

«Seguimi», ordinò e, con quelle parole, sparì in un unico bagliore verso il cunicolo.

Mi stava iniziando a far male la testa; i colori erano tornati ad essere uniformi e la musica era finalmente cessata, ma mi sembrava di poterla sentire ancora in un angolo della mia testa, a solleticarmi i pensieri.

«Io vi dico cosa mi ha detto, ma vi prego, non le diamo retta», implorai i miei compagni sperando avessero paura almeno un briciolo di quanta ne avevo io. «Ci ha chiesto di andarle dietro», confessai infine sotto i loro sguardi inquisitori.

Nathan ebbe la reazione di un bambino a cui dai una caramella; Nora sbuffò avvilita, quindi sperai che desse ascolto a me e al richiamo delle lenzuola imbottite.

«Dai Nora», la implorò il ragazzo sforzandosi di apparire innocuo nonostante la stazza. «È una delle poche comunicazioni comprovate con un varjos, dobbiamo indagare.»

Scossi la testa forsennatamente, cominciando ad allontanarmi dal tugurio buio e umido nel quale ancora Elowen luccicava come un faro. La sfera di luce cominciò a vibrare, gesto che interpretai come un "muovetevi", ma evitai di riferirlo agli altri.

«Per quanto sia d'accordo con Ariadne», esordì Nora con la sua decisione finale, «se non facciamo come dice ho paura che tormenterà il mio sonno per i prossimi tre anni. Vada per la discesa nel buio con le creature della notte.»

Nathan sorrise soddisfatto, sistemandosi un ricciolo dietro l'orecchio. Che cosa si aspettasse da quell'esplorazione, non mi era chiaro, ma forse era proprio la sensazione di avventura, quello che cercava. Senza meta, solo percorso.

Contro voglia, cominciai a camminare dietro i due, che continuavano a bisticciare su quello che avrebbero trovato alla fine del corridoio, se mai ce ne fosse stata una.

«Se raccontassi a qualcuno che abbiamo seguito un coso volante, mi prenderebbero per pazza», sussurrò Nora in preda a sbadigli talmente forti che gli occhi le lacrimavano.

Il varjos vibrò nuovamente, stizzito.

«Elowen chiede di smettere di chiamarla "coso"», la informai prima che l'Ombra potesse decidere che l'avevamo stancata e lasciarci al buio in quel cunicolo inquietante.

Non era tanto dissimile dal resto dei corridoi dell'Accademia, ma sulle sue pareti non vi erano né lanterne né luci ad elettro, il che mi fece pensare che fosse un invito a non entrarvi. Un invito che noi non stavamo rispettando.

«Possiamo tornare indietro?» pregai nonostante sapessi già la risposta che avrei ricevuto.

«Stai male?» chiese Nathan rallentando lievemente il passo.

«No», risposi maledicendo la mia onestà, «ma non è che abbia una grande sensazione al riguardo», conclusi indicando lo spazio circostante.

«Neanche a me piace l'umidità, mi increspa i capelli», confessò Nora, «ma oltre a questo mi sembra tutto tranquillo.»

Ricacciai in gola un groppo di paura, e mi strinsi le braccia per scaldarmi.

Il varjos continuava a fluttuare a mezz'aria davanti a noi e, ogni tanto, pareva girarsi per controllare se lo stessimo seguendo tutti e tre.

«Ci siamo quasi», sussurrò Elowen nella mia testa.

Rabbrividii.

«Ti prego, se devi parlare, materializzati. La cosa è già inquietante di suo», la implorai aggrottando la fronte.

Nathan perse la direzione per qualche secondo quando Elowen prese forma umana per farmi una linguaccia ma, appena ritornò ad essere un'ombra, riprese a marciare con il solito passo sostenuto verso nulla più totale.

«La vedi anche tu, quindi», gli sussurrai spostandomi accanto a lui. Dietro di noi, Nora non smetteva di sbadigliare, ma era rilassata.

«Non bene come te, ma in forma di ombra sì. I miei sono molto credenti», confessò, «andavamo alla Bobina quasi tutti i giorni.»

Non a tutti era concesso di vedere i varjos e, spesso, loro sceglievano di non mostrarsi neanche a chi era ritenuto adeguato dalle dee. Erano creature che rimanevano fisse nell'età in cui erano andate incontrato alla morte ma, a differenza di qualsiasi altro residuo energetico, erano inclini ad essere senzienti e, quindi, munite di potere decisionale.

Mia mamma era stata solita parlare col i varjos dei suoi genitori, ma io non ero mai riuscita a vederli in forma fisica.

«Elowen, sai chi cantava prima?» provai a chiederle per tornare al discorso che avevamo troncato.

«No, se lo sapessi l'avrei già cacciata dall'Accademia, salvaguardando le mie povere orecchie. I suoi canti da villaggio non fanno per me, sono poco eleganti. Ma ultimamente la sento spesso invadere i miei spazi.»

Il suo vestito era stretto in vita da un corsetto ricamato con piccole foglioline verde salvia, mentre la gonna si apriva ampia fino a toccare terra, svanendo nel nulla, come ad attraversare il pavimento di roccia stesso.

«Maledizione, quello è un serpente», gridò Nora tirando un calcio davanti a sé, che mancò l'animale per un soffio. Mi girai con tutto il corpo per vedere meglio, e un serpente bianco, lungo almeno due metri, stava strisciando lungo il pavimento bagnato, evitando le pozze con dei rapidi movimenti di coda.

Nathan si avvicinò al rettile e, con sorpresa di tutte, lo afferrò con entrambe le mani. Il serpente sibilò solo quando Nora esclamò: «Che schifo, Nathan».

Elowen si mise ad urlare e sfarfallare. «Rilascia subito Freya

Il varjos rivelò che l'animale era suo e, stizzita, sentenciò: «È per la tua amica cieca all'Energia.» La luce nel corridoio era diventata instabile, dovevo sforzarmi per mantenerla nel mio campo visivo. «Guarda un po', io qui mi do da fare e quella mi ringrazia così.»

«Nora», spiegai, «È... per te. Puoi seguire il serpente, Freya, così saprai dove andare.»

La ragazza rabbrividì mentre Nathan posava delicatamente a terra l'animale, che lo ringraziò con un colpo della sua testolina sulla gamba di lui.

«Non poteva avere un gattino o un cagnolino eh?»

Camminammo per altri minuti in quello che pareva un percorso senza capo né coda e, quando finalmente le nostre guide si fermarono, davanti a noi trovammo solo una porta di metallo a sbarrarci la strada. Non fosse stato per loro, vi sarei andata a sbattere, test compresa.«Più di così io non posso proseguire», mi sussurrò Elowen prendendo forma alle mie spalle. Giurai di poter sentire i suoi capelli accarezzarmi il collo, scendere lungo la mia spalla.

«In che senso, scusa?» domandai riportando agli altri le sue parole.

«È il motivo per cui ti ho chiesto di venire a vedere. C'è una strana macchina all'interno di questa stanza. Ogni volta che mi ci appropinquo, comincio a dissolvermi.»

Per quanto mi potesse sembrare strano, gli occhi di Freya si rattristarono e si allungò verso il varjos, a confermare le sue parole.

«Chiamami quando finite, sono costretta ad allontanarmi.»

Nora sbuffò. «Perfetto, quell'irresponsabile ci conduce qui e poi ci molla. Meraviglioso.»

La porta era di metallo massiccio, non si riusciva a sentire niente provenire dall'interno della stanza. Nonostante l'umidità, non c'era traccia di ruggine o usura da nessuna parte, nemmeno nei cardini perfettamente cesellati. «La apro io», dichiarò Nathan avvicinandosi alla serratura.

«Siamo sicuri di voler entrare?» domandai iniziando a temere cosa – o chi – avremmo potuto trovare dall'altra parte.

Mi sentivo impotente, avrei voluto avere la falce.

«Siamo qui. Tanto vale...»

Con quelle parole, Nathan appoggiò le mani sulla porta e da esse presero a diramarsi delle onde concentriche. Come le increspature che si formavano nell'acqua dopo aver gettato un sasso, il suo potere si espanse intorno alla porta e, quando staccò di netto le dita dal metallo, sentimmo un cigolio. «Non voglio farti i complimenti», esordì Nora massaggiandosi una tempia, «ma complimenti.»

La risata di Nathan riempì in modo raccapricciante il corridoio, rimbombando. Prima che potessi allungare la mano per fare un ultimo tentativo nel fermali, una corrente ci spinse tutti e tre all'interno della stanza, sbattendo la porta alle nostre spalle.

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In che guai si starà cacciando la combriccola? Non vi dico in cosa, ma vi dirò che saranno tanti.

Spero che questo capitolo più movimentato vi sia piaciuto, aspettate di vedere quello di settimana prossima. Mi sono divertita tanto a scrivere questo capitolo 15, quindi spero piaccia anche voi. Fatemi sapere cosa ne penate! <3 bacino

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