14.2 • Scegli l'arma

"Some people survive chaos

and that is how they grow.

And some people thrive in chaos,

because chaos is all they know."

Song: Run boy run - Woodkid

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Istintivamente – più per sensazione che per altro – allungai la mano sulla falce, un lungo bastone di legno rigido e una lama ricurva, sottile ma lunga ed affilata.
La strinsi nella mano, per poi farla saltellare in essa. Mi sembrava leggera e, con un po' di pratica, facile da manovrare.

La lama, se allungavo la mano in avanti, si estendeva in una semicirconferenza che mi circondava quasi del tutto.

Mi girai per rintracciare Nora e Nathan, e nel mentre intercettai Claudia e Quinlan litigare.

«Non posso farti da batteria, se non c'è tuo fratello dobbiamo entrambi cavarcela senza», gli disse lei guardandolo dal basso, mentre saltellava da una gamba all'altra.

«Sei un'incapace, nel momento del bisogno non rischierò di morire per te.»

«Fai come vuoi, ma sai benissimo anche tu che finirai per farti saltare in aria da solo», replicò lei scocciata mostrandosi tranquilla, nonostante le lacrime stessero combattendo con loro stesse per non rigarle il viso.

«La prossima volta che lo rincorro da ubriaca, tiratemi un bugno nello stomaco», affermò Nora inorridita.

Alastair battè le mani fra di loro, richiamando la nostra attenzione.

«Le lezioni si svolgeranno in modo alternato: combattimento armato, uso dell'elettro e uso del magnetismo», ci spiegò, «a volte vi daremo qualche nozione di storia, ma per quello dovrete far maggiormente riferimento alla biblioteca, che si trova all'ultimo piano dell'Accademia ed è ad accesso libero, per molte delle sezioni.»

Ci fu un rapido brusio di sottofondo prima che Alastair potesse chiedere: «Pronti?»

Alle sue direzioni, ci spargemmo per la stanza che, nonostante fossimo una ventina, riusciva ad apparire vuota per quanto era ampia.

Sul pavimento furono posizionati dei materassini blu notte, ma dubitavo che lo scarso spessore avrebbe impedito la formazione di lividi o contusioni se fossimo caduti a terra.

«Considerate le armi come una vostra estensione, esattamente come i vostri poteri», ci insegnò Alastair, «servirà del tempo per prenderci la mano, ne abbiamo poco ma vedremo di farcelo bastare.»

La stanza divenne in poco tempo un miscuglio di urla e odori, mischiati al profumo delle diverse magie che, seppure ci fosse stato vietato di usare, sfolgoravano come lievi bagliori prima che Alastair potesse sopprimerle con un grave urlo.

Mi sentivo accaldata, con le braccia doloranti. Seppure la falce che avevo scelto fosse incredibilmente leggera, affondare colpi per cinque ore stava iniziando a sfiancarmi. Non era tanto il fiato, a correre per le varie ale dell'ospedale ero abituata, ma più lo sforzo muscolare accompagnato a quello mentale. Non era come con l'idro, quando mandavo l'acqua del mio corpo alle mani e alle gambe, ma un flusso costante di energia era comunque direzionato in quelle estremità, seppure io cercassi di non farlo.

Era l'abitudine.

I calli si stavano già formando sui polpastrelli e sul palmo della mano e, ad ogni colpo di falce verso il manichino di legno, la pelle si apriva un po' di più.

Nora, nonostante le continue acrobazie che faceva per sottrarsi ai colpi di un macchinario sputa-dardi, non arrancava, anzi, si faceva sempre più attiva.

Nathan sembrava aver problemi solo a reggersi sulle gambe, ma continuava a lanciare coltelli verso i bersagli a fondo della sala. Paragonai il suoi muscoli tesi ai miei, quasi inesistenti, se non per i pochi delle gambe.

Mi leccai le labbra dopo aver fatto una semi-rotazione su me stessa, e sentii la sapiditá del sale e il metallo del sangue riempirmi la bocca.

Abbassai la falce, appoggiando le mani sulle cosce, per inclinarmi in avanti mantenendo una flebile sensazione di stabilità. Cercai di respirare lentamente, per rallentare il ritmo del cuore che mi stava rimbombando in testa e in gola.

Lo stomaco vuoto continuava a lamentarsi, ma ero sicura che la nausea non fosse solo colpa della fame.

Claudia era seduta in un angolino a pulire la sua frusta da quelle che sembravano schegge di legno, forse troppo meticolosamente. Quinlan continuava senza sosta con gli affondi della spada, mentre un alone rosso di rabbia gli solcava il viso ogni volta che le urlava di alzarsi.

I suoi muscoli erano tesi come corde di violino sulle spalle mentre, senza il minimo sforzo, riduceva a brandelli il manichino di paglia. Non una goccia di sudore gli colava dalla pelle lentigginosa.

«Ancora mezz'ora e potete andare a mangiare», annunciò Alastair tenendo le mani incrociate dietro la schiena possente. La sua divisa era dissimile dalla nostra; era costituita interamente di pelle nera e costellata da scaglie luminescenti.

Le mie stesse spalle si fecero molli a causa della pausa che avevo appena fatto, avvertii il peso dell'allenamento tutto d'un colpo, come un macigno sullo stomaco.

La luce che entrava dalla finestra si era fatta più luminosa, ormai non sentivo il minimo accenno di freddo, nemmeno con la divisa madida di sudore appiccicata alla pelle.

Quando fu il momento, non mi accorsi subito del fischio che uscì dalla bocca di Alastair a simboleggiare la fine dell'allenamento, mi arrivò distante come un'eco.

«Ari, andiamo?» mi chiese Nora scuotendosi i capelli umidi, mentre faceva stretching contro il muro per le gambe.

«Arrivo.» Ora che non stavo concentrando la mente su altro, avvertivo la ferita sulla schiena lottare per cicatrizzarsi

«Le ci vorranno ore per riprendersi», sbuffò Quinlan riponendo la spada nel fodero mentre Claudia si aggrappava a lui per mantenere l'equilibrio. La ragazza gli tirò un calcio nello stinco, per poi scappare nel corridoio.
Il rimbombo delle sue risate risuonarono per la stanza, e mi convinsero a gettare un'occhiata divertita a Quinlan, che le andò dietro.

Feci segno a Nora e Nathan di andare avanti senza di me, essendo intenta a sistemare le bende intorno ai miei polsi. Vi passai uno straccio per asciugarmi, poi strinsi nuovamente le fasce. Piccoli brividi sgusciavano tra le mie ossa, ma se non avessi guardato probabilmente non me ne sarei nemmeno resa conto, era una cosa a cui ero fin troppo abituata. Capire il dolore era curare il dolore; senza un briciolo di empatia verso il prossimo, non si arrivava a penetrare il loro sangue, le loro ossa. Comprendere il dolore degli altri, tuttavia, era più semplice che analizzare il mio. Era una sensazione diversa: attraversare le difese altrui era un conto, convincere me stessa ad analizzare le mie non era una cosa che mi ero concessa o che avrei voluto concedermi.

«Ariadne.» La voce di Alastair mi arrivò calda alle orecchie. La sua pelle mulatta lanciava bagliori ambrati mentre si muoveva nella mia direzione. Mi tirai velocemente in piedi, stendendo rigidamente le braccia lungo i fianchi.

«Si?» domandai aspettandomi un rimprovero per non essere ancora andata via. Un rimprovero che non arrivò.

«Non fartene una colpa se alcuni ti giudicano per il mondo dal quale arrivi.»

Abbassai la testa.

«Posso raccontarti una cosa?» domandò facendomi segno di sederci su due piccoli sgabelli allineati contro il muro.

Seduti eravamo quasi alti uguali, il che mi permetteva di non sforzare il collo per guardargli il viso, nonostante fosse inutile cercare di interpretare le sue espressioni.

«Sono nato exousies dell'Idro anche io», disse, e la rivelazione mi si impresse negli occhi. Scossi rapidamente le mani per cercare di buttare fuori la stanchezza accumulata, non riuscivo a tenerle stabili sulle gambe.

«Mio fratello, quando ha saputo che volevo diventare un guerriero, ne è rimasto disgustato. Lui, come il signor Quinlan e tanti altri, sono rimasti attaccati ai valori del passato, dove gli exousies più forti sono quelli che derivano da stirpi ininterrotte dello stesso elemento.»

«Lui però ha ragione. Quinlan, dico.» Feci una pausa perché sentivo la mia bocca secca. «Io non so combattere.»

Alastair si appoggiò al muro con la schiena, facendo scivolare lo sgabello in avanti.

«Nemmeno io sapevo farlo. Non siamo inferiori a chi nasce Elettro, dobbiamo solo recuperare gli anni mancati», affermò Alastair sicuro. Le sue nocche erano sfregiate da cicatrici biancastre, punti in cui la pelle tirava.

Blanc planò all'interno della stanza attraversando la finestra aperta, come se fosse stata chiamata, lasciandosi alle spalle tre piume bianche, che caddero a terra silenziosamente.

«Sta facendo la muta invernale», mi informò Alastair accarezzandole il dorso.

«Come lei, anche tu cambierai, ma non lasciarti dire da nessuno che non sei fatta per essere quello che sei.»

Blanc emise un tenero bubolio, sfregando il becco contro il torace di Alastair. Avrei voluto accogliere quei suggerimenti, ma mi era più semplice ascoltare le parole di Kalen e Quinlan, perché erano più vicine a quello che pensavo io di me stessa.

«Non ho scelto io di nascere Idro, ma era tutto quello che ero», dissi mesta, con le parole che facevano fatica ad uscire.

«Tu non sei né l'Idro, né l'Elettro, è bene che tu lo capisca.» Fece una pausa, in cui credetti mi avrebbe detto altro.
«Ora vai, altrimenti non troverai niente per mangiare», mi congedò con un rapido cenno della mano.

Abbassai lievemente il capo in avanti in cenno di saluto, poi mi tuffai nei corridoi seguendo il vociare degli altri.

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Momento sola con Alastair, che svela una parte del suo passato (ovviamente come mio solito ho lasciato la cosa in sospeso). Nel prossimo capitolo il trio scoprirà qualcosa di sospetto, e tornerà un certo varjos (personaggio che spero apprezzerete).

A settimana prossima!

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