10.2 • Nessuna dea
"It takes grace
To remain kind
In cruel situations"
Song: Spectrum - Florence + The Machine
————-𓆩♡𓆪————-
Entrai nella sala da pranzo appoggiando delicatamente i piedi sulle assi di legno, plasmando i miei movimenti dentro i miei soliti stivali, in modo che fossero silenziosi.
Una stringa pendeva in modo scomposto dalla scarpa di destra, mi sentii prudere dietro il collo.
La stanza era piena di ragazzi urlanti, e il fatto che fossimo una quindicina non aiutava a mascherare il rimbombo della stanza spoglia, ornata solo da un camino alla sinistra e un grande tavolo posto al centro.
Su di esso era stesa una tovaglia rossa con delle rifiniture bianche, che risaltavano ancora di più sotto la luce delle lampade ad elettro, che lanciavano bagliori violacei in tutte le direzioni.
Mi chinai a riallacciare le stringhe di cuoio.
Vivienne stava piluccando una fetta di torta – dal profumo, era di mele – mentre Alastair e Edan si scambiarono degli sguardi preoccupati.
«Ieri sei venuta da noi?», mi domandò non troppo sottovoce la donna, forse consapevole del fatto che degli adolescenti affamati non avrebbero badato ad una Idro decaduta che veniva rimproverata.
«No», risposi tentando di fingere confusione. Nathan mandò giù un sorso di latte, tossendo.
«Non era una domanda, Ariadne.»
«Lasciala stare Vivs, probabilmente stava cercando il bagno», si intromise Alastair allungando alla donna un'altra fetta di torta.
«Quelle non erano vibrazioni di una che cerca, ma di una che ha trovato», sentenziò Vivienne, stavolta infilzando il dolce con la forchetta, che teneva in un modo insolito, come se facesse fatica ad impugnarla.
Ignorai i suoi occhi felini puntati su di me, mentre Alastair le passò velocemente una mano sul polso, e mi sedetti su una delle sedie libere. Eravamo tutti schiacciati gli uni contro altri, avevo la gamba che premeva su quella di Nora. Mi tirai indietro, accavallando saldamente le gambe fra di loro. Dal lato opposto della stanza, due ampie porte–finestre presidiavano la parete, concedendoci una vista sulle colline di confine.
«Torta?», domandò la ragazza sbattendo una fetta nel mio piatto sbeccato. Una piccola frolla chiara, da cui delle altrettanto piccole fette di mela facevano capolino. Usciva ancora un po' di fumo, che mi riscaldò il viso.
Sicuramente a mio padre avrebbe appannato gli occhiali. Si sarebbe potuto curare facilmente, ma affermava che quegli occhiali spessi gli stessero troppo bene per rinunciarci.
Mimai un "grazie" con le labbra, poi Nora la propose anche a Nathan.
«Oh no grazie, sono allergico.»
Guardai in alto, notando il soffitto costellato da arcate di pietra calcarea. Era un abbinamento strano: il legno caldo delle pareti e il freddo delle volte.
«Una mia parente Idro si cura ogni volta che vuole bere il latte», disse Nora portandosi una tazza di tè alle labbra sottili, tenendo il mignolo della mano destra puntata al cielo. «Dice che non potrebbe vivere senza, e che le Madri siano state talmente gentili da concederle un metodo alternativo.»
Facendo riferimento alle Dee, Nora roteò al cielo gli occhi pece, che si confusero con le sue ciglia folte, mischiandosi a formare un pozzo senza fondo.
Divorai la fetta di torta prima che tutti gli altri finissero di mangiare, e soffiai lievemente sul tè per farlo raffreddare.
Quando quasi tutti cominciarono ad alzarsi, distribuendo le sedie lungo la parete, iniziai a sentire un vuoto allo stomaco nonostante la fame mi fosse passata.
Se Vivienne aveva capito che eravamo stati davanti alla porta della loro stanza, ora ero l'ultima persona di cui poteva fidarsi. Eppure non aveva insistito nel continuare il discorso, per quel momento.
I miei pensieri si mischiarono alla voce di Nora che offriva a Quinlan della spremuta di arance, chiamandolo "bignè alla crema", il che fece serrare la mascella al ragazzo e sbattere il bicchiere sul tavolo, che vibrò.
Per un secondo sperai che si strozzasse con il succo, poi pensai alla povera Emma che lo avrebbe dovuto salvare mentre si sentiva chiamare "stupida Idro", quindi optai, a mio malgrado, per pregare per la sua sopravvivenza.
Nora doveva avere un certo livello di coraggio e odio personale, per arrischiarsi a dare soprannomi teneri a quel fascio di nervi umano.
Uscii dalla stanza sfregandomi il dorso della mano sulla bocca, levando alcune briciole di torta dalle guance e, improvvisamente, mi sentii tirare per il braccio.
Una chioma di capelli rossi mi si riversò addosso quando voltai lo sguardo. «Sto cercando di tenervi tutti vivi», mi ammonì Vivienne, «e spero per il tuo bene che tu veramente non abbia sentito niente. Ma mi auguro di non trovare più te e il trio delle meraviglie in situazioni scomode.»
Non mi stava tenendo saldamente, quindi scossi leggermente il braccio e mi spostati per avere il suo sguardo quasi in linea con il mio; seppure la donna fosse più bassa, i tacchi che portava ai piedi le permettevano di arrivare quasi alla mia altezza. Ieri ha combattuto con quelli?
«Mi scuso», dissi sommessamente, consapevole che fosse la cosa migliore che potessi dire. Raddrizzai la schiena.
Vivienne se ne andò senza aggiungere altro, liberando la poca luce che entrava dalla finestra davanti a me. Le mie palpebre sfarfallarono un attimo per adattarsi alla nuova luminosità.
Da dietro il vetro della finestra, la pioggia aveva creato una condensa strana su di esso. Delle macchioline colorate decoravano la cornice di legno che la fasciava, proiettando giochi di luce lungo il muro adiacente.
Aprii la porta cigolante, e mi sedetti sugli scalini mentre sentivo alle mie spalle il clamore della preparazione. Stava diluviando, eppure l'acqua che mi bagnava le guance era calda. Alzai lo sguardo al cielo, chiudendo le palpebre. L'avevo sempre fatto. Solo gli Elettro si proteggevano dalla pioggia, per evitare scariche indesiderate, ma noi Idro eravamo soliti ballarci sotto.
Era un ringraziamento, era una preghiera.
«Tu le odi», sentii la voce rauca di Nathan fare capolino alle mie spalle. Non avevo sentito la porta aprirsi.
«Come, scusa?», domandai tendendo i pugni in grembo, dove le goccioline di pioggia stavano formando uno strano disegno sui pantaloni.
«Le grandi Madri», disse sedendosi di fianco a me, «le odi.»
Lo guardai in tralice con le ciglia cosparse di gocce di pioggia.
Una fitta allo stomaco prese possesso delle mie sensazioni; forse avevo mangiato troppo rapidamente la torta.
All'orizzonte stavano sparendo gli ultimi residui di luce, e gli uccelli iniziavano ormai a rintanarsi nei nidi sugli alberi ancora puntellati di foglie.
«Non le odio», dissi mentre una leggera brezza autunnale mi solleticava il naso, facendomi starnutire una, due volte.
«Il tuo corpo dice tutt'altro.»
Stava giocherellando con le pellicine delle dita, tormentandosi soprattutto il pollice, da cui stillava qualche minuscola goccia di sangue screziato. La fasciatura era ancora ben salda al suo posto.
«Semplicemente, non mi sembra di capirle più. Credevo di conoscerle, invece mi sento solo stupida.»
Il nitrire dei cavalli scandiva le mie parole come lancette di un pendolo a muro.
«Magari è per il tuo bene. Loro non sbagliano», tentò Nathan staccando definitivamente la pellicina, che cadde a terra confondendosi con i ciottoli grigi.
«Per il mio bene?», alzai la voce guardandolo in viso per la prima volta dall'inizio della conversazione. I capelli, una matassa di riccioli color sciroppo, gli ricadevano sul viso solcato dalla stanchezza, paladino di due ampie chiazze violacee sotto gli occhi. Continuai: «Credi che io sia felice di aver perso i miei poteri, la mia vocazione, e la mia famiglia? Io odioessere qui.»
Sentii le lacrime premere per uscire, il naso tapparsi. Tirai su un respiro forzato.
«Nessuno di noi è felice di stare qui, Dani», replicò lui tirandosi su le maniche della maglietta. Sapeva di vecchia pergamena e salvia, un profumo che si dissolse nel vento così come era arrivato alle mie narici.
Un leggero fumo sembrò evaporare dalle sue spalle; mi stropicciai gli occhi.
«Non mi sembra che tu ti stia lamentando.»
Era troppo tardi per mordermi le labbra, figurarsi ritirare indietro le parole.
Nathan aspettò qualche secondo a rispondere, come se stesse calcolando se ferirmi o ferire se stesso non dicendo niente.
Le parole che uscirono dalla sua bocca furono dure, ma la sua voce era priva di cattiveria.
«Perché sei troppo occupata a pensare a te stessa per notare cosa ti circonda.»
Il peso della frase mi fece inarcare la schiena in avanti, mentre le mie braccia cinsero le gambe accovacciate. Infilai le unghie nella carne, cercando di superare la barriera dei pantaloni.
Nathan si alzò pettinandosi la cascata di riccioli, di cui riuscii a sentire i movimenti nonostante la pioggia avesse cominciato a scrosciare più violenta.
Aprii la bocca per chiedere scusa, ma lui allungò una mano aperta nella mia direzione, senza guardarmi, e tornò dentro lasciando la porta aperta. Osservai le piccole pozze d'acqua che si stavano formando intorno ai miei piedi, e sperai che nell'ultimo tratto di strada che avevamo davanti non si presentassero altri sylkukkonen o creature simili. Pregai per un po' di calma, ma non pregai nessuna dea in particolare. «Andiamo», comandò Alastair e, da quel momento, entrammo definitivamente nel territorio di Xeka.
————-𓆩♡𓆪————-
Nel prossimo capitolo entreremo finalmente nell'Accademia!
Spero che come ambientazione possa piacervi.
Un bacio 🤍
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top