10.1 • Nessuna dea

"It takes grace
To remain kind
In cruel situations"

Song: Spectrum - Florence + The Machine

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Delle mani viscide, che in principio pensavo mi avrebbero riportato in superficie, stavano tentando di affogarmi. Le sentivo premere sulla mia pelle, quasi fondersi con essa. Ero consapevole del fatto che fosse il solito sogno, perché ogni volta era la medesima meccanica: falso aiuto, scalcia, annega.

Pure i colori, seppure cambiassero lievemente di intensità ad ogni incubo, rimanevano pressappoco immutati. Si presentavano sempre spenti, intorno al verde, al giallo e ad un marrone fin troppo scuro per essere definito tale.
Le similitudini erano forse l'unica cosa che mi tenesse sana di mente, dopo il circolo continuo.
Che dormissi con la luce accesa, spenta, soffusa, il risultato era sempre il medesimo.

Avvertivo ogni goccia d'acqua che mi penetrava i polmoni, facendomi prendere peso e affondare come un sasso gettato in un lago qualsiasi. Afferrare la realtà era tutto fuorché un'impresa semplice. Più mi accorgevo di essere aggrovigliata a qualcosa presente solo nella mia mente, più le mani che mi afferravano diventavano potenti e si plasmavano per non assecondare i miei pensieri.

A volte, non dormendo bene la notte, era capitato che Layla mi dovesse svegliare durante le pause di lavoro, quando mi appisolavo nella stanza dei tirocinanti.
Il tocco della mia migliore amica era una sensazione che riconoscevo anche nel mondo aldilà della veglia, un tocco che non mi spaventava.

Non per la prima volta sentii la voce di una donna chiamarmi: una voce flebile, come se fosse a chilometri di distanza da me, ma che tentava di insinuarmisi dentro.

«Hai delle mani particolari», disse, e la avvertii ispezionarmele, come un oggetto di arredo. La sua voce mi arrivava come riflessa e trasmessa dall'acqua melmosa che ci circondava.
«Non so cosa tu voglia dire», risposi nonostante fossi sicura si riferisse ai tremori. Anche Polly mi aveva detto una cosa simile, che avevo delle mani "buffe".

Non era certo il termine migliore con cui avrei voluto essere descritta, ma non c'era stata presa in giro nelle sue parole, solo il modo più semplice con cui avrebbe potuto definirle. Era sicuramente una ninfa adulta, ma aveva tutte le caratteristiche di una bambina nei modi. Avevo pensato che lo facesse intenzionalmente.
«Hai delle mani particolari, bambina», continuò imperterrita la voce, «lo sai benissimo.»

Un voce secondaria si plasmò intorno alla sua, un gemito più caldo e più umano: «Dani, svegliati. È un incubo.»
Mi sentii scuotere leggermente per le spalle.

«Sei scemo, così la traumatizzi. Smettila di muoverla come se fosse un impasto per torte», continuò una terza voce autoritaria.

I colori reali piano piano stavano rientrando nel mio campo visivo, offuscando la donna del sogno.
Una parte di me avrebbe voluto rimanerci invischiata, avrebbe voluto chiedere di più. Ma sentivo freddo e cominciavo a non avvertire più i miei stessi arti.

«Mia madre ha sempre fatto così per interrompere i brutti sogni», replicò la voce che questa volta riconobbi essere di Nathan.
Vidi subito dopo una tonalità di viola che poteva appartenere solo ad una persona iniziare a muoversi, come per prendere posto in prima linea.
«Mi stupisce che così facendo non ti abbia spaventato a morte.»

Adesso stavo effettivamente cominciando a plasmare con la vista il mondo che mi circondava. Anche se a tratti sfocati, identificati subito Nora e Nathan, il camino alle mie spalle e, inclinando un po' in avanti la testa, uno dei gemelli sovrastare lo spazio di fondo. Quinlan rigettò una frase colma di disprezzo: «Fate tacere la Idro o giuro che la affogo nel Mar Perso.»
Addirittura andrebbe a Ovest di Xeka pur di sotterrarmi. Che ostinazione.

Mi sentivo continuamente scossa da brividi freddi, nonostante avessi il calore del fuoco e dei due Elettro vicino a me.
Un moto di nausea mi percorse quando capii che mi stavano toccando.

Nathan si voltò di scatto verso il ragazzo biondo, rimproverandolo: «Ti ricordo che sono quelli come lei che ci salvano.»
Nora soffocò una frase sotto voce, ma il disprezzo trapelava noncurante da ogni sillaba: «E che ora stanno salvando la vita a tuo fratello, conservatore del cazzo.»

«Ragazzi, sto bene», tentai, tirandomi su a sedere premendo con i palmi delle mani sullo sfuggevole materasso raffazzonato, per porre fine alla discussione che mi si stava insinuando nella testa sotto forma di emicrania.
Mi scrollai le loro mani dalle spalle con un movimento rapido, senza farlo notare.

«Sante Dee, pensavo non ti saresti più svegliata», esalò Nathan colmo di sollievo, sedendosi accovacciato sui piedi. Solo uno dei due era scalzo, e pieno di bruciature, mentre l'altro era costretto in una calza di lana color sabbia.

«Se fosse morta sarebbe stata colpa tua e dei tuoi scossoni», lo rimproverò Nora allungandomi lo scialle di Polly, facendo cenno con la testa di indossarlo.

Ero sudata dalla testa ai piedi, sentivo la maglietta appiccicata addosso - mi sarei dovuta cambiare - ma il freddo mi era arrivato fin nelle ossa.
«Se non si prende il raffreddore è un miracolo», borbottò Quinlan squadrandomi da capo a piedi.

«Spero che te lo prenda tu il raffreddore, stando sempre a mollo in quel mare di ego che ti ritrovi», ribattei quella volta.
Mi morsi il labbro, ma se lui era così tronfio, non sapeva quanto potevo esserlo io. Non che fosse un mio pregio, ma almeno sapevo come quietarlo.

Nathan ebbe un fremito alla mano, ipotizzai che volesse aiutarmi a mettermi in piedi, ma feci da sola.

«Ragazzi, la colazione è pronta. A breve dobbiamo rimetterci in marcia, quindi sbrigatevi», sentimmo la voce di Vivienne rimbombare nel corridoio buio. Ci eravamo addormentati con l'alba e ci eravamo risvegliati con il tramonto che faceva timidamente capolino dalle finestre.

«Mi serve un foglio e una grafite», dichiarai iniziando a cercare per la stanza un qualsiasi pezzo di carta e un arnese qualunque con cui disegnare. Mi sentii gli occhi di tutti puntati addosso.
Quella donna... L'avevo già vista da qualche parte, ma non ero sicura e, ormai, ero convinta che la mia discesa verso la pazzia fosse inevitabile. «Io ho fame, cercatela da sola», sbuffò Quinlan dirigendosi verso la porta della stanza, sparendo nel buio.

«Il biondino dovrebbe iniziare a fare un po' di meditazione», constatò Nora appoggiandosi alla parete.

«Ce li ho io», continuò il discorso Nathan, tirando fuori dal suo zaino un taccuino e una matita mangiucchiata lungo i bordi ocra.
Fece una linguaccia in direzione di Quinlan come rivincita personale.

Guardandolo camminare verso le scale, notai per la prima volta i capelli raccolti in una mezza coda sopra la testa. Afferrai carta e matita come se fossero l'ultima goccia d'acqua dopo un mese di siccità, e mi buttai sul pavimento per disegnare i tratti che mi ricordavo, prima che mi sfuggissero dalla memoria.
«È bella», constatò Nora sbirciando la sopra la mia spalla. Sentivo una strana vibrazione ogni volta che si avvicinava, come una spinta che ci allontanava. Una sorta di pressione esterna.

«Sai chi è?», continuò facendo spazio anche a Nathan per vedere.

Anche altri ragazzi si fecero attorno per osservare, ma dopo qualche "oh" sommesso, corsero verso il profumo di torta che arrivava delicato dal piano inferiore.

«È una donna che sogno sempre, ma questa è la prima volta che riesco a vederla da vicino», risposi spazzando via dal foglio la polvere grigia della grafite, che rimase in cambio appiccicata alle mie dita.
Nathan guardò si sbieco entrambe, poi disse, quasi mangiandosi le parole: «So che l'Accademia ha una biblioteca parecchio vasta, magari riuscirai a capirci qualcosa.»

Nora non aspettò mezzo secondo a replicare.
«Sotto l'indice "una donna pazza mi tormenta nei sogni, cosa fare"?», domandò stropicciandosi il naso, «Sembra semplice.»

Mentre io osservavo i capelli lunghi che avevo appena disegnato, Nora iniziò a saltare a due a due le scale, non resistendo più al profumo di dolci che arrivava dal piano di sotto.
«Dai Dani, andiamo», mi invitò Nathan venendo inghiottito anche lui dal buio delle scale.

Pescai una vecchia camicia dal mio zaino, mi cambiai in fretta e nascosi il disegno in una delle tasche ancora umide, accartocciando il foglio.

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Perdonatemi, ho dovuto tagliare il capitolo in modo molto brusco, altrimenti veniva una cosa infinita. La seconda parte sarà settimana prossima.
Vi lascio questa volta con un capitolo un po' più tranquillo, soprattutto la seconda parte, ma presenta cose che più avanti si riveleranno importanti.
A mercoledì! 🤍

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