III: SHH, MR. GOHANNI LUMALDO STA DORMENDO...

Kōbe (神戸市 Kōbe-shi)

Ore 2:08 a.m.


Pioveva a dirotto.
La luce si sfracellava a suon di schizzi sull'asfalto...

Sentii il suono di un clacson librarsi nell'aria, distinguendosi dall'ululato del vento che oscillava tra le gocce cadenti dal cielo nero. Il rumore era una nota dissonante in un'orchestra di suoni naturali.

Soavemente, il suono di una volante mi giunse all'orecchio, sfibrandosi nell'aria pesante senza pretese...

Il mio orologio smise di emettere suono: eppure giravano le lancette quella notte...

https://youtu.be/wI5hxEguomo

Strano.

Il ticchettio non c'era, ma il movimento era evidente. Mi chiesi se il tempo stesso avesse deciso di sospendere il suo ritmo per me.

***

Il mio abito rimase asciutto, nonostante la pioggia.

Ero inspiegabilmente immacolato.

Ero distaccato da quell'ambiente e ogni cosa che vedevo, dimenticavo. La mia mente sembrava giocare con me, cancellando i dettagli e lasciandomi solo frammenti indistinti.

Forse avrò visto qualcuno, ma non lo ricordo.

Avrò chiesto indicazioni, avrò preso un aereo o più.

Ricordo solo corpi senza un volto preciso, sfigurati.

Mi ripeto e mi ripeterò ancora.

Sarà complice di questo strazio la mia memoria...

***

Controllavo preoccupato e maniacalmente la stoffa color pervinca che avvolgeva il mio corpo, aspettandomi che prima o poi si bagnasse sotto quella pioggia incessante ma... niente.

Poi tutta la pioggia smise di cadere...

Tenevo dunque il mio cappello fra le mani, dietro la schiena, ponendomi in aspettativa.

Aspettavo qualcosa, non so cosa: Godot? L'attesa stessa era diventata una compagnia, un'abitudine senza scopo.

Sono stato per anni abbastanza vecchio per aspettare invano, e in quel periodo tutti erano vecchi eccetto uno o due individui di mia conoscenza...

Ma io ero un vecchio niente male...

Ci voleva stile per indossare un vestito del genere, no?

«Voleva forse dire coraggio, non stile, caro Gohanni Lumaldo il Sognatore...»

Una voce mi interruppe, spezzando il filo dei miei pensieri.

Dal nulla si presentò una signora a modo...

«Ma come ha fatto? E lei chi sarebbe?», dissi togliendomi gli occhiali.

«Mi scusi, permetterebbe una breve intervista?»

«Adesso?»

«Sì, ora, ed è anche piuttosto urgente.»

«Urgente?»

«Io sono la Coscienza... E io e lei dobbiamo parlare...»

«Coscienza?»

«Sorrida.»

Il flash ravvicinato della sua vecchia macchina fotografica mi stordì leggermente, scalfendomi una smorfia di stupore mista a paura...

«Come potrebbe essere così consapevole di sognare se non si vede in faccia almeno una volta in questo benedetto posto?»

La stampa istantanea diede prova della mia esistenza e del mio stato attuale: «Le piace il suo volto?», mi disse con un sorriso beffardo, la Coscienza...

«Oh, ora so di essere, grazie... Ma come avrei fatto senza di lei!? Ovviamente c'è dell'umorismo in quel che dico se non s'è percepito...»

«E chi le dà la certezza che lei non stia fingendo di essere? Chi le dà la certezza che lei non sia un semplice ricordo?»

«Io stesso.»

«Bingo!»

«Bingo?»

«Certo, ha fatto centro: è la sua coscienza ad affermarle la sua esistenza ed io...»

«...sono la sua Coscienza!" Bla bla bla... Giusto?»

«Esattamente...»

«Genio! Ok, ora ho da fare...»

«Caro Sognatore, io non sono la valutazione morale del suo agire, una moralità o come dite voi 'il grillo parlante'... Io sono la sua consapevolezza, la facoltà immediata di avvertire sulla propria pelle, comprendere e valutare le circostanze che si verificano nella sua sfera esperienziale...»

«Signora o signorina, non so in effetti, ma... Lo sa che lei parla letteralmente arabo? Non la capisco affatto...»

«بالتأكيد! (bialtaakida!)»

«Per tutte le cavallette! Siamo in Giappone senza un perché e la Coscienza mi parla in arabo, che follia!»

«Fatto interessante è che lei mi ha capito, non è così?»

«بالتأكيد! (bialtaakida!) Ohibò!»

«Lei mi è simpatica, Sognatore, mia sorella sarebbe fiera di lei.»

«Sua sorella?»

«La Scienza.»

«Sua sorella mi conosce?»

«Certo, lei è il sistema di cognizioni acquisite con lo studio e la meditazione...»

«Meditazione... Tipo quella trascendentale? No, impossibile, io non ne faccio uso di queste pratiche mistiche... Non sia mai...»

«No. Non ho intenzione di farle indossare alcun abito da monaco tibetano e non ho nemmeno intenzione di farla volare per puro caso... Anche se un bel calcio lo meriterebbe, sa? Di certo un bel volo glielo farei fare: zero misticismo, tutta potenza sul suo deretano, promesso...»

«Ouch...»

«Io mi riferisco al suo continuo elaborare pensieri su pensieri, che come una fitta ragnatela danno luogo al suo sapere: ecco a cosa mi riferisco quando parlo di meditazione...»

«E lei, signora Coscienza, è sorella della mia Scienza? Non capisco...»

«Sì, esattamente. Accompagno sempre mia sorella a lavoro quando lei è sveglio.»

«Quando sono sveglio?»

«Se lei non è sveglio, io e mia sorella non possiamo più stare assieme... è fisiologico... I dormienti non sanno nulla, ma hanno ancora una Coscienza, a differenza dei morti che perdono Scienza e, ragion per cui, Coscienza...»

«Già, caput, in parole povere...»

«Ora devo andare...»

«Ma che intervista è stata se ha parlato da sola quasi per tutto il tempo?»

«Beh, io sono lei, ricorda?»

«Certo ma... hey... HEY! Se n'è andata?»

Ricominciò a piovere forte...

Ed io ero lì, ma questa volta consapevole di non esser lì...

Quando tutto lo scenario divenne un bersaglio per le gocce d'acqua eccetto me, mi resi conto di essere di nuovo lì, e decisi dunque di camminare...

Solo allora, cominciai a bagnarmi, perché in realtà potevo passeggiare.

(Ero cosciente nell'inconscio?) La confusione tra realtà e sogno si faceva sempre più intensa, sfumando i confini della mia percezione.

***

I lampioni accesi facevano sì che la luce s'infiltrasse nell'enorme quantità d'umidità nell'aria, creando boati di luminescenza...

Sentii abbaiare un cane.

Sentii poi ringhiare...

Un branco di cani randagi bianchi spuntò da un vicolo apparentemente cieco.

Erano fieri e mi passarono davanti con la loro pelliccia inzuppata dalla pioggia sporca che, a mio parere, se avessero avuto il dono della parola, l'avrebbero maledetta...

Attraversarono le strisce pedonali guardandomi in maniera cagnesca...

Alcuni bagliori di neon rossi sporcavano le pozzanghere grigie, senza rispetto.

Microscopiche sculture d'acqua pronte a svanire nascevano dalle ripetute gocce che s'infrangevano sull'asfalto senza esitazione.

Provai forse l'emozione di non capire quello che mi stesse accadendo.

Mi sentivo così... Non io. Un senso di alienazione mi pervadeva, come se fossi un attore in una scena che non comprendevo.

Cominciai a singhiozzare.

Poi iniziai a piangere ininterrottamente, cedendo freneticamente il posto a delle emozioni più disparate; una lacrima, pronta a divenire una goccia infranta, s'appartò in viso costeggiando una ruga...

Rimase in volto e non cadde, nemmeno dopo che il mio umore decise di cambiare...

Il profumo dell'asfalto bagnato ondulò sotto le mie narici e il freddo punse timidamente i miei polmoni come se stessi respirando filo spinato...

Vidi stracciarsi il cielo nero ripetute volte, presenziando al gioco dei tuoni che cercavano di addomesticare i lampi: ahimè, non riuscirono mai ad accalappiarli...

Tutto era perfetto, dinamico, fermo ed imperfetto.

Vedevo il freddo, ma avevo caldo; solo il respiro mi si gelava in petto, solo il caldo in fronte mi scongelava...

***

Freddo, caldo, caldo e freddo.

Rido, piango, piango e rido...

***

Cercavo un posto lontano da questo mio incosciente mutare.

Lei se n'era andata, la Coscienza, ed il mio vestito pian piano non si bagnava di nuovo più.

Dovevo cercare assolutamente un locale, un riparo...

Forse un bar, un chiosco o un ristorante: insomma, un posto in cui entrare e permettere al mio dinamismo di mostrarsi concreto.

Ero lì.

Ma non ero lì.

Sono lì.

Ma non sono mai stato lì...

Il passato ed il presente cominciarono dentro di me a litigare e a creare connubi.

Guizzai lo sguardo e, proprio davanti a me, c'era qualcosa che mi destò non poco interesse...

Ironia della sorte.

Domande insorte.

Esiste la sorte?

No.

Esiste la morte?

Dipende...

C'era lì, una porta semiaperta di un certo ristorante.

Era palesemente in chiusura, ma vi entrai comunque.

Prima di entrare, cercai di leggere e capire cosa ci fosse scritto su quell'insegna ma, essendo cosparsa da quei logogrammi lontani dal mio contesto culturale, mi abbandonai all'avventura: lasciai che i miei dubbi sulla natura del luogo fossero sfatati dal susseguirsi del mio esplorare...

«È permesso?»

La "mise" del posto era del tutto inappropriata per un locale giapponese... sembrava più di esser entrato in una fiorita casetta in legno incastrata nel fondo di una valle verde immersa fra dei mastodontici grattacieli innalzati da Dio, comunemente chiamate montagne... L'incongruenza mi colpì immediatamente: come poteva un luogo del genere esistere in mezzo a una città moderna?

«Avanti, prego... Si sieda.»

«Ah! Che mi prenda un colpo! Lei, signora, parla la mia lingua, bene...»

«...»

«Come non detto...»

Mi accomodai lentamente, osservando letteralmente sbalordito l'ambiente circostante e soprattutto la signora; una donna apparentemente anziana con una t-shirt avente su scritto uno strambo slogan: "Hey foxymophandlemama, that's me".

Riconobbi quella frase: una scelta curiosa per una signora di una certa età.

Continuai ad osservare discretamente, per non sembrare un "poco di buono", e notai che aveva un modello di gonna detta a "mongolfiera", ottocentesca, con tanto di ciabatte fatte di iuta... Ero sbalordito, sba-lor-di-to...

«È sbalordito?»

«Sbalordito? Come... Perché proprio questo termine, signora, e... beh, perché usa proprio questo termine?»

«Perché ce l'ha scritto in faccia...»

«In faccia? Beh, non riesco a trattenere bene ciò che provo, lo so... ma... lei è così grunge, il posto è così strano, io mi sento così strano...»

«Dico sul serio, straniero: primo, se lo slogan sulla maglia mi annovera tra le file dei grunge, stai sbagliando; i Pearl Jam non sono grunge, piuttosto i Nirvana lo sono; e secondo, dovresti essere più ipocrita...»

«Sul serio?»

«Lei è senza una maschera, suvvia! Siamo o non siamo nell'XXI secolo?... Un eroe senza maschera, con i baffi e i capelli bianchi, rischia di non avere seguaci: non sarà mai riconosciuto dalla folla come un simbolo, bensì come un uomo, magari pure vissuto, vecchio e rimbambito, niente di più...»

«Come ha... come sa che ero sbalordito?»

«Semplice: i riflessi dei suoi occhiali la tradiscono egregiamente. Gli occhi sono lo specchio dell'anima e i suoi occhiali trattengono le lettere che riesco a leggere tuttora, lettere sì, che sono a rovescio, ma pur sempre utili per capire cosa c'è nella sua testa...»

«Che mi spuntino lingue biforcute dalle orecchie! Cosa c'è scritto nel riflesso dei miei occhiali?»

«C'è scritto 'otibrolad2' per l'esattezza... Col '2' finale, a numero, non a parole.»

«Quindi 'otibrolad2' significherebbe 'Sbalordito'?»

«Più o meno: si metta davanti a uno specchio per capire appieno quel che le ho appena detto...»

«Mi dia un foglio, scriverò sopra il termine che mi ha detto...»

«Va bene una matita?»

«Oh, certo, sì, va bene anche una matita, grazie... Quindi, la parola è oti... oti?»

«È 'otibrolad2'.»

«Perfetto, grazie, otibrolad2, il numero 2 lo scrivo alla fine della parola, giusto?»

«Affermativo.»

Cercai uno specchio, ma in quella stanza non ce n'era uno.

«Mi serve uno specchio... Non posso utilizzare le mie lenti per specchiare la parola, non riuscirei a leggerla senza occhiali...»

Poi, avendomi lasciato solo per alcuni secondi nella sala da pranzo, si mise alla ricerca di qualcosa che potesse farmi specchiare fedelmente il foglio con la parola appena trascritta...

La donna, dopo un po', mi diede uno specchio piccolo preso chissà dove...

«Grazie...»

«...»

«Dunque: sbalorditivo! C'è scritto 'Sbalordito'!»

«Lo so, l'ho appena detto e questo non ha fatto altro che appurare ancora una volta che lei ha questo pensiero fisso, scritto in fronte, o meglio, negli occhi...»

«Ma in relazione a cosa?»

«In relazione a tutto ciò che sta vivendo adesso.»

«Ho capito... beh, madama... la finiamo qui per oggi?»

«Ha fame.»

«Ho fame, sì... Non faccia domande, mi dia un menù.»

«Con o senza accento?»

«Senza.»

«Ecco a lei.»

«Grazie.»

...

«Se ne è accorto?»

«Cosa?»

«Lei chiedeva un menù senza fare domande ed io le ho chiesto come desiderava il menù, con o senza accento... lei mi ha risposto senza obiezioni: allora le voleva o no le domande?»

«Beh, era una domanda pertinente alla mia richiesta, può passare...»

«Sii coerente, signore; non faccia sì che lo svolgere delle proprie volontà sia carico di accondiscendenze dichiarate da lei stesso non appropriate, solo per raggiungere i propri obiettivi...»

«Perché?»

«Sarebbe infantile, pure alla sua età...»

«Grazie per il consiglio e per il suo tatto da medaglia d'oro...»

«Controlleresti l'orologio per favore, che ore sono?»

Abbassai il capo e controllai l'orologio: 2:20 a.m.

«Desidera?»

Alzai il capo velocemente.

Un giovane calvo, con la barba in testa e le sopracciglia sotto gli occhi mi fissava tenendo ferma la punta della sua penna blu su di un block notes A5, pronto a prendere la mia comanda e a portarla in cucina in men che non si dica...

«Ah, un secondo... ma la signora dov'è?»

«Quale signora?»

«La sign... I Pearl Ja... Ma... Bah, lasciamo stare, non fa niente...»

Diedi una sbirciata al menu cercando di distogliere lo sguardo da quelle sopracciglia dislocate...

«Vedo che vantate di un'ottima carne di manzo qui... Allora, per me un filetto di wagyū...»

«Ottima scelta.»

«Grazie.»

"Mi dia il menù..."

«È un menu.»

«Ha ragione, me lo dia lo stesso; attenda, ci vorrà un po'...»

«Ho tutto il tempo che vuole, giovanotto...»

«Se lo dice lei...»

Controllai l'orologio: 2:25 a.m.

Mi addormentai.

Ebbi tipo un colpo di sonno, in verità...

Controllai l'orologio: erano le 0:35 a.m. del giorno seguente...

«È pronto, ecco a voi il manzo, perdonate la lentezza dello chef Mr. Night, è un lunatico stellato!»

«S-si figuri...»

Ancora oggi non capisco come sia passato tutto quel tempo in un dannatissimo secondo.

È come se il tempo fosse stato... tagliato. Il concetto di tempo sembrava ormai privo di senso; minuti e ore si confondevano in un vortice incomprensibile.

Controllai l'orologio: 0:43 a.m.

Lo ricontrollai: 1:58 a.m.

Esclamai: «!otibrolad2 ono2»

Mi trovai di colpo nel bel mezzo di una scalinata a chiocciola, in pietra.

Ogni 17 scalini, una porta.

Lo so perché provai a salire per una ventina di minuti...

Porte ogni 17 scalini.

Ognuna di esse era numerata: ero davanti al numero 2020; aprii la porta...

Mi si aprì un mondo.

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