THE DRAGONFLY

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Dedicata a ValeAck.
Che tu possa sempre volare alto, oltre ogni difficoltà.
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Libellula: (sostantivo).
Termine utilizzato per indicare un insetto appartenente all'ordine degli Odonati.
Le è stato attribuito un significato simbolico, associato al tema della trasformazione. Infatti, secondo un'antica leggenda, la libellula era originariamente un drago che, prigioniero della propria magia, rimase intrappolato nelle sembianze di un insetto.
Ella è simbolo della crescita morale dell'individuo, il quale raggiunge una piena consapevolezza di sé in età adulta, attraverso una serie di eventi che ha trascorso da infante. Simboleggia prettamente i cambiamenti quotidiani, ma anche il lavoro di introspezione del soggetto che ricerca la propria identità, al di là delle apparenze.

-Non lo trovi incredibile?-

-Mi sembra una delle tue mille iniziative da idiota.- poggiò la sigaretta alle labbra, aspirando una lunga boccata di fumo, per poi darsi un lieve colpo in fronte con il palmo.
-Oh, effettivamente non so per cosa mi stia meravigliando.-

-Divertente, davvero.- si rabbuiò l'altro, mentre accavallava le lunghe gambe stese sul divano ed accomodava il capo sul bracciolo chiaro.
-Hai mangiato pane e simpatia, oggi? E comunque la tatuerò proprio qui- dichiarò compiaciuto, mentre tirava l'orlo del jeans per mostrare la porzione di pelle della caviglia, tela del marchio a cui si sarebbe sottoposto. -e tu mi accompagnerai, proprio come la prima volta.-
Eren volse il capo verso il corvino, adagiato comodamente sulla sedia della cucina, un braccio ad avvolgere lo schienale di legno e l'altra mano che tratteneva il mozzicone di sigaretta.

Avrebbe dovuto spegnerla, se avesse voluto risparmiarsi il retrogusto amaro della plastica bruciata del filtro; ma l'amico lo stava osservando attentamente, la speranza di essere assecondato che gli colorava le immense iridi brillanti e le labbra piene tirate in un sorriso di incoraggiamento.
No, avrebbe dovuto necessariamente prendere un'altra boccata, se non avesse voluto offuscare quel briciolo di raziocinio che Eren spegneva fra le dita come la miccia di una candela.

Scrollò le spalle fingendo un'indifferenza che proprio non gli apparteneva, e distolse lo sguardo oltre la sua figura: l'attaccapanni non era poi così male da guardare.
-Dimmi qualcosa che non so.-

Il castano emise un acuto verso di trionfo, accompagnandolo con un battito di mani, entusiasta della risposta positiva - che, sapeva bene, avrebbe ricevuto senza indugio alcuno.
-Appena avrò un po' di soldi andremo da Jean.-

Levi annuì piano, dentro di sé qualcosa che si dibatteva per l'accondiscendenza opportunista che sbocconcellava giorno dopo giorno il nutrito affetto che provava nei confronti di Eren.
Si alzò e si diresse verso il lavabo, riempiendo un bicchiere d'acqua mentre scrutava il ragazzo con la coda dell'occhio, intento a digitare qualcosa sullo schermo del cellulare.

Dio solo sapeva quante volte aveva desiderato prenderlo su quello stesso sofà su cui era steso placidamente, ingoiando i respiri frenetici e i gemiti acuti che avrebbero seguito ogni stoccata poderosa e bisognosa.
Da quanti anni era innamorato di Eren? Aveva perso il conto.
E da quanti continuava a procrastinare il momento in cui si sarebbe dichiarato?
Altrettanti di sicuro.
Perché Levi era rimasto intrappolato nell'anima di Eren come una mosca in una fitta ragnatela, tessendola accuratamente attorno al suo corpo e privandolo della libertà per sempre.

No, non era ricambiato, e probabilmente mai lo sarebbe stato, visto il rapporto che si era instaurato fra i due: fiducia, niente che sconfinasse oltre i limiti di un'amicizia pura, e affetto, niente a che vedere con il tremore delle gambe che accompagnava ogni cristallina risata di Eren.
Prima o poi, però, le cose sarebbero cambiate, e Levi questo lo sapeva bene.
Il quando, era ancora da stabilire.

-Ora però devo chiamare Armin.-

-Ancora quel ritrovo da nerd per quell'anima? Aspetta, come si chiamava?- lo sbeffeggiò divertito, mentre si accostava al ripiano di marmo alle sue spalle, ben consapevole della reazione dell'altro al voluto errore commesso.

Il castano sollevò il busto dal cuscino, i meravigliosi occhi sgranati e la bocca spalancata. Fosse stato per Levi, avrebbe goduto di quell'espressione di genuina incredulità ogni giorno della sua vita, se non avesse saputo che prima o poi tutto sarebbe franato nel peggiore dei modi.

-Cosa sentono le mie orecchie! Si dice A-N-I-M-E! Santo Cielo, Levi, quante volte ancora dovrò ripetertelo? E comunque si chiama L'attacco dei giganti, ed è grandioso. Dovresti venire al raduno con noi, ti piacerebbe di sicuro.- asserì stizzito, stringendo le braccia al petto oltremodo indignato dall'artificiosa disattenzione dell'amico.

-Sicuramente, lo metto nella lista delle mie priorità.-

Eren lo liquidò con un gesto secco della mano, per poi accomodarsi nuovamente sul tessuto soffice.
-Fai pure il gradasso, e comunque ho la vaga sensazione che ci andrò da solo. Credo che stia con Annie e, se non risponde al telefono, un'idea di quello che staranno facendo riesco a farmela.- sbuffò tediato, per poi appoggiare un avambraccio sulla fronte e aggiornare convulsamente la pagina principale di Instagram.

-Ma non mi dire! Testa di melone ha fatto colpo? E chi l'avrebbe mai detto.-

Il compagno di università scattò come una molla a quella considerazione, spalancando le braccia e distorcendo i lineamenti del volto in un'espressione sbigottita, che scosse le spalle del corvino con un risolino silenzioso.
-Capisci? Io non voglio essere crudele, però persino Armin non è più vergine! Roba da matti.-

-Non vuoi essere cattivo, ma lo sei. E comunque non posso darti torto, dimostra all'incirca dodici anni...- affermò Levi riflessivo, per poi allungarsi verso il pacchetto delle sigarette sul tavolo ed estrarne una trattenendola fra le labbra.
Si chinò quanto bastava per accenderla usufruendo della fiamma del piano cucina, e si sedette sulla superficie marmorea mentre espirava una boccata di fumo. 
-Comunque dovresti smetterla di farne una questione di vita o di morte.-

-Non ne sto facendo una questione di vita o di morte, dannazione! E' solo che...-

Il giovane corrugò la fronte e distolse lo sguardo dalla figura rilassata dell'amico, in un lampante gesto di imbarazzo che gli punzecchiò il sistema nervoso.
La sola idea che Eren potesse baciare qualcuno lo disgustava al punto tale da non farlo mangiare per un intero giorno, e non erano mancati i momenti di inappetenza quando aveva assistito alle relazioni dell'amato - che, per fortuna o per sfortuna, erano sempre durate poco più che un mese.

Ma il pensiero che Eren potesse compiacersi delle carezze, dei baci e delle spinte di qualcuno che non fosse lui, catturandogli la mente e legandolo a sé in un modo che avrebbe senza ombra di dubbio valicato la loro amicizia, gli serrava la bocca dello stomaco in una presa ferrea ed incedibile.
Forse, però, in qualche meandro recondito del suo cuore, un po' ci sperava che Eren si innamorasse di qualcun altro: almeno in quel modo, si diceva, avrebbe fissato la bandiera bianca al suolo e ripercorso il lungo sentiero a ritroso, raccogliendo i pezzi di se stesso che aveva lasciato alle sue spalle.

Ci sperava, ma non era così sicuro che ci sarebbe riuscito.

Oscillò la sigaretta a mezz'aria in un eloquente gesto che avvalorava la sua tesi.
-Come volevasi dimostrare.-

-Mettiti nei miei panni, avanti! Ho vent'anni e sono ancora vergine, nessuno sembra mostrare il minimo interesse per me! Neanche in quella maledetta discoteca per finocchi come noi!-

Ecco, in quel momento voleva proprio esplodere in una maledetta e fragorosa risata.
Se solo Eren avesse saputo che erano decine i ragazzi che lo adocchiavano come lupi con un cerbiatto inerme, allora di sicuro non si sarebbe ritrovato ad affermare una cosa del genere. Peccato che al suo fianco vi fosse sempre Levi, il volto di pietra ed uno sguardo che avrebbe fatto impallidire anche il più feroce dei leoni.

-Avanti, dimmi che sono orrendamente ripugnante.-

-Sei orrendamente ripugnante, Eren.- ripetè trattenendo il tono ilare fra le labbra, mentre spegneva il mozzicone fumante nel posacenere, prima di essere colpito alla spalla da un cuscino volante.

-E sii serio!-

-Okay, okay, Ren.- gesticolò piano il corvino, facendo appello a tutte le sue forze per apparire estremamente serio, per un argomento che di serio aveva proprio niente.
-Ti dirò: non sei malissimo, c'è di peggio, insomma. Ciò non toglie che ti debba dare il tormento perché sei ancora vergine, che fretta hai?-

-AH!- l'indice puntato al cielo e le narici dilatate per il fomento dato dalla situazione.
-Parlò colui che ha fatto sesso a...? Quanti? Sedici? Diciassette?-

-Ah, ah.- negò l'altro grattandosi la nuca, sentore del disagio che lo aveva colto a quella domanda. Ecco, in fin dei conti che motivo aveva lui di fargli una paternale, dopo quello che aveva combinato anni prima per mera curiosità?
Ma no! Certo che doveva dire la sua, e tentare di deviare l'attenzione di Eren da quell'argomento era divenuto di prioritaria importanza.
-Ritenta, sarai più fortunato.- lo canzonò giulivo, mentre si massaggiava le spalle nel vano tentativo di rilassare i muscoli flessi.

Il silenzio aveva inondato la stanza, la fasulla disinvoltura che avvolgeva il corpo di Levi in un atteggiamento di comfort, mentre attendeva che le sinapsi dell'altro si attivassero per risalire all'unica opzione plausibile.

E poi, ecco che le pupille si rimpicciolivano per lo stupore e le dita artigliavano freneticamente la zazzera ribelle sul capo, come se quella consapevolezza lo avesse colpito con un violento schiaffo sulla guancia.

-Ma non mi dire!-

-Non lo sto dicendo, infatti.- rispose atono il maggiore, ingurgitando la seccatura che quella rivelazione aveva portato con sé.
Non voleva che si venisse a sapere così; insomma, non ne andava neanche particolarmente fiero, viste le scorribande che andava facendo quando era più giovane, solo per appagare il suo ego con l'adrenalina del fare cose da grandi.

-Quindici? E poi fai la morale a me sul non avere fretta?-

-Io non ho confermato, comunque.-

-Chi tace acconsente!-

-Ren, sei noioso.- sbuffò sonoramente, più che infastidito dalla scomoda e fastidiosa piega che aveva assunto la conversazione. Si diresse spossato verso l'attaccapanni per indossare la giacca di jeans e lasciare l'altro agli insensati vaneggi che gli stavano risucchiando l'attenzione da settimane.

-Comunque si è fatta ora di andare, ho dei servizi da fare prima di tornare a casa.-

Il compagno di studi annuì annoiato, roteando gli occhi e sollevandosi dal divano per accompagnare l'altro all'ingresso. Il corvino si strinse nelle spalle per sistemare lo zaino Eastpak nero ed abbassò il pomello d'ottone per aprire la porta; un tentativo che risultò vano, visto che Eren l'aveva richiusa con un gesto secco, troneggiando sul più basso con la mano premuta contro la superficie laccata.

-Oi, che hai?- sbottò irritato Levi, già ipotizzando quali sarebbero stati gli insulsi motivi per cui il castano stava volontariamente ritardando i suoi impegni. -Non dirmi che stai per svenire di nuovo perché non hai fatto colazione e-

-Tu con me.- pronunciò Eren in un singolo soffio e, quando Levi roteò meccanicamente su un piede per decifrare l'espressione sul suo volto, il solito cipiglio severo fece la sua comparsa per l'ambiguo atteggiamento che aveva assunto il minore, spalle rigide e capo chino.

-Parla chiaro Eren, non ho tempo da perdere.-

Ed ecco che l'audacia lo investiva a grandi ondate, mentre dalle iridi chiare trasudava tutta l'euforia che avrebbe accompagnato la malsana proposta del ragazzo.

-Fallo con me! Siamo migliori amici, d'altronde. Chi meglio di te per perdere la verginità?-

Era ufficiale: il cervello del giovane Ackerman si era ufficialmente licenziato, rifiutandosi di accettare un lavoro così arduo che non gli fruttava proprio un bel niente, un sottoposto del cuore tiranno che non lo rimunerava neanche adeguatamente. Levi continuava ad osservare Eren mentre muoveva freneticamente le labbra, vomitando frasi su frasi di cui non riusciva a cogliere il significato, l'ambiente ovattato ed i neuroni in uno sciopero senza compromessi.

Eren gli stava proponendo di fare sesso con lui, per privarlo una volta e per tutte di quell'intralcio con cui proprio non riusciva a convivere; e ciò di peggio vi potesse essere, era che aveva scelto lui per svolgere quell'impresa. Il cavaliere che avrebbe lacerato il drago con la sua lama affilata, peccato che la principessa poi si sarebbe concessa a tutti gli uomini dell'ostello.

Già poteva immaginare Eren intrappolato fra il suo bacino ed il materasso del letto, mentre lo supplicava di dargli di più, di aumentare le spinte per cavalcare l'onda dell'orgasmo nella più appagante estasi che avesse mai provato - sì, effettivamente poteva fantasticare benissimo su quella scena, visto che era ciò che gli scivolava nella testa ogni giorno in immagini a loop.

Ma cosa sarebbe successo dopo

Magari avrebbero fatto sesso ancora ed ancora, a casa sua e nell'appartamento di Eren, nel lurido bagno della discoteca che frequentavano, senza - ovviamente - escludere quello dell'università. E poi? Poi avrebbe scoperto che Eren si stava contemporaneamente frequentando con qualcun altro, per cui avrebbe terminato quell'anonimo passatempo cui protagonista era Levi, il cuore grondante di sangue fra le mani e l'anima a pezzi.

Amava Eren come apprezzava il tiepido tempo primaverile, la sigaretta dopo il caffè e la sensazione delle corde della chitarra sotto le dita; lo amava al pari delle abitudini a cui non avrebbe mai rinunciato, forse perché anche lui, a modo suo, era divenuto parte integrante di esse. 

L'unica eccezione era data dal fatto che lui non avesse mai sacrificato ogni brandello di sé per esse, perché erano piaceri che lo rincuoravano nei giorni di stress intenso, e non voleva in alcun modo che Eren divenisse una delle fonti di esso.

 -Insomma- continuò il castano, non badando minimamente allo straniamento del maggiore a quella offerta. 
Se solo non fosse stato così cieco.
-Siamo in confidenza, hai espe-

-Impossibile.- si voltò per aggrapparsi al pomello lucido, il palmo sudato per la tensione e le braccia tese in modo anomalo. Anche questa volta la via di fuga gli fu negata dal tempo di reazione dell'altro, mentre richiudeva nuovamente la porta.

-Perché no? Sarebbe perfetto! Ti conosco da una vita e so tutto di te e-

Lo amava, sì, ma vi doveva essere un limite all'essere patetici, e lo voleva rispettare.

-No, Eren!- esplose adirato fulminandolo oltre la spalla, il volto contrito e le pupille fagocitate dall'uragano che gli vorticava nelle viscere, trasparendo dalle iridi plumbee. 

-Non lo farei con te neanche se fossi l'ultimo ragazzo sulla faccia della Terra, maledizione. Soprattutto la prima volta.-

Quella fu una delle poche, pochissime volte in cui non provò la benché minima compassione nei confronti del castano, nonostante fosse lampante la delusione sui fini lineamenti cesellati. 

-Perché?-

Avrebbe potuto ricorrere a qualsiasi bugia esistente, a partire dal fatto che erano troppo amici, per concludere con "Non mi prendo mica la responsabilità di andarci piano, io", ma la verità era che non ne aveva la forza.

Quindi, in un sospiro sommesso da cui trapelava il più amaro sconforto, soffiò -Per lo stesso motivo per cui nessuno ti si avvicina.- e se ne andò.

Una goccia calda scivolò lungo il collo, proseguendo la sua avanzata crudele sui pettorali lisci e rallentando sulla peluria rada accentrata sull'ombelico, per poi arrestarsi definitivamente.

Che schifo, pensò il corvino mentre sventolava la maglia, ricercando disperatamente un briciolo di sollievo che, sapeva bene, non avrebbe ottenuto finché non fosse ritornato nel suo appartamento e si fosse gettato sotto il flusso dell'acqua ghiacciata della doccia.

Scaricò il peso su una gamba ed artigliò il fianco, spazientito dal tempo di attesa per lo sportello delle poste; la cliente davanti a lui - ricrescita bianca fra i capelli e le labbra sporche di un rossetto acceso - si accorse del movimento alle sue spalle e, quando notò il bel giovane che stava attendendo il suo turno, lo soppesò languidamente dal basso verso l'alto.

Quando si voltò, Levi simulò un conato di vomito, disgustato oltre ogni limite da quella sottile avance sessuale rivoltagli dalla signora che, a conti fatti, poteva essere sulla soglia dei sessant'anni.

Ecco un motivo in più per mandare tutto al diavolo e correre nel fresco bagno di casa sua; e, proprio quando formulò quel pensiero, la terza ragione per annullare quell'impegno si presentò subitamente davanti ai suoi occhi.

Confermò la chiamata dell'amico che, dopo aver accantonato bruscamente quella malsana idea che gli era balenata nel cervello giorni addietro, aveva finto che quella conversazione non fosse mai esistita - e Levi non poteva far altro che trarne beneficio.

-Oi, che vuoi?- 

Non era un caso che gli rispondesse in quel tono algido ed inviperito, visto quanto i raggi solari lo stessero asfissiando nefasti.

Bastò un unico singhiozzo a mutare l'espressione contrita sul suo volto in una di mera e sincera apprensione, il telefono stretto convulsamente fra le dita e la mascella serrata per la tensione.

-Vieni qui, ti prego.- 

Di certo Eren non poteva immaginare che non vi era alcuna necessità di domandarglielo, visto che i piedi avevano preso a muoversi da soli appena aveva risposto, richiamati dall'unica persona che si era prefisso di proteggere.

Correva freneticamente nella fiumana di persone, schivando agilmente gli individui che ostruivano il suo passaggio e tentando in ogni modo di regolamentare il respiro pesante, nonostante la gola bruciasse e l'aria satura di afa non agevolasse quell'impresa; ma non importava, Eren aveva la priorità su qualunque cosa, e fu con quel pensiero che gli incitava di non arrestare il passo che arrivò in breve tempo fuori l'appartamento dell'amico.

Una volta giunto sul pianerottolo, ebbe solo la forza di bussare al campanello - il muscolo cardiaco che tamburellava freneticamente e la testa che gli vorticava in modo catastrofico -, mentre tentava di sorreggersi con le mani aggrappate alle ginocchia e le ciocche lucide di sudore dondolanti come pendoli.

Dopo qualche istante un flebile cigolio catturò la sua attenzione e, quando sollevò il capo per incontrare lo sguardo dell'altro, qualcosa scattò nel suo petto e si sollevò subito, varcando la soglia con un passo e stringendo Eren fra le braccia.
Gli massaggiò piano le spalle, mentre la schiena vibrava e sussultava ad ogni singhiozzo malcelato, restando in silenzio per tutta la durata dello sfogo. Sapeva che non vi era alcuna necessità di insistere: tutto gli sarebbe stato rivelato, e Levi stava attendendo il momento giusto per permettergli di rasserenarsi e lasciargli prendere la parola.

Non aveva fretta; d'altronde non ne aveva mai avuta.

Bastò qualche minuto in sua presenza prima che Eren si calmasse del tutto - ed era per quell'esatto motivo che il corvino aveva lottato contro il tempo per soccorrerlo il prima possibile, perché sapeva che solo al suo fianco era in grado di riacquisire la calma -, e si dirigesse verso il divano per assestarsi.

Levi gli strinse piano la spalla, mentre Eren si avvolgeva il volto con i palmi grandi e si asciugava le ciglia bagnate di tristezza, un broncio marcato sulle labbra rosee e lucide e le palpebre ingrossate per lo sforzo.

-Non mi hanno preso. Dopo tutto quello che ho fatto: lo stage, il master in America, il tirocinio ad Amsterdam, mi hanno liquidato come se fossi l'ultimo degli idioti, dicendo che, con le mie doti creative, non potevo certo auspicare a diventare copywriter senior del team. Capisci?-

Le iridi sofferenti condotte sullo sguardo cupo dell'altro, mentre Levi covava dentro di sé rammarico per il compagno e astio per come era stato trattato, dopo tutto il lavoro e lo studio che aveva impiegato negli anni precedenti.

-Sono finito. La W&K era il mio cazzo di sogno dal liceo, ed era stato un miracolo solo ottenere un colloquio di lavoro. E poi? Un mese è bastato per scartarmi, quando poi ho ideato solo una campagna pubblicitaria con quell'idiota di Arlert, che ha la metà delle mie capacità ed è un maledetto raccomandato.-

-Eren.- lo richiamò Levi, catturandogli qualche luccicone involontario con i pollici.
Percepiva così chiaramente tutto lo sconforto che provava l'altro che quasi si sentiva boccheggiare, a causa di quella stretta indissolubile di quel legame che gli stava stringendo il collo e i polsi.
-L'hai detto proprio tu che hai lavorato e studiato moltissimo. Insomma, ti sei laureato con centodieci-

-Senza la lode.-

-Allora è sicuramente per questo che ti hanno licenziato. Devo essere onesto con te, non riesco a trovare un'altra ragione.- lo sbeffeggiò il maggiore, facendo scaturire un timido sorriso di sollievo sul viso sciupato dalle lacrime, ed un barlume di gratitudine che gli ravvivava le biglie dal verde brillante.

-Cavolo Ren, tu sei la persona più cazzuta che conosca e non te ne rendi conto, dai ragione al primo coglione che passa, mettendo in discussione persino le tue capacità. Sbaglio, o hai lavorato con importanti pubblicitari che ti hanno incoraggiato durante lo stage, dicendoti che avresti fatto grandi cose nel mondo dell'advertising? Che hai un modo di vedere le cose innovativo e rivoluzionario? Sbaglio o ti hanno detto così?-

Il castano abbassò il capo, imbarazzato e con un velo rosato a ricoprirgli le gote soffici.

-Mh, probabile.-

-Ecco, appunto, allora di cosa stiamo parlando?- 

-E' solo che ci sono rimasto male, credo sia lecito in fin dei conti... Pensavo che avrei avuto vita più lunga lì dentro, ecco.-

Dita fredde gli accarezzarono piano la nuca, stringendo le ciocche scure e massaggiando i nervi tesi in un movimento lento che, sapeva bene, rilassasse il minore.

-Sí, lo capisco. Ed è per questo che penso che sí, oggi starai così, magari anche domani, ma tra due giorni ti voglio rivedere in pista Jaeger, intesi?-

Eren ricondusse le pupille lucide su di lui, snudando i denti in un sorriso di conforto.

-Intesi.-

Un breve momento di silenzio, prima che riprendesse a parlare.

-E comunque... hai fatto una corsa? Hai la maglietta fradicia di sudore.-

Ecco, se qualcuno aveva la capacità di mutare il proprio stato d'animo nell'arco di scarsi due secondi, quello era il caso di Eren Jaeger, un ghigno a deformargli i lineamenti armonici e l'aria di sfida che aveva preso il sopravvento sulla delusione che l'aveva travolto pocanzi.

-Idiota.- gli pizzicò il fianco Levi, facendolo ricadere sul divano mentre le dita scivolavano sotto le magliette nel tentativo di infastidirsi reciprocamente, fra risate e le pieghe della fodera, ormai parzialmente ricaduta sul pavimento.

Una mano astuta saggiò il punto in cui sapeva che Levi avrebbe ceduto, data la sensibilità della pelle che avvolgeva le coste sul lato sinistro; ed infatti, proprio come da programma, appena i polpastrelli sfiorarono la zona il ragazzo liberò una genuina risata e si accartocciò su stesso come un pezzo di carta, ritrovandosi con le gambe incastrate fra quelle dell'amico ed i gomiti che gli circondavano il capo, un unico respiro che li distanziava.

Fu in quel momento che Levi si perse nei meandri di se stesso, non riuscendo a distinguere ciò che fosse giusto fare da ciò che doveva ad ogni costo evitare, incapace di stabilire se fosse maggiore il desiderio di baciare Eren o di preservare la loro amicizia.

E nell'istante in cui il suo cervello parve arrovellarsi su stesso nella vana ricerca di decidere come agire, qualcuno aveva già stabilito cosa doveva essere fatto.

Durò un battito di ciglia, quel bacio che aveva agognato per un tempo che gli era parso interminabile, labbra su labbra ed i soffi caldi del giovane sotto di lui che si infrangevano sulla sua bocca screpolata, i palmi caldi a cingergli il capo e gli smeraldi incatenati ai lembi di carne che aveva appena assaporato.

-E-Eren.- spirò stordito Levi, la fronte corrugata per lo sforzo di capire se ciò che stava vivendo fosse concreto, o si riduceva ad essere uno dei centinaia di sogni in cui aveva soltanto potuto anelare di compiere un semplice gesto del genere.

-Ancora.- 

Fu tutto ciò che sussurrò lo studente, prima di sollevare il capo per saggiare la soffice consistenza di quella bocca una volta in più, senza mai stabilire il termine di quel dolce supplizio. 

"Ancora", aveva mormorato Eren, prima di vezzeggiarlo con una carezza che presagiva il desiderio di andare oltre quel gesto così apparentemente usuale, eppure bramato ardentemente da Levi da tempo immemore.
"Ancora" si ripeteva il corvino nella mente, mentre l'incertezza lasciava il passo all'entusiasmo, aggrappandosi fermamente alle spalle del minore per catturarlo nella sua morsa come una pianta carnivora, desideroso di trattenerlo a sé per sempre.

Le lingue si andavano incontro con movimenti timidi ed impacciati, per poi acquisire lentamente confidenza e generare una faida spietata, sfuggendo ai denti acuminati ed accarezzando piano il palato, mentre i muscoli del corpo venivano pervasi da centinaia di scariche elettriche di pura eccitazione. 

Non gli bastava, non ora che era così vicino a quell'oasi benedetta da percepire chiaramente nell'aria l'odore della terra bagnata, dell'acqua di cui era stato assetato per anni e che pensava non avrebbe mai intravisto al di là delle dune di sabbia.

No, non era abbastanza per colmare la voragine che si era generata nel costato, lì dove risiedeva la speranza di avvicinarsi di più all'unica persona di cui fosse mai stato innamorato; ed ora che era lì, ansante sotto di lui, volenteroso di ricevere di più, con quale coraggio avrebbe potuto negarglielo, dopo tutto il tempo che aveva dovuto aspettare per sfiorargli le labbra?

-Ancora.- soffiò Levi, mentre una mano scivolava sotto la maglietta bianca per attirare Eren a sé e condurlo sulle sue gambe, senza mai interrompere il contatto delle bocche, i palmi che accarezzavano le cosce del castano fino a risalire alla base ricurva della schiena, il petto del ragazzo che si sollevava ed abbassava freneticamente e le labbra turgide ed arrossate per la foga.

Si distanziò solo per affondare il volto nell'incavo del collo, dove i capelli emanavano il dolce profumo di lavanda che gli inebriava la mente, inspirando profondamente; baci umidi dietro l'orecchio fecero gemere flebilmente il minore, e Levi si convinse di non aver mai udito un suono più incantevole di quello.

Ma non ebbe il tempo di accanirsi nuovamente su quella porzione di pelle sensibile che fu il suo turno di grugnire per il piacere, mentre Eren oscillava in avanti generando un'inappagante frizione fra le patte tese dei loro jeans; Levi gettò il capo all'indietro per scorgere il viso dell'amato, la bocca schiusa e le ciocche che fluttuavano ad ogni rotazione del bacino, nella disperata ricerca di un briciolo di sollievo nell'incontro dei sessi turgidi.

Le labbra si cercarono ancora una volta, mentre il maggiore artigliava i fianchi del compagno per sollevarlo e condurlo verso la camera da letto, pilotato da quell'amore egoista che non riusciva a ricondurre le mani al suo posto, vorace ed incontrollato, e contrario a lasciarsi incatenare dalla razionalità ancora una volta.

Lo fece stendere con cautela sul materasso, ed immediatamente i palmi grandi di Eren lo ricondussero su di sé, corpo su corpo e le anime intimamente intrecciate, mentre si privavano degli indumenti in una sensuale danza fatta di gesti fluidi e baci sulle spalle, di respiri caldi sulla schiena, di mani che si cercavano e lingue che si incontravano a bocca aperta. 

Levi preparò accuratamente l'amato con le dita umide della saliva di Eren, premurandosi di averle lubrificate a sufficienza per alleviare ogni sottile fitta di dolore che si diramava lungo la zona lombare, ed attendendo pazientemente che l'espressione di sofferenza che velava il volto del castano mutasse in una di soffuso piacere, mentre nell'aria si libravano i sospiri di entrambi.

Poi, pupille allacciate e i sorrisi a fior di labbra, il maggiore si accomodò fra le toniche cosce del giovane, forzando prudentemente la vergine apertura ed affondando lentamente fra le pareti strette ed incandescenti fino alla base. Eren sotto di lui si inarcò e spalancò la bocca a quell'intrusione che lo stava investendo con centinaia di sensazioni contrastanti: dolore, appagamento, fastidio, piacere.

Entrambi presero aria ad ampi respiri, le dita intrecciate per rassicurarsi reciprocamente ed un unico lieve bacio condotto da Eren per sollecitare l'altro ad iniziare a muoversi; e così fu, perché Levi si lasciava manipolare come una marionetta dal suo burattinaio, compiacendolo in ogni gesto che lo facesse sentire a suo agio, sicuro di se stesso.

Perché Levi ruotava intorno a quell'astro solare che gli regalava momenti inaspettati e lo incitava a mordere la vita, ad assaporarla in ogni suo assurdo retrogusto, dal più pungente al più soave che vi fosse; Eren era coraggio allo stato liquido, che gli scorreva nelle vene e rigenerava la sua linfa vitale come un'ape che si nutre del nettare del più dolce dei fiori, delicato eppure estremamente resistente.

Ed era per quel motivo che si era inevitabilmente innamorato di lui, ed ogni sfumatura di quel sentimento trapelava dai gesti accorti con cui stava facendo l'amore con lui, le spinte lente e ritmate, le mani strette e le labbra che si venivano incontro accompagnando il movimento delle anche.

-Eren... Eren.- mugugnava il corvino mentre stabiliva un ritmo più sostenuto, pur sempre premurandosi di non far provare neanche la più infinitesimale punta di dolore all'altro, i palmi ad avvolgergli il volto e le unghie che gli scalfivano la pelle delle spalle, incidendola per imprimervi il ricordo di quel pomeriggio surreale.

-Ah! Levi..!-

L'orgasmo sopraggiunse su ambedue i giovani, distruttivo e stupefacente come un'onda anomala, i muscoli flessi per l'estasi che li stava facendo boccheggiare, il corpo teso come una corda di violino e l'aria bloccata in gola, lì dove emerse un unico sospiro di mero sollievo che aveva accompagnato quell'atto.

Vi seguì il silenzio, che spazzò via la melodiosa orchestra di voci e aneliti che aveva fatto vibrare l'aria fino a quel momento, lasciando alle sue spalle niente che non fosse la stanchezza che colse entrambi, le palpebre calanti ed un fioco barlume di consapevolezza che, ancora assopita, stava per compiere cautamente i primi passi.

La città riposava quietamente al cantilenare flebile della notte, che aveva oscurato il sole per favorire la tranquillità degli abitanti.

Tranne la sua.

Sfregò freneticamente le palpebre con i palmi freddi, scuotendo forte la testa nel tentativo di dissolvere i pensieri irretiti nella mente: ovviamente niente sembrava alleviare quel morbo che gli stava consumando il volto pallido, smorto e vittima del pentimento che lo accompagnava ovunque come una pendice del proprio corpo.

Provava disgusto, per se stesso o per ciò che lo circondasse, non gli importava poi così tanto a dire il vero.

Afferrò le chiavi di casa, lasciandole scivolare nella scura giacca di jeans, per poi chiudere a chiave la serratura e calarsi silenziosamente nel manto notturno, illudendosi che in quel modo sarebbe riuscito a rifuggire se stesso.

Peccato che il nodo stretto in gola non fosse dello stesso avviso.

Aveva fatto l'amore con Eren solo due settimane prima, e se ne era pentito come se avesse commesso il più spregevole dei reati.

Eren aveva perso la verginità con lui, e Levi lo aveva amato in ogni singolo istante in cui qualcosa aveva tentato debolmente di dirgli che stava compiendo un maledetto errore; che, se prima aveva supplicato se stesso di non cadere più in basso della presunta amicizia che aveva instaurato con la persona di cui era innamorato incondizionatamente da quattro anni, allora in quel momento aveva decisamente toccato il fondo.

E risalire sarebbe stato più arduo del previsto.

Aveva gridato, imprecato e bestemmiato, tirandosi le ciocche come un folle e gettando all'aria le decine di libri che occupavano la libreria nel salone; e no, non aveva avuto neanche la decenza di ubriacarsi per bene, perché "L'alcol fissa i ricordi nel nostro ipotalamo", e allora fanculo anche l'alcol.

Si odiava per aver approfittato di Eren in un momento del genere, e ancor di più odiava il fatto che fosse stato un debole a cibarsi delle briciole che gli aveva offerto: niente che andasse oltre l'amicizia.
Sesso e solo sesso, Eren gli aveva chiesto esattamente quello, e lo aveva ottenuto come le altre centinaia di cose che Levi gli aveva offerto, dandogli tutto e restando con le labbra cucite.
E più di tutto, si odiava perché ancora non aveva avuto il coraggio di confessargli niente; se l'era portato a letto ed era scomparso dalla circolazione, e solo Dio poteva sapere cosa stesse frullando nella testa del minore.

C'era un limite all'essere patetici, e Levi aveva attraversato tutti gli stadi fino ad arrivare al culmine della mestizia che provava per se stesso.

Non sapeva ancora quando avrebbe avuto il coraggio di farsi trovare da Eren, neanche si trattasse di quegli astuti nascondini a cui giocava da bambino.
Era un codardo e ne era perfettamente consapevole, ma ora che il danno era fatto, per la prima volta da quattro anni aveva deciso di essere egoista, di fuggire ai ripari, anche se fosse parso il peggior vigliacco al mondo. Aveva perso anche quel briciolo di rispetto che possedeva per se stesso per nutrire quella cagna affamata, che non gli restituiva niente se non un cumulo di ossa.

Forse il punto di svolta era proprio quello: umiliarsi per poi ripartire da zero, ricominciare da sé.

Avrebbe trovato il coraggio di rincontrare Eren, di non vagare più per la città a tutte le ore del giorno e della notte pur di non farsi scovare nel suo appartamento.

Ci sarebbe riuscito, gli serviva solo un momento per gestire se stesso.

Tempo, necessitava solo di tempo, si ripeteva.

Quanto, non era da specificarsi.

Levi aveva sempre creduto che la realtà si riducesse ad una fitta rete di accidenti, niente che c'entrasse con stupidate quali il Destino, il Karma e cose del genere. Ogni situazione non era nient'altro che frutto di una concatenazione di eventi casuali, e la conoscenza di Eren non era venuta meno a quella considerazione.

Si erano conosciuti in uno di quei piovosi giorni autunnali in cui il vento sibilava fra le fronde, i capelli di Levi pregni di acqua mentre lasciava che gli scivolasse addosso il malumore, dato dagli echi di un passato che sgomitava per opacizzargli la vista, offuscargli la mente.

I pantaloni grondavano pioggia e le braccia erano strette al petto in atteggiamento difensivo, come quei cani randagi che mostrano i denti ma non hanno la forza di reagire, ringhiare, azzannare.
E Levi si sentiva proprio così in quel periodo, insensibile ai tocchi di pioggia, il viso macilento per via della stanchezza e le occhiaie che gli contornavano le iridi lunari.

E poi, tutto a un tratto, l'acqua aveva smesso di infrangersi sul suo corpo, isolandolo e concedendogli una tregua dal suo ostinato imperversare, mentre sui gradini sotto di lui fini rivoli di acqua scorrevano indisturbati.

Aveva sollevato lo sguardo quanto bastava per intravedere degli spicchi colorati rigati dalle gocce, così stridenti sullo sfondo cupo e grigio; ma ciò che di più stonava in quel trionfo di nuvole dense, erano di sicuro quelle iridi che racchiudevano l'essenza della vita stessa, pulsante, concreta.
Non si dissero niente per tutta la durata del diluvio, finché un primo raggio solare non fece la sua prima timida apparizione, sicché Levi si issò in piedi per dirigersi verso casa con il silenzio fra le labbra.

Quello che da sempre era stato il suo angolo per poter fronteggiare se stesso era stato scovato da quell'individuo sensibile ed oltremodo curioso, un ficcanaso di tutto rispetto ad esser onesti, che aveva deciso di scoprire quale fosse l'origine di quel fumo che tutti ignoravano, desideroso di avvicinarsi a quel fuoco ustionante che allarmava chiunque.

E invece Eren era rimasto, e Levi non aveva mai capito se l'avesse fatto perché spinto dall'empatia, o per mera pietà; ma, in fin dei conti, non gli interessava veramente, se quell'accidente gli aveva permesso di incontrarlo. 

Ed era esattamente quello a cui stava pensando Levi mentre saliva lentamente gli scalini, l'ombrello in una mano e le chiavi di casa nell'altra, mentre le prime luci del sole albeggiavano in lontananza oltre la finestra malridotta del palazzo.

Si diresse verso l'ultima rampa di scale, le dita che sapientemente stringevano la chiave della serratura e lo sguardo puntato sulle scarpe fradicie e, quando lo sollevò per scorgere la porta del suo appartamento, si gelò sul posto: Eren era lì, il busto pigramente appoggiato alla piastrella lucida del muro e le palpebre turgide ed arrossate.

La parte più meschina di se stesso si disse che non voleva saperne la causa.

Il corvino lo scrutò in silenzio per qualche secondo, prima che l'altro - gli occhi calanti per lo sfinimento ed un'espressione sofferente sul viso -, non si accorgesse della sua presenza; e lo scorse, il lampo di sollievo che saettò lungo i chiari archetti verdi degli occhi di giada, eppure si dissolse nello stesso tempo in cui era comparso, lasciando spazio a rabbia, rancore, frustrazione.

Levi percepì chiaramente tutte le sensazioni negative che stavano avvolgendo il castano come un mulinello, mentre si sollevava e lo indicava con fare accusatorio.

-Si può sapere dove cazzo eri finito?! -

Il maggiore ingoiò a vuoto a quella domanda, attonito per la sua inaspettata apparizione, e fece appello a tutte le sue forze per sembrare il più calmo e tranquillo possibile - come se l'altro non avesse imparato a riconoscere ogni sua singola emozione con un unico sguardo.

-Ho avuto da fare.- lo liquidò a voce bassa, le dita che gli scivolavano dalla chiave mentre tentava di aprire la serratura, umide di sudore per la tensione.

-Da fare?! E da quando in qua il tuo da fare non comprende anche me? E poi che cazzo fai alle due di notte? Gestisci traffici illegali? Ti fai di MSD a mia insaputa? Fai il barista in un locale gay?-

Eren rigettava parole come un torrente in piena, e Levi se ne sentiva stordito, confuso, frastornato come colpito da ogni fronte.
Non avrebbe dovuto comparire così, dal nulla; non si sentiva ancora pronto per affrontarlo, per dirgli che no, non voleva essere il suo maledetto scopamico, perché la sola idea di continuare quella farsa lo disgustava ai massimi livelli.

Sapeva che non era ricambiato, ma non era pronto a distaccarsi da Eren una volta e per tutte. Sapeva che avrebbe dovuto farlo, e sapeva, inoltre, che quella sarebbe stata la scelta che avrebbe preso Eren, conscio che la sua presenza avrebbe avvelenato giorno dopo giorno l'amico senza mai offrirgli la possibilità di risanarsi.

Levi ripose l'ombrello nel cilindro di ceramica, per poi appendere il giubbotto fradicio sull'attaccapanni e dirigersi verso la cucina, nolente di udire ciò che l'altro gli stesse strillando contro e riflettendo sulle giuste parole da utilizzare per porre fine alla questione. 

Certo, quelli erano gli intenti, prima che una frase riuscisse a penetrare la cupola insonorizzata di cui si era circondato.

-Stai uscendo con qualcuno, non è così?-

Ed eccolo, il punto di rottura. Finalmente l'aveva trovato, ed ora non gli serviva altro che andare in frantumi.

-E anche se fosse?-
Un velenoso sorriso prese forma sul viso cereo, lo sguardo affilato ed un ghigno che fece rabbrividire il castano, estraneo a quell'espressione ambigua; ma lo sbigottimento durò ben poco, visto che lo spirito di Eren si rianimò di ira, mentre afferrava Levi per il colletto della felpa scura e lo schiacciava contro la credenza, che tremò al brusco impatto.

-Fammi capire, maledetto farabutto. Tu prima mi scopi, e poi scompari dopo neanche ventiquattr'ore per infilare il tuo cazzo nel culo di altra gente? Che cazzo sono per te, si può sapere?-

Che ironia della sorte, essere accusati dalla persona che si ama dello stesso motivo di cui Levi aveva il terrore: Eren lo stava accusando di averlo lasciato da solo dopo un gesto così intimo da avergli tolto il fiato, da averlo inconsapevolmente legato a sé per sempre.

Perché, in fin dei conti, quello era il motivo di tanto riserbo: era nata aspettativa, la stessa che il corvino aveva incubato per una vita intera, vagando fra le utopie di una relazione che non sarebbe mai nata.

Peccato che la sua intenzione distanziasse chilometri dai presupposti di Eren, lontano anni luce da ciò che il ragazzo si aspettava da lui.

Levi rimase impassibile alla domanda, facendo vagare lo sguardo distrutto sugli occhi furenti dell'altro, sconfitto.

-Come fai a non rendertene conto?- spirò in un sussurro affranto, incrinandosi ad ogni occhiata rabbiosa del giovane.

-Di cosa cazzo dovrei rendermi conto, mh?-

Levi sollevò piano le mani, stringendo ambedue i polsi in una morsa debole che sapeva di arrendevolezza, di inesorabile resa.

-Di quanto io ti ami, come fai a non vederlo?-

Lo sbigottimento lasciò Eren senza fiato e parole da dire, mentre ritraeva i palmi dalla felpa e faceva ricadere le braccia lungo i fianchi.

-P-perché non me l'hai detto prima?-

L'altro emise una risata amara, distogliendo lo sguardo per condurlo alla sua destra, incapace di sostenerlo dopo quella rivelazione che avrebbe crepato la colonna portante della sua vita.

-Ti sei mai trovato nella situazione in cui sei innamorato del tuo migliore amico che guarda chiunque, tranne te? Penso proprio di no, se mi domandi una cosa del genere.-

Eren aprì la bocca per controbattere, ma la richiuse il secondo successivo, realizzando di non aver nulla da dire con cui rassicurare l'altro.

-E' per questo che non... insomma, hai rifiutato inizialmente?-

-Non sei mai stato un fulmine di guerra, eh Ren?- lo schernì con un tirato sorriso sul volto, per poi massaggiare lentamente le palpebre degli occhi con i polpastrelli.

-Forse è meglio che tu te ne vada. Non c'è più nulla da dire.- asserì esausto, per poi liberarsi dalle grinfie del ragazzo e dirigersi verso l'attaccapanni, ancora una volta desideroso di fuggire il più lontano possibile dal fautore di quel terremoto che gli stava sconquassando le viscere.

Scappare: l'unica soluzione che gli sembrava possibile in quel momento; eppure nessuno lo stava inseguendo, il tempo era terminato, scaduto.

-Esci quando ti pare.- disse algido, camminando spossato verso la porta di casa.

Allungò la mano verso la maniglia ma, proprio in quell'istante, due braccia lo strinsero con forza, una scialuppa in mezzo ad un oceano di perdizione.

-Ti prego non andare, non scomparire di nuovo.- gracchiò Eren con la voce incrinata, il volto affondato nel collo dell'amico e le dita artigliate al maglione di lana scuro.

-Non essere egoista, Ren.- rispose il corvino con artificiosa diffidenza, una prova di resistenza che stava attuando con se stesso.
-Ho bisogno di stare da solo per un po'. Quando le cose si saranno calmate, allora mi farò sentire e ci vedremo ogni tanto. Non è mica la fine.-

Elaborò quel pensiero ad alta voce, ma non era del tutto sicuro che lo stesse rivolgendo all'altro e non a se stesso.

Tutto aveva un che di surreale in quella situazione, e ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che stesse accadendo; che la fine, quella di cui aveva parlato ad Eren poco prima, in realtà l'avevano raggiunta eccome, superando il traguardo di un'amicizia che faceva acqua da tutti i punti.

-Io ho bisogno di te, invece. Ti voglio, dannazione, voglio stare con te.-

Eren lo liberò dalla morsa solo per voltarlo ed avvolgergli il viso con le mani, le iridi tormentate che esprimevano tutta l'angoscia che stava inghiottendo entrambi.

-Non devi dirmi queste cose solo perché hai pietà di me. Non-

Le parole furono spezzate dalla delicatezza di un bacio a fior di labbra, a cui Levi si ritrasse senza indugio alcuno, l'orgoglio che si impadroniva del cuore per destarlo da quella inerzia in cui ricadeva quando Eren gli si avvicinava.

Il giovane si morse con foga il labbro inferiore, le gemme inondate dalle lacrime intrappolate nelle palpebre e il dolore che esplodeva sul suo volto.

-Eren.-

-Io non ce la faccio, Lee. Cazzo non riesco a fare niente senza di te, senza pensare a te e a quello che è successo. Ho trascorso due settimane di merda in cui ti ho cercato ovunque e a tutte le ore del giorno e della notte; ho iniziato a pensare al peggio, cavolo tu non fai mai questo genere di cose. Sono venuto qui fuori ogni giorno, e ho capito che tornavi a casa e che mi evitavi volontariamente.-

E lì la frustrazione proruppe impietosa, lacerandogli la voce flautata mentre il torace sussultava ad ogni suo colpo.

-E il solo pensiero che non mi volessi vedere, che avessi fatto qualcosa che ti aveva fatto incazzare mi ha distrutto. Non voglio nessuno, Lee. Voglio stare con te, perché impazzirei se tu dovessi scomparire. Non avrei mai potuto perdere la verginità con qualcuno che non fossi tu, perché quello che ho con te non potrei mai volerlo con nessun altro, e mi dispiace averlo capito solo ora.-
Scosse la testa con forza, mentre accorreva freneticamente ad asciugare le lacrime che gli sciupavano il bel viso.
-Ed io non voglio perderti.-

Fu in quel momento che Levi decise di agire, consolandolo con baci che sapevano di dolore e sollievo, di angoscia e amore, nient'altro che quello.

Ingoiò la sofferenza dell'altro per neutralizzarla nel suo corpo, tramutando i sospiri di tristezza in gemiti di appagamento, circondandogli i fianchi con le braccia per sentire i petti in contatto, i cuori comunicanti e la pelle sotto le dita.

Lo strinse come se quel corpo potesse evaporare nell'etere e lasciargli l'ombra della felicità fra le mani, le dita che accorrevano a privarsi dei vestiti e sulla lingua il sapore della paura di perdersi, della speranza di tenersi.

Vi era il terrore di smarrirsi e la volontà di arrestare le lancette del tempo per ritrovarsi, la brama di scovare l'audacia per dispiegare le ali e librarsi nei soffi tiepidi del vento insieme.

Ed ora che entrambi avevano provato la durezza del distacco, che avevano raggiunto la piena consapevolezza dei loro limiti e possibilità, non toccava altro che fare una cosa per affrontare le bellezze e i compromessi della vita:
volare.

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