Giorno 5 - Pomeriggio (Fine Primo Atto)

Questa volta, non tornai a casa. Proposi a Enrico di passeggiare un po' nei paraggi del quartiere, e lui accettò. Mark si unì subito a noi, e avrei avuto la possibilità di passare del tempo anche con lui. Almeno non saremmo andati in luoghi pericolosi. Mark mi indicò una piccola spiaggia vicina al quartiere.

"Questa spiaggia è sempre vuota, grazie al cielo. La maggior parte dei cittadini va nelle altre che stanno nell'area di Fork Lake. Qui stanno molti scogli, e ai cittadini non piacciono da quanto so."

Accettammo la proposta della volpe. Dopo un paio di minuti raggiungemmo la destinazione, e ci sedemmo su delle rocce poco distanti dalla spiaggia. Era vuota, a dire la verità: tutta sabbia, il mare calmo, e poi il prato che la separava dalla città e dal quartiere. Ma era decente, ed era sicura.

"Mark," chiamò Enrico, "comm maje prima nun aie ritt ra aro' venivì?"

"Perché vengo da un posto di merda" rispose.

"Capisci il napoletano?" chiesi a Mark.

"Un po’," rispose, "e so anche parlare l'italiano. È una bella lingua, e l'avevo imparata perché volevo leggermi delle poesie di Petrarca in originale."

"È abbastanza impegnativo" gli risposi ridendo.

"Lo so" rispose. "Ma adoro la poesia, e sono felice che anche Jim la adori."

"Capisco" risposi. Ormai continuavamo a parlare in italiano, visto che nessuno di noi aveva problemi a farlo.

"Ho un'idea. Facciamo un gioco."

"Che gioco?" chiese Enrico.

"Vorrei farvi una domanda, una così, a caso. Solo una domanda, e da voi vorrei una risposta sincera."

"Certo!"

Mark non mi pareva il tipo da fare domande sconce in occasioni tranquille come questa, ma ero comunque curioso da sapere cosa avrebbe potuto mai chiedere.

"Allora... cos'è per voi... la libertà?"

Rimasi interdetto. Ammetto di non averci pensato, e nemmeno quell'occasione era da meno, malgrado fossi rimasto letteralmente intrappolato in questo posto. Non seppi rispondere, e rimasi a guardare Mark, mentre la sua coda si muoveva lentamente, e lui ci guardava con curiosità e attesa. Da quanto vedevo, Enrico era nella mia stessa situazione. Arrivò a guardarmi confuso.

"Mark" dissi, "penso la risposta sia semplice."

"Mi sorprende il vostro silenzio, allora" disse lui ridendo.

"Certamente noi non siamo liberi di scappare da questo posto" disse Enrico.

"Mark, noi non siamo filosofi" dissi. Eravamo pieni d’imbarazzo.

"Non ho detto che lo siamo, tantomeno vorrei che lo fossimo" mi rispose Mark.

"Ecco, la libertà non è altro... che uno stato dove noi possiamo muoverci senza restrizioni o limitazioni..."

"...purché la libertà non venga tolta ad altri" completò il pastore tedesco. "Me lo diceva sempre mia madre."

"Esattamente" disse Mark. "Ora, però, noi non siamo liberi."

"Non possiamo fuggire da qui" dissi.

"E della brutta gente ce picchia se sa che nun siamo di qui" aggiunse Enrico.

"E io sono finito qui che volevo solo farmi una vacanza" dissi. Ethan, non pensare a lui, non pensare a lui, non pensare... a lui...

"Hana e Caroline volevano lo stesso" disse la volpe. "Erano in gita assieme a un gruppo di amiche, e poi... un incidente le ha bloccate a Fork Lake. Grazie al cielo, Jim ed Elise le hanno trovate"

"Oh," il 'gioco' di Mark era servito a qualcosa.

"Io invece..." continuò la volpe. "sono scappato dalla cittadina dove vivevo."

Quando parlò di sé, Mark abbassò la testa, e la sua coda si bloccò, accasciata per terra.

"Direi che può bastare" dissi. Avevo voglia di una dormita.

“Aspettate” disse Mark. “C’era una persona che mi aveva fatto la stessa domanda, quattro mesi fa."

Sul cosa fosse la libertà?” Chiesi.

La volpe annuì.

Chi era?

Era una coniglietta. Come Matthew, ma era più grande di tutti noi.

Enrico sbuffò. “Ah, lei...” e fece per andare via.

No, aspettate!

Ora lei dov’è?” Chiesi ancora. Ormai aveva tirato la palla al balzo. Non potevo ignorarla. Ora ero curioso.

Lei è morta” disse Enrico. “Annava sempre a cacciarsi nei guai.

“Oh. Mi spiace.”

“Condividevamo la casa” disse Mark, in inglese. Tanto a Enrico non gli importava molto. Mentre lui andava via, io ero di nuovo seduto ad ascoltare Mark. “Perché ti interessa sapere qualcosa di lei?”

La domanda mi colse di sorpresa. Era lui che ci aveva bloccati per dirci di lei. Forse aveva realizzato che non fosse una buona idea. O non aveva più voglia di parlarne.

“In questo posto hanno ucciso degli innocenti, no?” Dissi.

“Anche noi abbiamo ucciso delle persone.”

“Dimmi qualcosa di più su quella coniglietta.”

“Si chiamava Sarah. Era... una prostituta. Ti prego, non ridere.”

Non stavo ridendo. E non volevo farlo. “Era tua amica?”

“Lei e Jim mi avevano salvato la vita. O quei teppisti mi avrebbero ucciso.”

“Quali teppisti?”

“Dei teppisti della cittadina. Non lo so di preciso. So solo che ero un senza tetto, e loro volevano uccidermi perché ero straniero. E un bersaglio facile.”

“Era una prostituta, ma aveva un cuore nobile.”

“Ecco, lo hai appena reso una cosa banale!”

“Mark, io volevo solo — dimmi altro.”

“Lei mi aveva insegnato a fare sesso. E ci avevo quasi provato con... con Enrico! Non dirgli che te l’ho detto.”

Curioso. Dopo esser stato quasi baciato da lui, sentire una cosa del genere faceva un certo effetto. Ma rimasi in silenzio. C’erano cose ben più scandalose a Fork Lake degli ormoni in carreggiata. Almeno io e Enrico non eravamo gli unici non etero qui.

“Com’è morta Sarah?”

“Ti ho detto già troppo.”

Mark stava per piangere. Si alzò di scatto, e andò verso casa. Avevano avuto sicuramente un legame intenso quella coniglietta e Mark. Potevo essere curioso quanto volevo, ma non potevo intromettermi.

Andai subito a casa a dormire. Troppo stanco per fare altro. Quando riuscii ad addormentarmi, però, Enrico venne anche lui per dormire e mi svegliò senza volerlo. Ci vollero altri venti minuti per riprendere sonno.

Dopo nemmeno un’ora, fui nuovamente svegliato. Sentii dei rumori. E poi delle grida. Subito Enrico si alzò allarmato dal letto, e andò a vedere cosa fosse.

"Sono gli spettri!" disse.

Mi alzai subito anch'io. Una volta che raggiunsi la porta, vidi uno spettro scatenare il panico all'aperto. C'erano solo Hana, Matthew ed Elise fuori. Le due ragazze cercavano invano di affrontare lo spettro, mentre Matthew indietreggiava spaventato.

Uscii subito per intervenire, e quando lo spettro mi vide, si fermò subito.

"Sei tu!" disse con la sua voce da oltretomba.

"Che vuoi da noi?" chiesi.

Non rispose, e invece mi attaccò direttamente. Mi sbatté dentro casa a forza, e poi si fermò di nuovo. Volli reagire, e alzai il braccio per usare il mio potere. Ma lui continuò a parlare, e mi dovetti fermare. Gli altri guardarono impietriti la scena.

"Da chi credi di aver avuto quei poteri?" mi disse lo spettro.

"Lo so bene" dissi. "Lo ha fatto uno di voi. Ma perché?"

"Lo ha fatto un ribelle. E io lo cerco!"

"Non so dov'è" risposi subito. "Lasciaci in pace."

"Stai mentendo! Posso sentirlo."

"No, non sto mentendo."

Lo spettro mi scaraventò contro un'altra parete. Fu un miracolo che essa rimase intatta. Lo fu anche che il colpo non mi spezzò il collo, o la schiena.

"Sarà solo una tregua" disse lo spettro. "Quando lo avrò fermato, tornerò da voi."

Lo spettro andò via alla svelta. Riuscii ad alzarmi in piedi. Grazie al cielo, il colpo non mi aveva fatto troppo male. Riuscivo a muovermi, per lo meno. Andai subito a soccorrere i tre ragazzi rimasti vittime dell'attacco.

"State tutti bene?" chiesi.

"Sì, grazie al cielo" rispose Elise.

"È venuto per colpa mia."

"No, Ethan. Loro lo fanno solo per farci del male!"

"L'ho sentito parlare" disse Hana. "Se avesse voluto solo farci del male, ci avrebbe già ucciso, ed Ethan non lo avrebbe fermato."

"Ho avuto i miei poteri da uno di loro" dissi.

"Lo sappiamo. Ma sei dei nostri, e non ci farai del male."

"Io lo spero" risposi preoccupato. Feci subito dietro front verso casa.

"Ethan, aspetta!"

"Ho bisogno di riposo."

Provai in tutti i modi a riposarmi, a rilassarmi, o anche semplicemente a chiudere occhio. Niente di tutto quello funzionò. Non riuscivo a togliermi quel pensiero dalla testa. Mi tornò addirittura in mente la scena in cui terminai bruscamente quella telefonata, quando il telefono mi esplose in mano... Forse quell'esplosione fu generata proprio dallo spettro, in modo che sarebbe potuto arrivare a me in qualche modo.

Che stavo pensando? Era tutto quello che mi serviva a non rilassarmi. Eppure non riuscivo a scrollarmelo dalla mente. Nel mentre, avevo chiesto a Enrico di rilassarsi, di fare come se non ci fossi. Fu riluttante ad accettare, ma lo fece.

Tuttavia, lo chiamai dopo essere rimasto per non so quanto tempo sul letto:

"Enrico"

"Oh," lui si alzò subito, e venne da me. "Che desideri?" chiese subito.

"Mi sento una merda di nuovo."

"È ppe chello ca' te ha ritt o' spettro?"

"Sì. Vorrei non pensarci."

Enrico si sedette sul letto, attento a non sedersi sopra di me. Una volta seduto, mi accarezzò la testa. Gli dissi "grazie", e rimasi fermo e steso sul fianco destro.

"Si vuoi, posso ripetèr chello ca' avevo ritt aier'" propose Enrico.

"Non ci credo ancora che fosse solo ieri!"

"A ogni modo, farò o' possibile ppe aiutarti. Ma mo' rilassati."

"Ci provo. Per oggi salto la cena," dissi, "Se vuoi, puoi andare solo tu. Dici che non mi sento bene, e che ho bisogno di stare a letto."

"Nun è nimmanco na' bugia" disse Enrico sorridendo.

E così fece. Io rimasi sul letto, a guardare il soffitto in silenzio. Mi ero alzato esclusivamente per togliermi i vestiti, in modo da essere pronto per quando andremo a dormire. Mi misi sotto le coperte, ma restai sveglio.

La noia venne subito a rovinare ulteriormente il mio umore. Non me la sentivo di uscire, ma l'idea di passare le ore sul letto a non fare nulla non mi garbava per nulla.

Mi bastò alzare il braccio verso il soffitto, e tutto in casa tremò. Questa volta, invece di limitarmi a ritirare tutto e fermarmi, volevo controllare l'intensità della scossa. Se poteva farlo quello spettro, potevo farlo anch'io. Se avessi ritirato completamente il braccio, tutto si sarebbe fermato. Provai quindi a inclinare il braccio in avanti, per spostare anche la mano. La scossa cominciò a farsi meno intensa. Stava funzionando.

Alzai il busto dal letto, e l'intensità tornò ad aumentare. Subito la controllai per diminuirne la forza. Non volevo rischiare di rompere tutto, avrei dovuto sperimentare con calma. Avevo comunque tempo fino al ritorno di Enrico, momento in cui avrei fermato tutto. Davanti a me, un mobiletto di cui non mi ero mai curato stava tremando, come fosse per il freddo. A dire il vero, stavo avendo anch'io un po' di freddo.

Misi avanti anche l'altra mano, e provai a governare la scossa con entrambe le mani. In camera tremò tutto con forza, mentre nella stanza accanto, il salotto, tutto si muoveva come il mobiletto prima. Provai a invertire la situazione, e il tutto cambiò in un batter d'occhio. I rumori, però, mi spaventarono, e abbassai l'intensità.

La porta cigolò, e mi presi un colpo. Era solo Enrico, che stava salutando Mark prima di entrare. Nell'attimo in cui mi presi un colpo, la casa tremò come colpita da un terremoto. Quando iniziò a tremare, cercai di abbassarne l'intensità, ma senza successo.

Enrico corse verso di me, e con la mano mi fece stendere sul letto. Quando mi stesi, tutto si bloccò, e grazie al cielo non avevo fatto danni. Il suo sguardo si tranquillizzò subito.

"Che stavi facendo?" chiese Enrico, preoccupato.

"Sto cercando di imparare a controllarmi," dissi, senza giustificarmi. "Stava andando tutto bene, poi mi ero spaventato."

"Ma perché?" Enrico rise un po'. "Sono solo io!"

"Scusami."

"Scuse accettate" disse sorridendo. Poi si tolse velocemente i vestiti, e si stese anche lui sul letto.

"Avevo paura che ti stessi preoccupando per quel che stavo facendo" aggiunsi.

"Certò ca' no! Ero cchiu' cheto ppe maì. E si staje imparànd a controllàr e' tuoi poteri, a me fa piacere."

"Ottimo!"

"Vado a lavarmi i denti. Poi dormiamo."

Grazie ancora, Enrico. Ero felice di non aver influito negativamente sul suo umore per ancora una volta. E dovevo ringraziarlo anche per essere stato svelto a fermarmi, prima che avessi potuto fare danni.

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