Giorno 3 - Mattino
Dopo qualche ora di sonno, una luce mi svegliò. Ero su una scogliera, e il cielo era totalmente dipinto di giallo. Stranamente, tutto quello che avevo intorno a me era nero, come se un'ombra gigante coprisse i colori.
Poi sentii un suono. Il gracchio di un corvo. E ne vidi uno volare sul cielo. Non era la prima volta che vedevo un corvo che non fosse antropomorfo come me. Qualche volta capitavano in TV o su Internet, oppure tra le strade delle città, ma erano tutt’altro che frequenti da vedere nei posti abitati.
Il corvo che vidi in cielo smise di volare all'improvviso, e cadde a terra come se fosse ferito. E due grandi ali d'aquila comparvero nel cielo. Solo le ali. Non vedevo nient'altro della creatura. Ma potevo sentire il suo verso. Un potente urlo d'aquila!
Le due ali si smaterializzarono, e assunsero una forma simile agli spettri che mi attaccarono. E subito calò in picchiata contro di me. Cominciai a tirarmi indietro, ma lo spettro fece prima. Ma si bloccò, sospeso nell'aria, poco distante dal mio petto.
Lo spettro si materializzò parzialmente in una testa di aquila, mentre il resto continuava a fluttuare senza forma. Gli occhi del rapace mi fissarono intensamente, e io rimasi fermo, a ricambiare lo sguardo. Lo spettro mi colpì al cuore. Mi svegliai di soprassalto.
Enrico stava ancora dormendo. Tutto il Quartiere stava dormendo, a giudicare dal silenzio che avevo attorno a me. Rimasi seduto sul letto un po', prima di alzarmi.
Volli fare una passeggiata. Non ero più stanco, e non volevo svegliare nessuno. Volevo solo stare tranquillo, andare in giro senza pensieri. Ne avevo bisogno.
Il sole, le nuvole, l'erba mossa dal vento, le poche querce che avevo intorno. Era un piccolo complesso. Io lo adoravo. Poche volte nella vita avevo davvero assistito all'alba, e vederla mi dava sempre una sensazione di calma. Il cielo arancio, le nuvole grigie. Dopo quello che avevo commesso, avevo bisogno di pensare a un nuovo inizio. Non chiedevo altro.
Arrivai poco fuori il quartiere, e trovai un'altra figura. Una volpe nera maschio, poco distante da me, in piedi e in silenzio. Non ero l'unico a essere uscito a fare una passeggiata, quindi.
Se c'era una cosa che adoravo, era fissare alcuni piccoli dettagli che i miei amici canidi manifestavano ogni giorno. In questo caso, le orecchie arancio della volpe davanti a me si mossero subito, accorgendosi della mia presenza. Lui si girò subito dopo, e potei vedere il suo pelo grigio scuro, con alcune aree più chiare sulla parte superiore del volto e in parte del resto del corpo, a contornare le grandi aree di manto grigio.
"Chi sei?" Mi chiese subito.
Il suo forte odore da volpe arrivò subito fino alle mie narici. Elise aveva detto il vero due giorni prima!
Dovevo rispondergli.
"Sono... tu sei di questo quartiere?"
"Sì. Tu?"
"Anch'io."
Fece qualche passo nella mia direzione, segno che non era preoccupato della mia presenza:
"Che fai qui? Sei quello nuovo?"
E sapeva già della mia presenza nel quartiere. Glielo aveva detto qualcuno, oppure ci aveva solo sentito o visto parlare da casa sua?
"Volevo solo uscire a fare una passeggiata" mi difesi.
"Anch'io..."
Forse era Mark, l'unico del Quartiere che ancora non avevo conosciuto. Dopo una breve pausa, mi disse:
"Possiamo farla insieme."
"Certo."
"Almeno Jim non può più dire che sono asociale."
Continuammo a passeggiare per i prati, in silenzio, mentre il vento giocava con il suo pelo e le mie piume. Mark si era subito chiuso nel suo silenzio, e cercava in tutti i modi di evitare di incrociare il suo sguardo con il mio, quasi come se avesse paura di me. Questo era un comportamento ‘asociale’.
"Tu come ti chiami?" Chiesi per migliorare la situazione. Del resto, sapevo già il suo nome.
"Mi chiamo Mark. Tu?"
"Ethan. Mi hanno parlato di te."
"Cosa ti hanno detto?"
"Che non esci di casa da giorni."
Mark aprì le braccia e sorrise:
"Hanno detto il vero. Ma ora sono fuori casa, senza che Jim mi abbia costretto. Quindi può festeggiare."
"Tu—"
"Jim è allo stesso tempo l'unico con cui riesco a parlare e l'unico con cui non ho alcuna voglia di parlare. Qualche volta Enrico viene a farmi visita, ma alle volte lui passa tutto il tempo da solo come me."
Pensai alla sfuriata della volpe di ieri. Ma evitai di farne riferimento, e passai ad altro:
"Jim ieri mi ha chiesto—"
“Di ammazzare delle persone della cittadina?” Mark trattenne una risata. “Lo ha chiesto a tutti noi. Persino a me. Non è altro che il suo modo per vedere se odiamo la cittadina quanto lui.”
“Tu non la odi?”
“Certo che la odio! Ma—”
“E tu hai fatto quello che ti ha—”
"Come sei arrivato in questo posto?"
Fui deluso dalla sua elusione, ma mi limitai a rispondergli:
"Volevo farmi una vacanza, e poi—"
"Capisco. Sei attraente, lo sai?"
"Cosa?"
"Niente. Andiamo.”
Eravamo sulla via del ritorno, quando alcuni ragazzi comparvero e vennero da noi. Ci mancava solo questo. E, per giunta, ci colsero di sorpresa:
"Oh, guarda che abbiamo qui! Stranieri freschi freschi!"
Mi preparai subito al peggio. Mark prese subito dal pantalone una pistola, subito tremante:
"Non costringermi a farlo!"
"Vogliamo solo divertirci un po'."
Uno di loro lo buttò a terra. Gli altri si avventarono contro di lui per prenderlo a calci, ma io presi a viva forza uno di loro. Non potevo fallire di nuovo!
Scaraventai colui che avevo preso via, e gli altri due si voltarono. Uno rimase da Mark, mentre l'altro piombò su di me. Tra le mani aveva un coltello, e io dovetti bloccarlo.
Dopo aver opposto resistenza, fui buttato a terra, ma tirai un calcio al ragazzo, che cadde accanto a me. Lasciò cadere il coltello, e io lo presi subito. Mi piombai su di lui, e lo colpii a uno degli occhi con una coltellata. Dietro di me, Mark sparò all'unico rimasto, e lo uccise.
Mi tirai subito indietro, voltando lo sguardo via dal ragazzo che avevo appena ucciso. Era un dalmata. Gli altri erano due gatti siamesi. Era stata legittima difesa, ma mi presi un colpo lo stesso. Dovevo essere felice, all’idea di esser riuscito a salvare qualcuno. Eppure—
"Stai bene?" Chiese Mark.
"Sto bene."
Nel frattempo, Jim ed Enrico arrivarono da noi.
"Mark, stai bene?" Chiese Jim.
"Siamo salvi. Non ce li aspettavamo."
"Ho visto tutto."
Jim si avvicinò a Mark, e gli diede una pacca sulla spalla.
"Te la sei cavata bene" aggiunse, con un occhiolino.
Enrico invece arrivò da me:
"Ti ha ferito?"
"No."
"Bel colpo!"
"Ethan," mi chiamò Jim. "Mark, vi vorrei a casa mia tra quindici minuti. È un problema?"
"No, va bene" dissi.
“Mark. Prima di venire fatti la doccia.”
La volpe grigia sbuffò in risposta.
Anch’io dovevo farmi la doccia. Era il momento di scoprire se queste case avevano anche l'acqua corrente. Il bagno c’era, ed era sufficientemente pulito, e trovai subito quello che mi sarebbe servito per la doccia. Buono a sapersi. L’acqua non diventava calda nemmeno dopo aver atteso cinque minuti. E l’idea di farmi la doccia fredda mi frustava, anche d’estate.
Nudo com’ero, urlai a Enrico dell’acqua, e lui mi rispose:
"Ringrazià si sta l'acquà correntè!"
Il bello di parlare da due stanze diverse.
"Va bene" risposi.
Niente da fare, mi dovevo fare la doccia fredda.
Non fu facile, visto che non ero abituato. Ci misi un po', ma ce la feci. L’acqua fredda mi impediva di rilassarmi dentro la doccia, e questo fu un peccato. Una volta finita, realizzai che mancavano gli spazzolini. C'era invece del collutorio.
Mi ero asciugato con l'accappatoio. Tuttavia, realizzai che mi ero scordato di prendere la biancheria dalla valigia. E questo sarebbe significato uscire nudo dal bagno, e non sapevo come l'avrebbe presa Enrico.
"Enrico," urlai dal bagno, "mi prenderesti una cosa dalla valigia?"
"Certo" rispose. "Che cosa?"
"Mi puoi portare anche l'intera valigia, se vuoi."
Dopo un po', disse però:
"Ma hai bisogno di una mutanda?"
”Ma dai? Sì, una mutanda.”
"Guarda cca che esci nudo non te dico nulla!"
"Sei serio? Portami la valigia!"
"Che palle" mormorò, ma almeno dopo un paio di secondi bussò alla porta, e lui mi portò la tanto agognata mutanda.
"Non è una delle mie" protestai.
"È pulita" rispose lui. "E datti una mossa. Dubbiam andà tra dieci minuti!”
Dopo la figura di niente con Enrico, mi vestii in fretta e furia. Dopodiché uscimmo di casa. E raggiungemmo in poco tempo la casa di Jim. Non differiva molto dalle case che avevo già visitato, se non per una maggior pulizia. Jim era impegnato in cucina, a preparare la colazione, mentre Mark era seduto sul divano.
“Lo sai che non devi trattare così gli altri” disse tranquillo Jim, per quanto il tono fosse quella di un rimprovero. Capii al volo il riferimento alla sfuriata di ieri.
“Di prima mattina a farmi la paternale, poi?” Protestò la volpe grigia. “Tu non sei mio padre!”
“Mi prometti che dopo chiedi scusa a Elise e Joel?”
Mark sbuffò. “Lo farò.”
"Ci conto. Buongiorno Ethan.”
Ricambiai con timidezza, e io ed Enrico andammo a sederci. Subito ricordai che avremmo sicuramente continuato il discorso iniziato ieri, e a dire il vero avrei preferito togliermelo dalla testa. Ma ormai era tardi.
"Come va?" Chiese Mark.
"Bene, forse" rispose Enrico, "tu?"
"Sto meglio. Ethan?"
"Bene" risposi anch'io.
"Scusate se vi siete svegliati a causa—"
"No, va tutto bene" rispose Enrico.
"Io ho bisogno di farmi un giro all'aria aperta ogni mattina, per contrastare la nausea" disse lui. "Jim mi aveva avvertito di stare attento. Grazie al cielo c'era anche Ethan con me."
"Sei stato bravo" commentò Jim. "Mi spiace di non esser venuto in tempo."
"Grazie lo stesso" sbuffò la volpe nera.
Dopo un po', Jim ci raggiunse sul divano, e posò sul tavolino di fronte a noi i piatti con la colazione. Erano delle uova cotte, insieme a della pancetta. Normale colazione americana, che però mi sorprese vedere qui. Come facevano senza il gas?
Mi chiedevo se Jim avesse ancora rancore nei miei confronti dopo la spinta di ieri notte, per quanto facesse il possibile per non mostrarmela. Jim cominciò da subito a parlarmi:
"Per quanto riguarda quello che mi hai detto ieri—"
"Speravo di non parlarne" dissi sbuffando.
"Ti capisco, e comprendo quello che pensi. Solo questo."
La sua risposta mi colse di sorpresa. Mi aspettavo che tentasse di nuovo di convincermi a dargli ragione, e invece...
"Jim, è colpa mia" dissi. "Sarei dovuto andare via."
"E farti arrestare?" Ribatté Enrico. "Sei serio?"
"Cielo," intervenne Mark, "non eri quello nuovo?"
"Non possiamo chiamare qualcuno dall'esterno?" Chiesi, per evitare siparietti inutili. "Quelli della cittadina stanno violando chiaramente i principi costituzionali degli Stati Uniti!"
"Per fare cosa?" Disse Mark. "Scatenare un putiferio internazionale, e farci morire tutti? Se non possiamo andare via, coloro che ci trattengono qui potrebbero distruggere anche chi vuole venire a prenderci, per non parlare degli spettri. Dobbiamo cavarcela da soli."
Poi prese la parola Jim:
"Per questo motivo, Ethan, devi fare una scelta. Anche se decidi di andar via—"
"Resto, invece" dissi. "Che altra scelta avrei? Se avete detto bene, chiunque viene qui è condannato, tranne chi vive qui dalla nascita. Nessuno può salvarci."
"Ma una domanda ancora più importante, Ethan" disse ancora Jim. "Sei sicuro della scelta? Sei pronto ad affrontare tutta la merda che affrontiamo noi ogni giorno?"
"Sono pronto."
"Ottimo" disse Enrico.
"Ora mangiamo" disse infine Mark. "Ho fame."
Finimmo di consumare la colazione. Jim aveva un buon gusto in cucina, e infatti il pasto fu buono. Una volta finito di mangiare, Mark prese la parola:
"Ieri notte ho fatto un sogno.”
“Che hai sognato?” Chiese Enrico.
“Ho visti tanti spettri che circondavano la cittadina di Fork Lake, che io guardavo da una montagna o una collina, non mi era chiaro. Poi ho sentito una voce. Mi ha detto che c'è qualcosa nella caverna fuori dalla città."
Allora non ero l’unico ad aver fatto un sogno.
"C'è una caverna?" Chiesi.
"Certo! E somiglia pure a quella di Dark!"
"Che non conosco" commentò Enrico, dopo aver bevuto un sorso d'acqua.
"In ogni caso, vorrei andare a vedere la caverna insieme a qualcuno. Che ne dite di venire?"
"Non ci credo" fece Jim. "Mark ha deciso di non passare una giornata da solo in casa a fare lo sbruffone."
"Vedi se chiudi quella bocca, Jim!"
"Si può fare" risposi, ignorando il litigio tra i due.
"Verrei volentieri," disse Jim, "ma ho delle cose da fare con Joel."
"Nessun problema. Ethan ed Enrico basteranno."
"Non ho detto che vengo" disse Enrico.
"Ma io non vado senza di te" risposi scherzoso.
"E allora vengo, visto che insistete" rispose lui, convinto.
"Ottimo!"
Piccolo spazio dell'autore!
Buon pomeriggio, cari lettori, e benvenuti, con qualche giorno di ritardo, nel giorno 3 di The Dictator Retriever!
Approfitto di questa parte per annunciarvi la nuova schedule di pubblicazione: ogni mercoledì e ogni sabato vedrete, alle diciotto, una nuova parte!
Ci vediamo alla prossima! E che quella caverna ci riservi tante sorprese!
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