Giorno 2 - Pomeriggio

Dormii come un ghiro fino a quando non venne a svegliarmi Enrico per la mensa. Mi alzai dal letto al rallentatore, e lui uscì fuori subito dopo avermi svegliato.

"Muoviti, dormiglione" disse divertito il pastore tedesco quando  raggiunsi la porta. Cercai di rispondere, ma mi venne da sbadigliare, e risposi quindi con un cenno della mano. Dopo lo sbadiglio, seguii il mio coinquilino.

La mensa era all'aperto, ed era composta da una serie di panche malridotte disposte intorno a un fuoco, ora spento, come in un accampamento. Hana e Caroline stavano parlando tra loro, mentre Enrico, già seduto, mi fissava con un sorrisetto da ragazzino. Anche Hana mi guardava con una punta d'interesse. Presi posto tra Enrico e Caroline, e la seconda mi ignorò del tutto.

"Tra poco arrivano Jim ed Elise" mi disse Enrico. "E arriva anche Joel, il nostro scout."

Tempi verbali a parte, Enrico non se la cavava così male con l'inglese. Magari avrebbe potuto usarlo da subito, o forse l’imbarazzo lo aveva spinto a ripiegare sulla lingua più comoda per lui.

"Capito" gli risposi. E intanto avevo saputo che c'era ancora un altro tra i ragazzi. Chissà come mi avrebbe accolto.

"Quanti siete?" Chiesi ad Hana.

"Sette. Devi ancora conoscere Joel, e uno di noi, Mark, si è isolato a casa sua da un pezzo ormai."

"Capisco..."

"Non preoccuparti. Sei una brava persona, ti tratteremo bene."

Quella frase non riuscii a rassicurarmi del tutto, specialmente per via di quel Jim, o anche di quella lupa. Ma ero felice che Hana—

Non potevo permettermi di pensare che mi fosse anche minimamente riconoscente. Non ero riuscito a salvarla! E nemmeno mio zio. Ero solo un arrogante. Aveva ragione quella volpe.

Nel frattempo erano arrivati proprio Jim ed Elise, la seconda con un sacco carico. Tutti i presenti si alzarono in piedi, e io lo feci dopo gli altri. Poi i due si avvicinarono a noi, ed Elise cominciò a parlare:

"Cari miei, grazie al cielo le mie capacità di occultamento della refurtiva non mi hanno tradito, e la nostra operazione al mercato della notte di due giorni fa non è stata effettuata invano!"

Diavoli, doveva avere al massimo un anno in più di me, e usava un linguaggio così tecnico.

"In parole semplici," commentò Jim, "ora abbiamo del nuovo cibo!"

I presenti applaudirono alle parole dei due, ed Elise portò il sacco con il cibo al centro della mensa. Un cenno della volpe artica bloccò i presenti dall'aprire subito il sacco, e i ragazzi rimasero tranquilli e silenziosi. Poi si voltò verso di me:

"Visto che sei nuovo tra noi, Ethan, lasciami dire un paio di cosette! Noi ci manteniamo in questo modo. Se non sei pronto a rubare, a uccidere, o anche a sacrificarti, puoi decidere di andare via oggi stesso."

Andare dove? A farmi arrestare, o a morire di fame? Non avevo altra scelta se non unirmi a loro. Una parte di me continuava a insistere, a voler dire di no. A cosa avrei potuto dire di no?

"Io resto" dissi, con convinzione. Non mi lasciò dire altro. Me ne pentii subito dopo.

"Bene, allora" disse contento Jim. "Benvenuto nella gang" aggiunse aprendo le braccia.

Tutti quanti applaudirono di nuovo, questa volta verso di me. Mi limitai a guardare gli altri. Non potevo mostrarmi preoccupato, o mi avrebbero deriso in questo stesso momento.

"Va bene così" disse Jim, e tutti smisero. "Oggi coinvolgeremo il nostro nuovo arrivato nella sua prima operazione insieme a noi. A breve arriverà il nostro scout, che aveva il compito d'individuare le case dei bastardi che ieri hanno aggredito Ethan e Hana.”

Continuò. "Ethan non lo sa, ma l'azione di quei gatti di fogna è soltanto l'ultima delle loro scorribande ai nostri danni, e quello che è successo ieri è inaccettabile, così come è inaccettabile l'insabbiamento dei loro crimini da parte del governo della cittadina."

"Insabbiamento?" Chiesi sorpreso. Avevo molti motivi per essere sorpreso, ma meglio restare al gioco.

"Non è la prima volta che fanno finta di niente al governo" rispose Hana. "E li coprono soltanto perché le loro azioni danneggiano soltanto quelli come noi."

Continuò Caroline:

"Mark ha raccontato di essere stato aggredito più volte da loro. E hanno dato fastidio anche a me. Loro girano spesso fuori dalla cittadina, in cerca di bersagli facili. Quella di ieri è stata solo l'unica volta che lo hanno fatto dentro la cittadina. Ovviamente, a chi importa di noi?"

"E che faremo?" Chiesi a Jim.

"Li uccideremo. Che paghino per le loro azioni."

Di nuovo applausi. Non c'era un altro modo? Se avessi detto di essere un pacifista mi avrebbero dato dell'ipocrita o del fifone, al cento per cento...

"Se non li fermiamo adesso," continuò Elise, "qualcuno di noi verrà ucciso da loro, e non possiamo permettercelo."

Nel frattempo, era arrivato correndo un ragazzo. Era un gatto tigrato di colore arancione, con strisce gialle, e aveva una maglietta blu. Jim lo vide subito:

"Joel. Come mai così tanta fretta?"

Joel prese fiato. "Vi avevo visto parlare, e avevo paura che stavate per finire."

Elise iniziò a ridere.

"Non preoccuparti" commentò la volpe artica. "Non possiamo finire certo senza le tue informazioni."

"Certo" rispose Joel, e poi prese posto vicino a Caroline. La ragazza si scostò leggermente da lui:

"Ma lo sai quanto puzzi?"

"Sono dovuto tornare di corsa” rispose il gatto. "Grazie al cielo non mi avevano individuato."

"Che hai saputo dei nostri bersagli, Joel?" Chiese Elise.

"Vivono tutti in case diverse, e due di loro vivono da soli. Nessuna delle loro case è protetta da telecamere, tranne quella della pantera. Vivono tutti quanti in centro, e perciò dovremo essere attenti a non fare rumore di alcun genere, e anche a occultare i cadaveri velocemente e senza essere visti da anima viva. Sarebbe auspicabile evitare di commettere furti, e specialmente di lasciare tracce che riconducano a noi."

"Grazie, Joel" disse Jim. "La riunione è finita. Potete fare ritorno alle vostre case. Io, Joel, Elise e Mark organizziamo il piano, e stasera a cena ci vedremo qui per comunicarvi tutto quanto. E ora, potete dare un’occhiata al sacco."

E tutti noi ci alzammo. Mentre Jim andò via con Elise e Joel, noialtri ci avvicinammo al sacco.

“Cosa c’è dentro?” chiesi ingenuo.

“Cibo, ovviamente” disse Hana. “E poche altre cose utili.”

Tornai dritto a casa di Enrico a riunione finita. Ero parte del gruppo, e sapevo anche cosa avremmo fatto quella notte. Saremmo andati a casa di quei furfanti, e li avremmo messi a nanna per l'eternità. Dirlo così era senz'altro inquietante, ma mi tranquillizzava. Avrei voluto vedere quanto sarei stato tranquillo durante il momento in cui sarebbe accaduto.

Cristo, non ci credevo ancora!

Enrico tornò dopo qualche minuto. Volevo passare del tempo con lui. Avrei voluto soltanto conoscerlo, nulla di più. E poi avremo dovuto lavorare insieme, quindi avere già un po’ di familiarità con lui non era male. Dal volto, era ancora imbarazzato. Forse non era abituato a convivere con qualcuno.

"*Comm'era 'u mangia?*" (Com'era il cibo?) Mi chiese, una volta che arrivò al divano.

"*Era buono.*"

"*Tien nu' accento strano*" mi disse invece. Ringrazia che ti capisca mentre parli in napoletano, avrei voluto dire, ma sarebbe stato poco educato da parte mia.

"Sono americano, caro” risposi ridendo. E lo dissi in inglese, pur di enfatizzarlo. Enrico scoppiò a ridere, e le nostre risate durarono un po'. Poi smettemmo, e lui continuò:

"*A te che piace?*"

"*Parli dei miei interessi?*"

Lui fece di sì con la testa. La sua coda continuava a scodinzolare.

"*Io apprezzo lo sport,*" dissi subito, "*e mi piacciono molto...*"

"*Segui il calcio?*"

Quando avevo detto sport, lui si era illuminato.

"*No. In realtà non seguo nessuno sport in particolare, però pratico il nuoto.*"

Lui abbassò la testa. “In *realtà neanch'io.*”

“*Com—*”

Nemmeno il tempo di finire, e partì a raffica.

"*Na' vota fràtem' piccirill' me ricett', quann stevm a giocà a tombola in famiglia, si me facevo i' fantasie incopp' maschi, e me avev' fatto l'esempio e' nu' calciatore.”*

(Una volta il mio fratello piccolo mi chiese, mentre giocavamo a tombola con la famiglia, se mi facevo fantasie sui maschi, e aveva fatto l'esempio di un calciatore.)

Scossi la testa. “*In che senso? Parla con più calma.*”

*“Nun lo so. So solo che ra chill moment, ajj'avuto difficoltà a bberè na' partita e’ calcio. Int'a' famiglia mia guardare u' calcio era assaie importante, e se si accorgevan ca' ero ricchiòn me accerevn.*"

(Credo di aver avuto difficoltà a vedere una partita di calcio da quel momento. Nella mia famiglia il calcio era importante però, ma se loro sapevano che ero gay mi avrebbero ucciso.)

Aveva rispettato la mia richiesta di scandire meglio quel che diceva. Ma non seppi come rispondergli. C’eravamo conosciuti da nemmeno mezz'ora, e già a raccontarmi della sua vita? Come se non bastasse, Enrico prese il mio silenzio come fossi infastidito da lui:

"*Ho parlato troppo?*"

"*No, no, è solo che... ti capisco.*"

Non era una buona idea troncare il discorso. L'avrebbe presa sicuramente male, e non volevo farmi problemi. E poi, non era poi così male. Forse ci avrei dovuto solo fare l'abitudine.

"*Anche per i miei accettarmi nonostante la mia bisessualità non fu facile,*" dissi, "*ma mi è bastato dimostrar loro che sono una persona normale, come tutti.*"

"*Tu si n' fortunat', e tien' dei bravi genitori. Invece a casa mia andavano a messa tutt'i domeniche, e patemò cominciò pure a fa' affari cu a' camorra. Nun c'è paragone.*"

Mi feci in avanti, confuso. "*Camorra?*"

Ne avevo già sentito parlare in passato, ma sempre in libri e film.

Enrico abbassò lo sguardo. "*Non avrei dovuto dirlo!*"

In quel momento sentimmo bussare alla porta. Andai io ad aprire, e c'era Hana.

"Oh, entra" le dissi. Lei fece di conseguenza, e salutò subito Enrico, che ricambiò. Andammo entrambi a sederci sul divano, e lei iniziò subito:

"Ti è piaciuta la tua prima riunione?" Mi chiese. Era relativamente tranquilla.

"Credo di sì."

Non ne ero molto sicuro.

"Quando ti dissi grazie per avermi aiutato ieri sera, dicevo sul serio, per quanto..."

"No, no, ti credo. Ma avrei voluto fare di più."

"Avrai occasione per farlo questa sera" commentò lei, trattenendo una risata. "Quando ieri tu eri svenuto, ci trovò un uomo, e lui si occupò di medicarci."

"Hana, quell'uomo era mio zio." Avrei dovuto dirle che era morto?

"Tuo zio?”

Non ce la facevo a parlare di lui. “Continua.”

“Grazie al cielo, non fui ferita gravemente, o altro. Ma lui ieri dovette mandarmi via non appena finì di curarmi. Sono corsa verso questo posto, e ho raccontato tutto a Caroline."

"Quindi—"

Non appena parlai, Hana si allarmò.

"Lo so, non sono una cittadina di Fork Lake. Avevo mentito a loro, ma solo perché—”

"No, Hana, non preoccuparti, non intendevo questo."

Hana iniziò a parlare a raffica:

"Caroline mi raccomandò di dire tutto a Elise. Quando lei seppe tutto, andò su tutte le furie, e stamattina ha fatto una partaccia a Jim per avermi lasciata uscire dalla nostra zona. Io volevo soltanto andare a fare una passeggiata, ed entrai in cittadina per pura curiosità. Non sapevo che quelli mi aspettavano!"

Finito di parlare, Hana scoppiò a piangere. La accolsi subito tra le mie braccia, per consolarla, mentre Enrico guardava sconsolato.

"Tu non meriti questo dolore" disse lui.

"Io me la sono cercata" disse Hana, tra le lacrime.

"Non dire questo" le risposi. "Lo ha detto anche Jim. Quello che ti hanno fatto è inaccettabile."

Restò abbracciata a me per un po', ed Enrico ci guardava in silenzio, senza disturbare. Il pastore tedesco aveva ragione: lei non meritava questo. Qualsiasi cosa avesse potuto mai fare, loro non avrebbero dovuto fare delle cose simili. E poi, continuai ancora a pensare al mio fallimento. Anche quello poteva essere imperdonabile, se l'avessero uccisa.

Aspettai fino a quando smise di piangere, dopodiché fu proprio lei a staccarsi, con dolcezza, da me.

"Vi ringrazio" disse.

"Nessun problema. Sono felice che ora tu stia bene."

"Quella persona che ieri mi ha soccorso, tuo zio, era stato premuroso con me."

Hana, perché dovevi toccare quel tasto?

"Mio zio è morto, ucciso da quegli spettri" dissi. Stavo iniziando a piangere anch'io.

Hana si alzò, sorpresa. "Mi spiace... non avrei dovuto—"

"No, è colpa mia. Sarei dovuto andare dalla polizia."

"A farti arrestare? Tu non hai fatto niente di male."

"Ho fatto morire l'unica persona in grado di aiutarmi!"

Hana rimase sorpresa di nuovo, questa volta dalle mie parole. Avevo appena finito di consolarla per lo stesso senso di colpa che ero io a provare.

“Scusami” dissi.

"Io... torno da Caroline" disse alla fine. "Enrico, assicurati che lui stia bene."

Enrico rispose con un cenno.

Nota dell'autore: ho appena notato che, copiando i capitoli da Notion, il programma che uso per scrivere, le parole in corsivo vengono rese con gli asterischi ai lati. Vedrò di rimediare appena possibile. Ci vediamo domani per la prossima parte.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top