Giorno 2 - Mattino
Al mio risveglio, ero nella cameretta che mi aveva dato lo zio. Insieme a lui, c'era anche una dottoressa, una Border Collie, che stava aspettando seduta accanto a me. Zio Tommy era invece in piedi teso. Io invece ero ancora rintontito.
"Come si sente?" Mi chiese la dottoressa.
"Mi gira la testa. Ma—"
"Ti fanno ancora male quelle ferite?"
"Credo di no."
"Che sia lodato" disse mio zio, battendo le mani, e subito dopo tirò un sospiro. "Dottoressa, può andare. La ringrazio di cuore.”
"Non ho problemi a rimanere" disse lei. “Se per il ragazzo—”
"Vorrei parlare in privato con Ethan."
Lei annuì. "La aspetto di sotto."
Si alzò in silenzio, e uscì dalla stanza. Mio zio andò a chiudere la porta, e poi si sedette accanto a me. A dire il vero, sentivo ancora un forte dolore al fianco destro, ma poco importava rispetto a quello che mi era successo.
Avevo anche paura di cosa mi avrebbe detto Tommy. Era solo il mio primo giorno a Fork Lake. Già lo vedevo sedersi, con il palmo sulla fronte e un sospiro desolato, davanti a me, il nipote che gli stava creando problemi fin da subito!
"La ragazza dov'è?" Chiesi.
"Ci siamo occupati anche di lei, ora è a casa sua. La conoscevi?"
"No. Sei arrabbiato con me?"
"Ethan..."
Si limitò a uno sbuffo. Non alzò nemmeno il tono di voce. "Perché lo hai fatto?"
"Loro ci avevano accerchiato—"
"Ti sto solo chiedendo perché."
Aveva alzato il tono, ma non quanto mi sarei aspettato.
"Non avevo altra scelta. Non sono stato io ad attaccar briga."
"Splendido, perché i miei colleghi affermano l'esatto opposto! 'Guarda che fa tuo nipote al primo giorno in una cittadina che nemmeno è sua' mi vengono a dire! Per la miseria, potrei rischiare di essere licenziato!"
"Per questo?"
Lui non c'entrava nulla!
"Ieri pomeriggio una cosa ti ho detto su di loro! Com'è possibile che l'hai dimenticato? E poi, almeno il tuo intervento avesse avuto un briciolo di utilità!"
Questa non era la prima volta che mio zio eccedesse nella polemica con qualcuno. Ma questa era la prima volta che lo sperimentavo sulla mia pelle. E ciò la diceva lunga. Grazie per avermi ricordato ancora quella dannata umiliazione!
"Ormai è fatto" dissi.
"Certo..."
‘Ti prego, smettila con quel tono’ stavo per dire. Di tutto avevo bisogno, tranne che del sarcasmo!
"Che intendi dire?"
Non mi diede risposta, e invece si limitò a passarmi un foglio. Lo lessi in tutta fretta, ad alta voce:
"Dati i recenti avvenimenti, lo straniero Ethan Sanders è invitato a lasciare la cittadina di Fork Lake entro dodici ore dall'avviso. Se violerà quanto scritto, o proverà a contestare e/o commettere ulteriori crimini, verrà portato in arresto e giudicato senza possibilità di difesa dal Tribunale degli Stranieri di Fork Lake — Che cosa?"
Non potevo credere ai miei occhi! Avevano un Tribunale degli Stranieri? Ma in che posto ero finito? Non avevo mai sentito una cosa del genere in America! E tutto questo senza nemmeno una mezza voce in capitolo!
"Te l'ho detto prima" riprese Tommy. "Alla polizia hanno dichiarato una versione differente dei fatti, e adesso—"
"Tu fai parte della polizia" insistetti.
"Che cosa posso dire loro? I corpi vostri dentro un cassonetto non sono stati sufficienti per loro, e senza prove non possiamo fare nulla."
"Come sarebbe a dire? Loro ci hanno aggredito, la hanno—"
"Credi che non lo sappia?" Mio zio si alzò in piedi. "Anche la ragazzina ha detto la stessa cosa. Abbiamo solo due possibilità."
"Quali sarebbero?"
"Io ti porto fuori dalla cittadina come hanno chiesto, e tu torni a casa e fai finta che non sia successo niente. Oppure non faccio nulla, e passerai due, tre, non so quanti mesi in carcere prima del processo."
"Che cazzo—"
"Che cosa scegli?"
Non mi aveva lasciato molta scelta.
Nel giro di venti minuti, avevo messo tutto quanto dentro le valigie, ed ero dentro la macchina di mio zio. Era ancora furioso, e perciò rimasi nel sedile posteriore in religioso silenzio.
Avrei voluto imprecare, darmi in escandescenze, ma farlo avrebbe solo irritato ulteriormente l'unica persona ancora in grado di aiutarmi. E non potevo certo perdermi questo lusso. O sarei finito direttamente dietro le sbarre, senza alcuna possibilità di difendermi, come mi era successo il giorno prima. Se continuavo a pensarci, mi sarebbe venuto solo da piangere.
Dovevo dimenticare tutto, come mi aveva detto Tommy. Lui mi riportava a casa, io tornavo alla mia vita, magari io e lui ci inventavamo qualche storia per non impensierire mamma e papà. E lui che avrebbe fatto? Se aveva detto che già con quello che mi era successo rischiava il licenziamento, che cosa gli sarebbe successo una volta che lui mi avrebbe fatto fuggire?
Che cavolo dicevo? Stava scritto nel documento che potevo farlo, quasi come se loro avessero voluto darmi una possibilità di scamparla, sempre se non avessero qualcos'altro in mente.
Che posto di merda, dissi tra me e me.
Fu mio zio a chiamare a casa mia per dir loro del mio ritorno. Nessun accenno a quanto fosse accaduto a me, e anzi lui si è inventato che non era possibile tenermi da lui, che era troppo impegnato al lavoro, e altre cose. Non potevo sentire l'altro lato della cornetta, ma mio zio stava cercando di terminare la chiamata il prima possibile.
"Siamo nella merda" disse una volta chiusa la telefonata.
"È colpa mia" dissi.
"Volevi solo proteggere una buon'anima."
Con il tono che aveva non avrei mai potuto capire se era ancora sarcastico oppure gli dispiaceva per davvero.
"Ieri ho visto dei comizi."
"Comizi in piazza sugli stranieri? Lo fanno ogni giorno."
Parlava come se fosse normale. Ma non lo era. Non dovrebbe esserlo. Aveva pure ridacchiato.
"Da quanto lo fanno?"
"Da mesi, ormai. Ci hanno preso gusto."
"E tu che facevi lì, allora?"
"Mi conosci, Ethan. Volevo provare una nuova esperienza dopo il divorzio, e le condizioni di lavoro sembravano pure buone. Poi—"
"È la prima volta che fanno una cosa del genere?" Dissi pensando a me e alla notte prima.
"È la prima volta di cui ho notizia. E guarda caso sei capitato proprio tu."
"Ma nessuno ti ha mai detto nulla sul posto di lavoro? Su quel che accadeva, o... discriminazioni?"
"Sono proibite entrambe le cose, dicevano. Forse lo avrebbero fatto altrimenti. Ora lasciami guidare."
Non riuscii a prendere sonno. Il paesaggio che avevamo intorno era noioso, e non volevo pensare ancora a quella merda. Non sapevo nemmeno quanti soldi avessimo buttato. Nemmeno a dirlo, non appena chiusi comunque gli occhi, quella orribile scena della notte prima mi tornò nella mente. Non era mai successa una cosa del genere in tutte le volte che avevamo viaggiato.
Mi venne una fitta alla testa. Nemmeno un segnale, e nessuna spiegazione. Mi venne da urlare, e mio zio cercò agitato di frenare. Il mio udito era labile. Sentii solo una voce d'oltretomba che urlò a squarciagola delle frasi incomprensibili. La macchina fu colpita come da un razzo, e mi parve di volare, con tutta la cintura che avevo addosso.
Mi risvegliai solo qualche ora dopo. Ero steso sull'asfalto. La macchina era in fiamme. Quando, in piedi, provai ad avvicinarmi al relitto, un colpo al petto invisibile mi ributtò a terra. Su tutta la macchina, oltre alle fiamme c'era una strana foschia viola. Mi alzai di nuovo, ma quella foschia caricò contro di me. Caddi ancora, e poi quella cosa colpì di nuovo la macchina. Tra tutte le fiamme e la foschia, non riuscivo a vedere il corpo di mio zio. Mi sentivo con l'acqua alla gola.
“Zio” urlai. “Zio! Dove sei?”
Nessuna risposta. Ero senza fiato.
"Non puoi scappare da questo posto" mi urlò a sua volta un'altra voce cavernosa.
Non riuscii a rispondere. Accanto alla macchina, l'unica cosa in salvo era la mia valigia. La presi subito, e scappai a gambe levate, prima che quelle cose avessero cambiato idea.
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