Giorno 1 - Pomeriggio

Non potevo fare a meno di avere l’amaro in bocca quando uscii dalla casa dello zio Tommy. ‘Qua sono molto isterici sulla sicurezza’ furono alcune delle sue ultime parole. Che cosa intendeva dire? Dovevo preoccuparmi?

Dovevo rilassarmi. Io ero in vacanza, io ero in vacanza, io ero in vacanza.

Non male come regalo di compleanno...

E così, fui di nuovo per strada. La cittadina era sempre bella, e il tramonto la rendeva ancora più pittoresca. La gente passeggiava tranquilla per le strade. I lampioni erano già accesi, nonostante ci fosse ancora luce, e il vento muoveva con calma le chiome disposte sui marciapiedi.

Una parte di me voleva fare altre foto, ma pensai che sarebbe stato meglio godermi il posto senza distrazioni. 

Mi capitò di passare davanti al cartello pubblicitario di un teatro, e ne feci una foto. Alla faccia del ‘niente distrazioni’ di prima. Era una buona opzione da valutare per i prossimi giorni. A mio zio sarebbe piaciuto.

Sospirai al pensiero. “Vedrai che si riprenderà, Ethan” dissi a me stesso. “Non preoccuparti.”

Forse avevo solo bisogno di mangiare qualcosa.

Passeggiando e passeggiando, trovai una gelateria. Non resistetti. Una gradevole luce arancio dava al locale un aspetto gustoso. Chiesi una coppetta al cioccolato fondente. Il prezzo era quello che mi sarei aspettato, ma il sapore era eccellente. Rischiai di congelarmi la testa per quanto velocemente la divorai.

Uscii dal locale. Subito dopo il gelato, arrivò una telefonata. Era mia madre, e perciò risposi subito, mentre continuavo a camminare.

"Ciao, mamma! Io sto girando per la cittadina, e ho appena finito di mangiare un gelato."

Mamma era più felice che mai. “Spero sia stato buono. Per caso hai intenzione di visitare delle attrazioni turistiche?"

"Ci sto pensando. Tra spiagge e località, ho l'imbarazzo della scelta. Ma per oggi vorrei vedere la città."

Avevo visto qualcosa prima di venire, a in quel momento non ricordavo quasi nulla.

"Stai attento a non sciupare tutti i soldi."

"Va bene, mamma."

"Come sta lo zio?"

Ci pensai un attimo prima di rispondere.

"Sta... bene."

"Ottimo! Buona vacanza, caro" concluse mia madre. La salutai, e chiusi la chiamata.

Ero arrivato vicino a un comizio, con qualche centinaio di persone. E poi, qualcosa mi fece deglutire dall'agitazione. Una folta serie di cartelli con delle scritte preoccupanti. Lessi 'attenti agli stranieri' e 'non tutti sono semplici turisti'.

Alle prime avevo una gran voglia di scappare. Poi realizzai che ero solo un turista, e forse non mi avrebbero fatto nulla. Mi avvicinai lo stesso al comizio per curiosità.

"Negli ultimi giorni, il nostro sindaco ci ha raccomandato di fare attenzione ai momenti in cui i turisti abbondano."

Queste furono le prime parole che sentii dall'uomo sopra il piccolo palco in mezzo ai cartelli.

"Ricordate, amici miei, che tra le persone che vengono pacificamente a godere della nostra bellezza ci sono anche persone che la vogliono distruggere! I clandestini che vengono senza permesso saranno qui solo per rubare e distruggere il nostro benessere. E per questo lui ci dice di stare attenti."

Il pubblico applaudiva al discorso, mentre io feci dietrofront. Volevo godermi la città, e avevo capito dove volesse arrivare. Non avevo tempo da perdere con i comizi, anche se fosse solo il primo giorno.

Tra il pubblico, un lupo mi vide andar via, e mi si avvicinò:

"Cos'hai? Non ti piace quello che dice?"

"Ho da fare."

E non avevo alcuna voglia di un litigio.

"Va bene. E allora vai."

Si girò dall'altro lato facendo un ghigno. Un altro uomo, un gatto bianco, si rivolse al lupo:

"Chi ti credi di essere? Lascialo in pace."

"Tu non rompere il cazzo! Ti ricordo che sei un cittadino solo per un pelo!"

I due continuarono a discutere, ma io ero già andato via.

Potevo ritenermi al sicuro, a patto che fosse tutto andato per il verso giusto, ma quella situazione mi aveva turbato fin troppo. E poi, non volevo certo far impensierire mio zio. Volevo tornare a casa sua in fretta!

Non ero certo nuovo a discorsi xenofobi o merda simile, ma l'idea di essere appena andato in vacanza in un posto la cui gente avrebbe potuto darmi del furfante da un momento all'altro era tutt'altro che gradevole. Ero solo un turista, ma le garanzie che avevo si stavano sgretolando passo dopo passo.

Si era fatta sera. Ero in una strada con solamente una manciata di lampioni che non riuscivano a illuminare per bene la strada. L'ambiente circostante non trasmetteva più solarità come prima. Mi spaventava ancora di più.

Forse mio zio non stava esagerando!

Incrociai la strada con una ragazza. Distratto com'ero, la urtai accidentalmente, e le cadde a terra il borsello. Subito lo raccolsi da terra e lo restituii alla ragazza, chiedendole subito scusa.

"Non fa niente" disse lei con una voce gentile. "Controllo se è tutto a posto."

La ragazza era una Shiba Inu, un'etnia asiatica di canidi. Era più bassa di me, ma era snella e il suo viso color limone, con la mascella bianca, era davvero carino. E pareva della mia età. Lei si accertò che non avessi rotto nulla col mio incidente, e poi richiuse tutto soddisfatta.

"Sembra tutto a posto. Non sembra un buon luogo questo."

"Io sto tornando a casa."

"Anch’io."

Subito mi accorsi dell’arrivo di due uomini, vestiti di nero. La ragazza si voltò e schivò la presa di uno di loro, ma l’altro le prese una delle mani e gliela strattonò.

Non appena la ragazza provò a urlare, uno dei due, un giaguaro, le tirò un forte schiaffo, per poi tenerla stretta a sé, bloccandole i movimenti e la bocca.

"Ti ho trovata! Impari così a non fare quello che dico io, puttana!"

"Lasciatela stare" dissi subito.

Speravo di apparire coraggioso, ma ero in preda al panico. Ma se l'avessi lasciata alle loro violenze, non me lo sarei mai perdonato. Lei non poteva nemmeno muoversi, perché il giaguaro aveva pronto un coltello in mano, che puntava al collo della Shiba.

"E tu chi sei?" Chiese l'altro dei due, una pantera, a me. "Il suo fidanzatino?"

Non gli risposi, e invece provai ad avvicinarmi ai due per salvare la ragazza. Ma un terzo uomo mi bloccò da dietro. Avevo solo il becco libero.

"Che cosa volete farci?" Urlai, in collera.

"Tu fai silenzio, e noi te lo diciamo" rispose il giaguaro.

La ragazza continuava a dimenarsi. Il giaguaro rispose alla mia domanda:

"Forse non lo sai, ma questa troietta non è altro che una clandestina. E se hai sentito quello che ha detto quel buon uomo prima, sai che quelli come lei non sono i benvenuti qui."

Lei provò, malgrado la bocca bloccata da una mano, a parlare. Lei era innocente, ed era regolare, o almeno questa fu la mia ricostruzione.

"Zitta" disse la pantera, tirandole un calcio alle gambe.

Intanto, io tirai una testata all'indietro a colui che mi teneva fermo, e gli colpii il mento. Così mi liberai, e corsi contro il giaguaro. Lo buttai a terra, dando alla possibilità alla ragazza di liberarsi, con una bella ginocchiata ai gioielli della pantera.

Ma il momento di rivalsa finì presto, e il terzo uomo bloccò a terra la ragazza. Io stavo ancora tenendo il giaguaro, a cui cominciò a uscire il sangue dalla bocca, ma la pantera venne subito a tirarmi un calcio, che mi portò a terra, liberando il giaguaro. Provai ad alzarmi, ma i due mi tirarono calci, più e più volte, con tutta la forza che avevano.

A malapena riuscii a vedere cosa il terzo uomo stesse facendo alla ragazza, e il dolore squillava sotto le mie penne. Io invece non urlavo. Non avevo le forze nemmeno per quello.

Dopo averci pestati, i tre ci lasciarono dentro un cassonetto dell'immondizia, e poi corsero via. Con quel poco di forze che avevo, constatai che fortunatamente i banditi non mi avevano rubato nulla. Era una magra consolazione in confronto al dolore che provavo. La ragazza stava piangendo, e dal suo pantalone mi parve di vedere con orrore un liquido bianco.

"Mi dispiace" dissi senza pensarci.

“Ci ho provato” rispose lei, tra le lacrime.

Il suo sguardo implorava pietà, e io non potevo aiutarla. Non vidi più altro quella notte.

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