CAPITOLO 6
Era passata circa una settimana e la mia vita procedeva come se nulla fosse mai accaduto godendomi al meglio le prime settimane di agosto. Quella sera i nonni sarebbero andati ad una festa in città e sarebbero tornati tardi, nel mentre io sarei rimasta a casa a godermi la mia maratona cinematografica con tanto di pop corn. Ero giù nel salotto così presa dal film che quasi non sentii lo scricchiolio provenire dal primo piano. Non ci feci troppo caso, in fondo era comune per una casa di legno scricchiolare, cosi proseguii la mia visione tranquillamente. Poi un tonfo. Sussultai: qualcosa si era rotto. Il mio cure prese ad accelerare. Misi in pausa il film e, lentamente, salii le scale accendendo più luci possibili finché non raggiunsi la porta chiusa di camera mia. resta in silenzio per qualche secondo, trattenendo il respiro per cercare di recepire anche il più lieve rumore, poi lentamente, quando ebbe abbastanza coraggio, appoggiai le mani tremanti sopra la maniglia e spinsi.
Venni invasa dal terrore. La camera era completamente a soqquadro: cassetti e ante, completamente aperti, facevano fuoriuscire alcuni dei miei vestiti, mentre tutti gli altri si trovavano sparsi sul pavimento ridotti a brandelli. Continuai a guardarmi intorno, spostando lo sguardo sul letto, ora disfatto e con i cuscini strappati, il quale era cosparso da piume bianche e nere. Poco lontano dal letto, il comodino era caduto e la lampada giaceva a terra, rotta, in mille pezzi. Fu solo allora che mi accorsi, buttando lo sguardo sotto al letto, che quattro luci rosse scoppiettanti di inferno mi stavano guardando. Non feci in tempo a realizzare cosa stesse accadendo che, con un movimento fulmineo, l'ombra mi si scaraventò addosso. Mi ritrovai immobilizzata alla parete, sormontata da un essere alato. Somigliava ad un avvoltoio, ma a due teste, che puzzava di ferro e di bruciato. Ero completamente paralizzata davanti quell'essere mostruoso e irreale: il panico aveva preso il sopravvento e la mia mente si svuotò completamente. Cercò più volte di beccarmi, mentre mi nascondevo il viso con le braccia, tuttavia riuscì a ferirmi più volte, colpendomi prima il braccio e successivamente la fronte. Un dolore lancinante mi bloccò la testa al muro, poi fu il turno della guancia che venne segnata da un taglio, il quale prese subito a sanguinare. Infine una violenta beccata mi colpì la clavicola, esattamente dove si trovava il sigillo. In quel momento un flash viola illuminò la stanza e respinse per qualche secondo quell'essere immondo, ma non ebbi neppure il tempo di muovermi che mi fu nuovamente addosso, graffiandomi le braccia con gli artigli e schiaffeggiandomi le guancie con le ali.
"Non muoverti." Ringhiò all'improvviso una voce. Mi congelai sul posto.
Sentii un fischio sfiorarmi l'orecchio e poi fui più leggera: l'animale che prima mi aveva ferita ora giaceva morto, appeso al muro, trapassato da un coltello argenteo, come un foglio fissato ad una bacheca di sughero da una puntina. Pochi secondi dopo si incendiò, lasciando dietro di se solo una polvere di cenere che mi ricoprì i vestiti. Solo in quel momento realizzai di essere finalmente fuori pericolo e svuotai i polmoni con un grosso sospiro, mentre le mie gambe tremanti cedettero, facendomi scivolare lungo il muro e accasciare per terra.
"Tutto bene?"
Leith mi si avvicinò, ponendomi la mano per aiutarmi ad alzare, ma io non mi mossi, non spostai neanche lo sguardo. Allora Leith si inginocchiò al mio fianco e mi strinse a se per poi sollevarmi e adagiarmi sul letto. Ancora non reagii. Sembravo svuotata della mia anima, una bambola di porcellana, immobile, statica.
"Ora riposa."
Quelle parole dette così dolcemente mi riportarono alla realtà. A Leith. Improvvisamente mi sentii al sicuro e protetta. 'Scusa' fu l'ultima parola che sentii prima di addormentarmi.
"Dormito bene?"
Leith, seduto ai piedi del letto, mi guardava con quei suoi due immensi pozzi blu, mentre, intorno a lui, la camera era perfettamente in ordine.
"Prima che tu me lo chieda, ti spiegherò tutto: quello che hai visto ieri sera era un demone di Rango Z, uno tra i più innocui. Quando ti ha ferita, il sigillo è stato stimolato è mi ha richiamato per proteggerti. Questo è uno dei vantaggi del sigillo, ma è anche per colpa sua se sei stata attaccata: il contratto attira i demoni. Questo è quello che stavo cercando di dirti l'altra volta nel bosco, se solo non te ne fossi andata. Per quanto riguarda le ferite..."
Si prese del tempo per dare un'occhiata ai lividi e ai graffi cosparsi su tutto il corpo, poi aggiunse.
"...non sono profonde, guarirai in fretta."
Fece passare qualche secondo in attesa che assimilassi tutte quelle informazioni, poi riprese.
"Vuoi ancora che esca dalla tua vita?" Disse abbozzando un sorriso colpevole che mai, prima d'ora, gli avevo visto fare.
"No!" Esclamai così improvvisamente da stupirmi da sola.
Rise. Fece per alzarsi ma lo fermai prendendolo per il polso.
"Non lasciarmi sola."
Non mi fidavo ancora di lui, ma dopo quello che era appena successo ero spaventata e Leith era l'unica persona che mi avrebbe potuto aiutare in una circostanza del genere.
"Non lo farei mai."
Per la prima volta vidi, nel suo sguardo, un'espressione cupa, simile alla preoccupazione.
"Non ti ho forse detto che sono geloso delle mie cose?"
E ancora, i suoi occhi tradivano la sua apparente tranquillità lasciando spazio a timore e insicurezza. Ci guardammo intensamente per alcuni secondi finché non lasciai la presa attorno al suo polso, che aveva preso a bruciare. Non appena allontanai la mano, la sensazione di bruciore svanì. Lo sguardo di Leith si spostò al palmo, che rimase a fissare per qualche secondo con fare addolorato. Poi, con un movimento rapido e inaspettato, saltò dalla finestra. Velocemente e in preda al panico, mi alzai dal letto e raggiunsi la finestra ad ampie falcate, sporgendomi per controllare in che condizioni fosse dopo un salto dal primo piano. Era sparito.
Nei giorni successivi tornai nel bosco, lo aspettai sveglia la notte e cercai di richiamarlo provando ad attivare il sigillo, ma di lui, nessuna traccia. Il fatto che fosse un angelo della morte mi spaventava e lo biasimavo per avermi legata a lui con quel contratto, ma più mi stava lontano e più provavo nei suoi confronti una strana attrazione, l'avevo provata fin dal principio: mi spingeva a essere sempre più curiosa, a volere sempre più informazioni, a volerlo sempre più vicino. La sera cercai su internet qualche informazione riguardo gli angeli della morte, ma oltre ad alcune recensioni su film e libri, non trovai nulla che potesse essermi utile e finii solo con l'addormentarmi con una mano appoggiata alla tastiera.
Una leggera brezza mi accarezzò la pelle, facendomi rabbrividire. Cercai le coperte per coprirmi, socchiudendo svogliatamente un occhio per trovare meglio il lembo delle lenzuola, e fu in quel momento che mi accorsi che, seduto sulla finestra con i piedi a penzoloni, c'era qualcuno. Mi si gelò il sangue nelle vene e i battiti aumentarono, poi lo riconobbi. Era Leith che, come promesso mi stava proteggendo, lo aveva sempre fatto, ma senza che io me ne accorgessi. Rimasi per qualche minuto ad osservalo, riducendo ogni movimento al minimo per non farlo scappare. Non sapevo perché avrebbe dovuto, ma sentivo che lo avrebbe fatto.
"Rischi di consumarmi sai?"
Il mio cuore saltò un battito. Si era accorto che ero sveglia e che lo stavo guardando.
"Hai recuperato le tue ali?"
Era una domanda così a bruciapelo che me ne sorpresi anche io. Speravo solo che iniziando una conversazione gli avrei impedito di andarsene.
"Quasi."
"Quasi?" Ripetei.
"Si, quasi..."
Era evasivo e me ne accorsi, così non insistetti più sull'argomento.
"Perché ti nascondi?"
Altra domanda inopportuna, sfuggitami dalle labbra.
"Nascondermi? Io? Quando?" Disse al limite tra lo stupito e l'offeso.
"Non ti fai mai vedere."
"Di giorno non c'è bisogno della mia protezione e di notte dormi. Non sono io che mi nascondo, sei tu che non mi vedi."
Aveva ragione. Come potevo essere stata così ingenua a credere che lui, un angelo della morte, si nascondesse.
Scesi dal letto e mi avvicinai alla finestra facendogli compagnia sul davanzale.
"Attenta, è pericoloso." Disse guardandomi e allungando le braccia verso di me come per farmi da ringhiera.
"No, non lo è."
Vidi i suoi occhi colorarsi di lavanda e le sue pupille espandersi non lasciando quasi spazio all'iride. Velocemente distolse lo sguardo e abbassò le braccia.
"Torna a letto. E' tardi." E fece per scendere dalla finestra.
"E' questo ciò di cui parlavo prima." Lo trattenni un'altra volta per il polso e poco dopo sentì nuovamente quella sensazione di bruciore sulla pelle, ma la ignorai.
"Perché scappi?"
"
Non sto scappando!"
Ora i suoi occhi erano di nuovo blu e mi guardavano accigliati. Più lo guardavo, più gli parlavo, più sentivo il bisogno di toccarlo, averlo più vicino.
"Sto sol-"
Ma prima che potesse finire di parlare feci una follia: mi spinsi fuori dalla finestra.
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