CAPITOLO 32
Mi ritrovai nuovamente a camminare tra la città ma questa volta ero realmente sola. Uscii ed entrai nei negozi, passai del tempo in un bar, tornai nel parco. Ma niente. Nessuno aveva cercato di attaccarmi.
Avevano scoperto anche lo Speculator?
No. Era impossibile.
Ma sicuramente avevano capito che c'era qualcosa sotto. Le mie improvvise passeggiate pomeridiane erano senz'altro sospette. Mi arresi all'idea che nessuno avrebbe provato ad attaccarmi neanche questa volta e percorsi la strada di casa. Dopo varie svolte arrivai ad un incrocio e aspettai il verde prima di passare. Niente di più elementare, se non fosse stato per un furgone che improvvisamente vidi avvicinarsi. Era veloce e sempre più vicino. Iniziai a correre verso l'altro lato della strada, ma a malincuore capii che non avrei mai fatto in tempo. Sentivo il rombare del motore e le ruote stridere sull'asfalto, sempre più vicino. In quell'istante il sigillo si attivò e Leith apparse dopo la luce viola. Come se già sapesse la situazione in cui mi trovavo, si girò con uno scatto e, senza un attimo di esitazione mi strinse a sè. Un'improvvisa folata di aria, segnalò lo spiegarsi delle ali, che aprì rapide. Mi spostò sul marciapiede, sollevandomi solo di qualche centimetro. Durante quell'azione, così rapida da non avere neppure il tempo di mettere totalmente a fuoco la situazione, un urlo straziante lasciò la gola di Leith. Rabbrividii quando, osservando le sue ali, vidi che la punta dell'ala sinistra aveva colpito lo specchietto retrovisore del camion, spezzandosi. Leith si accasciò sul marciapiede, dolorante, e io mi inginocchiai ai suoi piedi chiamandolo ripetutamente. Vederlo soffrire in quel modo era straziante. Non volevo neanche immaginare il dolore immenso che potesse aver provato quando gli furono strappate le ali.
"Non parlarmi. Sono invisibile per gli umani." Nonostante la sofferenza, Leith si sforzò di far rimanere la sua voce calma e pacata.
Finsi di essermi fatta male una caviglia e mi sedetti per terra, cercando di dare a Leith, nel modo più discreto possibile, un sostegno al quale potesse appoggiarsi. In pochi minuti si era formata una grande calca di gente intorno a me e al furgone, che era finito con lo schiantarsi su un palo poco più lontano.
"Alexa!" Alzai gli occhi.
Reuel e Matt stavano volando sopra di me. Matt toccò la spalla dell'amico e gli indicò il furgone. Reuel annuì e volarono verso il veicolo prima che potessero aggiungere altro.
"Ti prego dimmi che stai bene!" La mia voce era un sussurro e il mio sguardo vuoto era rivolto verso il furgone distrutto.
"Potrei stare peggio." Disse Leith soffocando una risata amara.
Calde lacrime iniziarono a rigarmi le guance. Notandolo, Leith mi accarezzò una mano. Averlo lì affianco, ferito, senza poterlo neanche aiutare, era una sofferenza.
Vidi Reuel tirare fuori dal posto del conducente un corpo e pochi istanti dipo, Matt accorse per domandare qualcosa. Reuel scosse la testa e abbassò lo sguardo. Per un attimo, credetti di averlo visto piangere. Matt si occupò del corpo mentre Reuel venne verso di noi.
"Era Malec. È morto. Si è ucciso con dell'arsenico."
Leith emise un mugugno strozzato e cercò di sollevarsi per mettersi a sedere.
"Conveniente, così non rischiano nessun divulgamento di informazioni." Aggiunse poi, provando ad alzarsi in piedi.
Tuttavia l'ala spezzata gli impediva qualsiasi movimento. Reuel gli tese una mano ma Leith la allontanò freddamente, rifiutandola.
"Ti prego." Il mio sguardo era ancora fisso sul furgone.
"Fatti aiutare."
Avevo la voce spezzata e le lacrime continuavano a scendere. Leith, al mio fianco, mi accarezzò il viso e si sporse verso di me baciandomi. Fu un bacio gentile, lungo e delicato. Saltai un battito.
Quando Leith riaprì gli occhi li vidi scolorire dall'ametista al blu oltremare. Mi diede un altro bacio. Più breve. Troppo. Poi si girò e prese la mano di Reuel.
"Vai via in fretta da qui. È meglio che non ti faccia riconoscere mentre c'è anche la tua sagoma in giro." Annuii e mi alzai in piedi.
A testa bassa mi feci largo tra la folla di persone che a tratti mi chiedeva come stavo, ignorandole.
Per tutto il percorso dall'incidente fino a casa, Reuel e Leith, stretto dalle braccia dell'angelo, mi seguirono in volo. In un'altra situazione quella scena sarebbe stata anche comica. Per tutto il tempo il mio cuore mi rimbombava in testa, impazzito.
Quando arrivai davanti la porta di casa, Leith non fece neanche in tempo ad aprirla che gli corsi incontro, abbracciandolo. Ma rapidamente mi incupii di nuovo, concentrando tutta la mia attenzione sull'ala spezzata. Leith aveva ancora le ali spiegate e occupavano metà stanza. L'ala sinistra però, era piegata verso l'esterno in modo orribile. Mi avvicinai un po' di più sollevando le dita, ma mi fermai e guardai Leith. I suoi occhi erano illuminati da una strana luce. Annuì capendo le mie intenzioni. Lentamente, e il più delicatamente possibile, avvicinai le dita alla sua ala, sfiorandola.
"Voglio che sia tu a guarirla." Disse calmo.
Allontanai immediatamente la mano.
"No! Non se ne parla!" Leith mi prese la mano, stringendola.
"Ti prego." I suoi occhi erano fissi nei miei.
"Non so neanche cosa devo fare!"
"Ti guiderò io." Non ero per niente convinta ma Leith aveva sopportato tanto per me.
Questo era il minimo, e glielo dovevo.
Un rumore raccapricciante di ossa spezzate invase la stanza e sul volto di Leith si dipinse una smorfia di dolore. Rabbrividii.
"S-scusa." Avevo le mani tremanti e mi morsi il labbro per cercare di trattenere le lacrime.
"Tranquilla. Lo stai facendo nel modo giusto." Disse Leith cercando di calmarmi.
Mossi un altro po' l'ala e poi Leith mi fermò.
"È a posto così." Disse sbattendola lentamente e provocando un lieve venticello.
"Guarirà entro domani."
Abbassai lo sguardo. In un qualche modo mi sentivo in colpa. Leith mi accarezzò la guancia con l'ala sana. Come per abbandonarmi totalmente a quel tocco, passai la mano tra le piume. Una, due, tre volte. Leith mi tirò a se.
"Ancora." Disse.
I suoi occhi erano accesi di un viola intenso. Quella parola mi procurò una carica di adrenalina. Non mi fermai. Avvicinai di più le dita alle scapole, lasciando che le morbide piume mi solleticassero il palmo della mano. Audace, proseguii fino a sfiorare l'attaccatura dell'ala. Sentii Leith rabbrividire sotto il mio tocco. Ci guardammo intensamente, poi, reciprocamente, spostammo lo sguardo sulle labbra dell'altro. Le sue, leggermente schiuse, erano rosee e carnose. Entrambi, contemporaneamente, come calamite, ci legammo in un bacio. Inizialmente erano brevi e delicati, poi sempre più lunghi e intensi. Presto avemmo il fiato corto. In un battito di ciglia mi ritrovai con le spalle al muro. Le labbra di Leith mi morsero delicatamente il sigillo e io tremai sotto al suo tocco. Mise entrambe le mani sul mio bacino e le fece scivolare sulla mia pelle, sotto la maglia, salendo sempre di più. Sollevai le braccia e lasciai che Leith mi spogliasse. Provai a rimuovere anche la sua maglia, ma le ampie ali ancora spiegate me lo impedirono. Con un violento gesto, quasi rabbioso, Leith la afferrò dal colletto e ne strappò il tessuto, buttandone i brandelli restanti sul pavimento. Ora che nulla ci separava, cinsi il suo collo con le mie braccia e avvolsi il suo bacino con le gambe. Leith mi strinse la schiena e senza rompere il bacio ci spostammo verso la camera. Mi lasciò ricadere sul letto, seguendomi con il suo corpo. Il nostro respiro era affannoso e la nostra pelle nuda, a contatto, bruciava. Leith si sollevò sulle braccia e mi guardò un'ultima volta per avere il mio consenso. In tutta risposta lasciai scivolare le mani sul suo petto nudo finché non raggiunsi il bottone dei jeans. Con un timido gesto li aprii. Mi sentivo andare a fuoco e non solo per il calore che entrambi emanavamo. In un gesto carico di vergogna, mi coprii il volto con le mani, ma Leith mi baciò entrambi i dorsi. Poi fu il turno delle labbra che facevano capolino tra i polsi. Lo sentii scendere sempre più giù: prima il collo, poi il petto, lo stomaco e l'ombelico, ma continuava a scendere pericolosamente, senza mostrare alcun segno di esitazione.
"Leith." Sollevò la testa sentendosi chiamare.
Proseguii senza guardarlo in faccia, troppo imbarazzata dalla situazione.
"Non ora, non questa volta, non in queste condizioni." Dissi facendo riferimento all'ala.
"Scusa."
Spostai per un attimo lo sguardo su di lui, poi tornai a guardare il soffitto. Nonostante l'attimo fu breve, riuscii a distinguere sul suo volto uno dei sorrisi più dolci che gli avessi mai visto fare.
"Non devi scusarti, e probabilmente hai ragione tu." Concluse baciandomi la fronte.
Si spostò, prese il lembo opposto delle coperte e mi ci avvolse dentro, poi si stese al mio fianco avvolgendomi tra e braccia. Non mi ero mai sentita così tanto al sicuro.
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