CAPITOLO 23

La mattina, la prima cosa che notai ancor prima di aprire gli occhi, fu il dolce odore di torta che serpeggiava nell’aria, fino a stuzzicare il mio naso, tanto da svegliarmi.
Mi stirai, distendendo tutti i muscoli, e facendo inevitabilmente arrotolare il pigiama su per la gamba. Finalmente aprii gli occhi e il mio sguardo si soffermò sull’anulare della mano sinistra che tenevo alzata sopra la mia testa. Rivissi ogni momento della notte precedente e con un sorriso mi avvicinai al volto l’anello, girando la mano per ammirarlo in ogni sua più piccola sfaccettatura. Improvvisamente una pietra bianca mi penzolò davanti agli occhi. Risalii con lo sguardo tutto il braccio finché non incrociai lo sguardo di Leith. Gli misi un finto muso, come se fossi arrabbiata perché aveva interrotto i miei pensieri, poi gli rivolsi uno dei miei più genuini sorrisi. Senza dire una parola Leith ricambiò il mio sorriso, allungando la mano verso il mio volto e posandomela sulla guancia. Il suo tocco mi provocò un piacevole tepore. Lentamente avvicinò il suo viso al mio e mi baciò con dolcezza. Fece per allontanarsi ma lo trattenni per il braccio, tirandolo nel letto, al mio fianco.
Iniziai a baciarlo con più passione, ma improvvisamente si staccò da me, facendomi sentire più fredda e vuota. L’unica cosa che ci legava erano i nostri sguardi. Il suo era rosso intenso, bloccato nel mio, mentre le pagliuzze dorate gli risplendevano nelle iridi. Mi diede un ultimo bacio sulla fronte e poi, corrugando le sopracciglia come se stesse soffrendo, si alzò.

“Preparati, torno fra qualche minuto.” Disse avvicinandosi alla finestra.

Lo guardai di sbieco.

“Il pranzo della vigilia, ricordi?”

Sbarrai gli occhi e, mentre io saltavo giù dal letto, Leith saltava giù dalla finestra, sorridendo, e scuotendo la testa per la mia goffaggine.

Per il pranzo della vigilia la mamma aveva avuto la brillante idea di organizzare una rimpatriata di famiglia, così io, la mamma, Leith, zia Beth, Harold, Damy e Samantha, ci eravamo ritrovati tutti e sette attorno al tavolo imbandito.

Gli adulti parlottavano tra di loro, dividendosi un terzo del tavolo, mentre il resto era occupato da noi ragazzi. Leith e Damy, se pure a lati opposti, si lanciavano occhiate d’odio al limite dell’assassinio.

“Spero che quella macchia di punch non si sia tolta dalla camicia, ti donava sai?”

Disse Damy a schiena dritta e sopracciglia inarcuate tanto da sembrare una persona completamente diversa da quella che avevo conosciuto.

“Si lo so, mi sta bene tutto, al contrario di te invece. Non credi sia arrivato il momento di toglierti quel vestito da strega?”

Leith aveva il naso arricciato come un segugio.

Diedi un calcio da sotto al tavolo a Leith, facendogli segno di tacere. Sapevo che ne andava di mezzo il suo orgoglio, ma anche non essere tra i protagonisti del sabotaggio del pranzo di vigilia gli avrebbe dato qualche punto in più, soprattutto con mia madre.
Infine riuscii a convincerlo e con uno sbruffo si concentrò sul piatto.

Tra i bisticci infantili e le chiacchiere degli adulti era risaltato l’insolito silenzio di Samantha, che se ne stava mogia, con la testa china, retta da un braccio. Le appoggiai una mano sulla spalla per cercare di confortarla.

“Tutto bene?”

Scosse leggermente la testa.

“È un brutto periodo lì su.”

Fece riferimento al Regno Celeste, stando ben attenta a non farsi sentire dagli adulti.

“Cosa succede?”

Chiesi curiosa, ma anche preoccupata, destando l’attenzione di Leith.

“Non ti immischiare in altre faccende.”

Mi rimproverò Leith apprensivo.

“Sono sufficienti già quelle che hai.”

Non sapevo di preciso a cosa in particolare si stesse riferendo, ma sicuramente, lui si sentiva parte di quelle faccende.

“Bastardo.” Damy sputò inaspettatamente quelle parole con così tanto odio che perfino Leith rimase a bocca aperta. I due si fissarono con intensità, come se stessero comunicando attraverso il loro sguardo.

“Damy! Che comportamento è mai questo?”

Harold alzò la voce indignato.

“Chiedi subito scusa!”

La furia improvvisa di Damy aumentò, a tal punto che si ritrovò a rispondere al suo stesso padre.

“Non sono una bambina. So quello che dico e che faccio, e ho le mie buoni ragioni!”

Detto ciò si alzò dal tavolo, strusciando rumorosamente la sedia, e a passo svelto uscì di casa, sbattendo la porta alle sue spalle. Con mio stupore anche Leith si alzò e, dopo essersi scusato, prese a inseguire Damy. Io e Samantha ci guardammo stupefatte e, senza dire una parola, ci alzammo contemporaneamente, affannandoci per raggiungere i due, e lasciando gli adulti perplessi.

Raggiunto uno svincolo io e Samantha ci separammo, nella speranza di trovarli prima che potesse succedere qualcosa. Camminavo a passo svelto quando riconobbi la voce di Leith provenire da un vicolo. Damy era con le spalle al muro, mentre Leith la teneva ferma con forza, spingendo il braccio sul suo petto.

“Non permetterti di fiatare.”

La minacciava.

“Devi dirglielo!”

Damy non si lasciava intimorire.

“Tu sta’ zitta e pensa agli affari tuoi!”

La voce di Leith iniziava a farsi più roca. Anche se mi dava le spalle potevo immaginare i suoi occhi fiammeggianti che, uniti alla voce, erano segno dell’imminente trasformazione.

“Credi di proteggerla? La stai solo condannando!”

Damy era ostinata e guardava Leith negli occhi, senza indugiare un attimo. Improvvisamente però, il suo sguardo si spostò su di me e Leith, notandolo, si girò a guardarmi. A quel punto rimanere nascosta a fissare in silenzio non aveva più senso.

“Che succede?”

Dissi avanzando qualche passo.

“Alexa io sto solo cercando di proteggerti!”

La voce di Leith era tornata normale, ma gli occhi rimanevano cremisi.

“Ti credo, ma mi piacerebbe sapere da cosa, per poi discuterne insieme.”

Cercavo di rimanere razionale, mentre continuavo ad avanzare.

“Lasciala andare.”

Dissi allungando una mano verso il braccio di Leith, che teneva ancora Damy pressata al muro.

“Non mi toccare!”

La voce di Leith era tornata roca.

“Non voglio farti del male!”

Ora si era allontanato, liberando Damy, e appiattendosi alla parete alle sue spalle.

“Leith calmati. Non hai motivo di essere così preoccupato. Non mi farai del male e non sono neanche arrabbiata, puoi stare tranquillo.”

Vedevo il suo sguardo saettare sul mio corpo, come se cercasse segni per vedere se stessi mentendo.

“Ti aspetto qui dietro.”

Dissi indicando l’inizio del vicolo mentre facevo segno a Damy di seguirmi.

Con il tempo avevo capito che il miglior modo per far calmare Leith era dargli i suoi spazi. Se la mia presenza lo spaventava perché temeva di ferirmi, l’alternativa più plausibile era dargli spazio e tempo.

“Damy raggiungi Samantha e tornate a casa, dite che io e Leith vi raggiungeremo tra poco.”

Damy mi guardò perplessa, ma infine fece come le avevo detto e si allontanò.
  

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