13. nothing lasts forever
Avevo fatto domanda per lo stage di danza più prestigioso d'Inghilterra e ancora stentavo a credere che mi avessero accettata. Durante il colloquio motivazionale, parlai di quanto mi sentissi libera quando la musica muoveva i miei muscoli e cullava i pensieri fino ad addormentarli del tutto. Avevo bisogno di ritrovare quella parte di me, quella spensieratezza che mi avrebbe aiutata a battezzare con positività un nuovo capitolo della mia vita: il college.
Sullo schermo del computer fissavo un "Siamo lieti di comunicarle" con gli occhi lucidi e le dita affusolate di Ashton ad accarezzarmi la schiena.
Ultimamente ci eravamo ritrovati letteralmente sommersi da un numero spropositato di gioie... come potevamo lamentarci? In realtà, era da tempo che credevo di essere immune alla tristezza: i problemi non erano talmente pesanti da schiacciarmi, le difficoltà non troppo faticose da abbattermi. Stavo terribilmente bene, ma niente dura per sempre.
Il cellulare di Ashton vibrò per un istante. Lesse il messaggio e subito imprecò, poi si voltò verso di me ancora alienata nell'immaginarmi l'estate che avrei trascorso dopo il diploma. "Calum ha rotto con Ella" comunicò solenne "l'ha tradita." Sgranai gli occhi sbigottita: non era da lui mandare a monte una relazione che, fino a prova contraria, stava andando a gonfie vele. Calum amava quel palo di scopa dai ricci rossi, anche se nessuno ne capiva il motivo. Mio fratello controllava ripetutamente il cellulare. Il suo sguardo si era rabbuiato all'istante sin dal primo messaggio che aveva ricevuto e la situazione non migliorava: "Hanno litigato ancora e lui si è praticamente tuffato tra le braccia di una tipa a caso. Se n'è subito pentito e ha confessato immediatamente. Stando alle mie previsioni, adesso sarà ubriaco marcio" concluse puntando i suoi occhi nei miei. Erano uguali a quelli di papà: talmente espressivi che sapevano comunicare chiaramente. "Dobbiamo fare qualcosa" affermai scommettendo che fosse ciò a cui stava pensando anche Ashton.
Io e i ragazzi suonammo più volte al campanello della casa in cui Calum viveva da solo. Michael ipotizzò che stesse dormendo e infatti, dopo qualche insistenza, un paio di occhi marroni ancora gonfi e arrossati si palesarono a noi. L'hungover era evidente, ma nel riconoscerci, il brunetto non riuscì a trattenere uno dei suoi sorrisi più sinceri e ci accolse nel suo salotto stringendo ciascuno in un abbraccio riconoscente. Non discutemmo dell'accaduto né chiarimmo questioni irrisolte, ma tentammo di simulare una delle nostre abitudinarie serate in famiglia, con il fast food che faceva da rimedio persino ai mali del vaso di Pandora.
Mi si sciolse il cuore nel vedere Calum sorridere e sghignazzare alle battute di mio fratello, divorare il suo cheeseburger come un bambino del Terzo Mondo. Sapevo che nulla di tutto ciò fosse naturale per lui: gli leggevo la nostalgia negli occhi, il senso di colpa lo assillava; magari anche lui percepiva quel doloroso foro nello stomaco, ma pregai di sbagliarmi.
"Era da tanto che non trascorrevamo un weekend tra noi" esternai saltando addosso ad un Luke quasi assopito sulla poltrona. "Come i vecchi tempi" ironizzò lui ricordandosi di quando mi teneva sulle sue ginocchia da bambina. Mi voltai verso di lui e ridacchiai teneramente per ringraziarlo ancora una volta di non aver scelto di trasferirsi a New York. Cosa o quanto sarebbe cambiato se invece fosse successo? Tutto, molto. Le conseguenze dell'Effetto Farfalla sarebbero state ingiuste con noi, disastrose. "Noi siamo una famiglia, questa è la normalità" argomentò mio fratello per giustificare l'impareggiabilità del nostro legame. "Grazie, ragazzi" intervenne Calum con un filo di voce "non avrei potuto contare su nessun altro." Michael, che fino a quel momento aveva stranamente spiccicato poche parole, sollevò di poco l'angolo delle labbra e gli scompigliò dolcemente i capelli scuri.
Era un momento di altissima intensità emotiva, in cui pensai a come fosse facile per me trovare gioia nei piccoli gesti. La più grande fortuna della mia vita me l'ero trascinata sin dai primi passi e l'avevo riconosciuta nella presenza di quattro ragazzi; tuttavia, sapevo di essere fragile e mi interrogavo su come sarei sopravvissuta un'intera estate senza di loro.
La notte era calata più lentamente a Brighton. In lontananza, auto cariche di giovani schiamazzanti ed esagitati si dirigevano in vari punti della città assetati di divertimento. Noi li ascoltavamo sfrecciare dal giardino di casa Hood, mentre attorno al falò, infilzavamo marshmallow e cantavamo distrattamente insieme alla chitarra di Michael. Era un venerdì sera diverso dal solito, ma lo avevamo trasformato in un tributo ai campeggi improvvisati di qualche anno fa.
Alle tre di notte, decisi di condividere la mia tradizione con tutti loro; ultimamente avevo capito che più tempo passavo in solitudine, più la solitudine si trasformava in un'inspiegabile malinconia. La mia birra delle tre non era più solo mia e spartirla con gli altri mi rincuorava. Ashton mi mandò occhiate riconoscenti per una buona mezz'oretta, convinto di essere uno dei pochi eletti a cui avessi permesso di partecipare al mio momento birra-meditazione; Michael invece, gongolava e metteva a dura prova il mio tentativo di mantenere una certo contegno.
"Rimanete qui sta' notte?" propose Calum dopo aver mandato giù un lungo sorso di birra, l'ennesimo della sua giornata. "Io ci sto" risposi "ma torno a casa presto per studiare".
"Non ti sveglierai mai" mi ammonì Ashton emulando la serietà di un genitore. "Che ti frega? Studi pomeriggio!" affermò Luke in tono ovvio. "Non mi conviene seguire i consigli di uno che non fa un cavolo dalla mattina alla sera" lo punzecchiai, determinata a non darla vinta a mio fratello. "Io almeno l'ho finita la scuola" si giustificò "è Michael quello che non fa un cavolo" lo accusò facendo ridere tutti per l'esilarante realtà dei fatti. "In realtà, il mio attuale impegno non lo definirei esattamente non fare un cavolo" contestò lui abbassando lo sguardo sulla sua chitarra. "E come lo definiresti?" Lo sfidai. Avevo previsto una delle sue tipiche battute a metà tra il vago e l'ironico, quelle di cui nessuno capiva se fossero reali o meno: "sto battendo un guinness world record", "sto studiando per il prossimo esame", "mi sono iscritto ad un corso di cucina". Invece, quella volta ebbi la sensazione di sbagliarmi e che fossi la sola a non aspettarmi quella risposta. I suoi occhi verdi schivavano i miei, il fuoco scoppiettava e la tensione cresceva. Il motivo di quel timore inspiegabile e improvviso lo capii a distanza di anni, quando cessai di essere l'ingenua ragazzina che tutti chiamavano pulce.
"Io e Luke siamo alle prese con una sorta di album" rivelò finalmente assumendo un sorso di birra. Il tono spento svelava l'ombra di insicurezza che ormai da tempo faceva parte dei suoi tratti distintivi: temeva di poter essere la causa di un eventuale insuccesso.
"Quando pensavate di dirmelo? È una notizia assurda!" esclamai. "Sapete piuttosto qual è una notizia assurda?" intervenne Ashton cambiando discorso "che Michael ha respinto Julie Dixon sabato sera!" Ottimo spunto per dare inizio ad una tipica e vivace chiacchierata tra ragazzi, ottima opportunità per rannicchiarmi in un metaforico angolo e riflettere su ciò che avevo appena sentito. La vita sentimentale di Michael Clifford non era mai stata il punto focale della mia curiosità e continuava a non esserlo, specialmente dopo quel fatidico sabato sera. La mia vita stava proseguendo a gonfie vele verso quel tanto atteso diploma e quella tanto sognata estate, e non mi occorreva minimamente sapere in quale letto lui fosse "accidentalmente" caduto o che tipo di essere umano avesse rimorchiato. Plot twist: la notizia non mi lasciò affatto indifferente... Fu così che, con una sofferta faccia tosta, mi misi a scrutare insistentemente il suo sguardo distratto, alla ricerca di un senso da dare alle sue parole, alle sue azioni. I nostri occhi si incontrarono per una frazione di secondo tra le derisioni scherzose dei ragazzi contro il suo apparentemente inspiegabile comportamento. Michael mantenne l'attenzione su di me per un lasso di tempo sorprendentemente esteso, e per una volta, decifrai una timida soddisfazione sul volto.
"Groupies a parte" recitò Luke ponendo fine a quel circo di scimmie sghignazzanti "diventati famosi, saremo costretti a respingere più ragazze di quanto possiate immaginare..."
"E perché mai?" si interrogò giustamente Ashton. "Perché avremo troppi impegni, idiota! Saremo continuamente in viaggio a dare concerti e a scrivere musica!" Continuò il biondino in tono ovvio. Gli luccicavano gli occhi per l'intensità di quel sogno, per la passione che metteva nel progettare un futuro a forma di band. "E tu sappi che dovrai saltare le lezioni per seguirci in tour!" concluse rivolgendosi a me. Sollevò l'indice come un avvertimento, ma aspettò che acconsentissi prima di abbassarlo e sorridere dolcemente. Saltare le lezioni non mi avrebbe dispiaciuto in fin dei conti, ché per loro avrei saltato anche incontro a un treno.
La mattina, quando la sveglia suonò, io avevo già aperto gli occhi da un pezzo e osservavo il viso angelico di Ashton addormentato sul cuscino. Avrei voluto sbattergli la vittoria in faccia, fargli notare che, al contrario delle sue previsioni, ero riuscita ad alzarmi e mi sarei presto ritrovata con il naso sui libri... Nonostante ciò, decisi di lasciarlo tranquillo tra le braccia di Morfeo e, silenziosamente, mi diressi al piano di sotto. Erano le nove e tutti dormivano, tutti tranne il più improbabile, tutti tranne Michael. Seduto attorno al tavolo della cucina, sgraffignava dei chicken nuggets a petto nudo. La pelle estremamente pallida spiccava tra le mattonelle nere della parete alle sue spalle, i capelli invece si mimetizzavano con esse. Mi diede il suo strambo buongiorno tra un morso e l'altro, con un occhiolino e un piccolo sorriso. Decisi di sedermi accanto a lui e, dopo aver appoggiato il mento sul palmo della mano, iniziai a fissarlo come fosse un'opera d'arte. Il mio sguardo pungeva su di lui come uno spillo infilato male in una giacca da portare in sartoria; non passava inosservato e quello era esattamente il mio intento.
"Non fissarmi mentre mangio" protestò con la bocca piena "mi metti in soggezione".
"É questo il mio obbiettivo" replicai mascherando un'impertinenza mattutina estremamente rara. Temporeggiavo; esaminavo il contesto, elaboravo i suoi gesti. Appurai che fosse piuttosto imbarazzato, forse dal presagio di dover affrontare un discorso che avesse come co-protagoniste me e Julie Dixon insieme; ed effettivamente, la mia curiosità necessitava delle delucidazioni in merito.
"Sai che ti dico? Sono pieno" affermò dopo aver ingurgitato l'ultimo boccone. Si spolverò le mani all'interno del contenitore di plastica e si mise a braccia conserte sbuffando fintamente spazientito. Tra noi due danzava un'armonia unica, una strana serenità: ci assomigliavamo più di quanto credessimo e, a momenti, sembrava che il nostro legame superasse di gran lunga quello che da una vita avevo avuto con mio fratello. La fragilità di Michael meritava la protezione di un muro di cinta e la sua spontaneità di essere liberata nell'aria come bolle di sapone. Quella mattina, guardando i suoi occhi da bambino, decisi che non avrei mai più voluto sapere i perché delle sue azioni.
"Mi hanno presa alla Summer Dance School di Dublino" dissi. Lui mi scrutò per un attimo, poi abbassò la testa e ridacchiò. "Sapevo che ti avrebbero presa" bofonchiò. Nemmeno io sapevo che risposta aspettarmi, non pretendevo una festa in mio onore, ma ne fui delusa: quella stupida frase mi rimbombò nella testa minacciando di esplodere come una granata. Il timore che dopo la sera della festa di Julie qualcosa potesse essere cambiato, mi stava divorando le budella. Eppure, quelle parole liberate alle stelle notturne di Brighton erano inequivocabili: "promettimi che non cambierà nulla".
"Non ti vedo entusiasta" commentai cercando di mantenere un tono calmo e indifferente. Attirai la sua attenzione con un'efficacia che non avevo previsto. Mi afferrò frettolosamente la mano e iniziò a scuotere la testa facendo ribellare la sua chioma corvina. "Sono felicissimo per te, pulce, tu ti meriti di tornare a ballare... Ma starai via per tutta l'estate, cazzo... Come farò senza di te?" Pronunciò le ultime parole con una tristezza tale che mi spezzò il cuore; io ero sempre stata la sua ancora e nessuna corrente ci aveva mai separati per un periodo talmente lungo. Avevo paura, ma in cuor mio sapevo di star solamente facendo di tutta l'erba un fascio. "Anche se non mi vedi, io sarò sempre con te" sussurrai.
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