THE BIG CHANCE (PARTE QUATTRO)
1974, agosto.
Jennifer era seduta davanti al tavolo della cucina, intenta a disegnare; non c'era nessuno con lei: Ginger, Pamela e Keith erano usciti per fare un piccolo giro, mentre Demi era con David e Virginia.
Gli occhi verdi della ragazza di ventuno anni erano concentrati sul ritratto che stava cercando di realizzare da più di un'ora, ormai, e che lentamente stava iniziando a prendere forma, passando dall'essere una figura informe all'essere un volto maschile magro, dagli zigomi sporgenti e dalle labbra carnose, incorniciato da lunghi ed ondulati capelli scuri.
Disegnare l'aiutava a rilassarsi e distendere i nervi, soprattutto ora che stava vivendo un incubo ad occhi aperti.
Jennifer non riusciva ad accettare l'idea che ben presto sarebbe stata costretta a dire addio alla sua amata sorella maggiore, alla sua guida, alla persona che fino a quel momento l'aveva protetta ed a volte l'aveva trattata con eccessiva severità solo ed esclusivamente per il suo bene.
Disegnare l'aiutava ad evadere almeno per un po' da quella orribile quotidianità, ma era una parentesi che durava poco, solo per una manciata di ore: il dolore e la disperazione erano sempre dietro l'angolo, pronti ad aggredirla alle spalle, quando meno se lo aspettava, riducendola ad una figura raggomitolata che piangeva e singhiozzava; tante volte, nel cuore della notte, Pamela era stata costretta a correre nella sua camera, stringerla in un abbraccio e rassicurarla, trasmettendole la forza che lei stessa faticava ad avere.
La giovane sollevò il viso dal foglio sentendo il campanello suonare e si alzò dalla sedia, lasciando momentaneamente da parte il ritratto che stava finendo (e che avrebbe appeso in camera sua insieme a tutti gli altri), la rivista da cui lo stava copiando, si avvicinò al citofono e prese in mano la cornetta nera.
"Sì? Chi è?" domandò, dal momento che non era prevista alcuna visita per quel giorno.
"Signora Anderson?"
"No, al momento non c'è, sono la figlia"
"Jennifer?"
"Sì... Sì, sono io... Scusi, ma può dirmi chi è?"
"Sono Roger... Roger Waters. Posso entrare o disturbo?".
Jennifer chiuse gli occhi e prese un profondo respiro esasperato, perché già sapeva chi c'era in realtà dall'altra parte del citofono, perché Danny le aveva già fatto un brutto scherzo simile un paio di anni prima: una sera le aveva telefonato fingendosi Roger e lei, da sciocca qual'era, in un primo momento ci era cascata appieno ed aveva iniziato a strillare e saltellare come una pazza; Danny ci aveva poi riprovato diverse volte, ma senza alcun successo.
Ora, evidentemente, il suo migliore amico pensava di rasserenarle l'umore con quello stupido scherzo che non la divertiva più da tempo, e si sbagliava di grosso.
"Danny" disse a denti stretti "sei proprio un grandissimo coglione, lo sai? Non è divertente, non è affatto divertente, soprattutto visto quello che sta succedendo. Stai facendo una cosa di pessimo gusto, completamente fuori luogo"
"Cosa? No, no, no, io non conosco nessun Danny! Ascolta, sono davvero Roger!"
"Ohh, certo, certo, ed io sono la principessa sul pisello... Daniel, avanti, smettila con questa farsa perché adesso stai proprio esagerando e continui a fare la figura del coglione e deficiente, d'accordo? E comunque, posso darti un consiglio? Esercitati di più la prossima volta, perché la tua imitazione della voce di Roger fa proprio schifo" la giovane scostò la tendina della finestra posizionata sopra il lavandino della cucina, scuotendo la testa, sicura di vedere il suo migliore amico davanti al cancelletto d'ingresso chiuso; sgranò gli occhi e lasciò andare la cornetta quando le sue iridi chiare si posarono sulla figura alta e magra di un ragazzo dai lunghi capelli castani, che indossava una maglietta nera a maniche corte ed un paio di jeans scuri a zampa d'elefante.
E quando il ragazzo alto e magrissimo sollevò la mano destra in cenno di saluto, lasciò ricadere la tendina e si coprì la bocca con entrambe le mani per soffocare un lungo urlo.
La persona davanti al cancelletto chiuso non era Danny che aveva deciso di giocarle uno scherzo di pessimo gusto, ma bensì Roger.
Era davvero Roger.
Aveva appena parlato con lui e gli aveva dato per ben due volte del 'coglione' ed una volta del 'deficiente'.
Aveva appena parlato con il ragazzo che desiderava di incontrare da otto anni, e le prime parole che gli aveva rivolto erano state degli insulti.
Aveva appena fatto la figura di merda più grande di tutta la sua vita.
Tremando come una foglia, spingendo la porta per ben due volte anziché tirarla e rischiando di inciampare sullo scalino del portico, Jennifer uscì di casa con il volto letteralmente in fiamme ed il fiato corto, ritrovandosi ad aprire il cancelletto, dopo qualche tentativo andato a vuoto perché non ricordava più come si apriva quel dannato cancelletto, con mani che tremavano vistosamente.
"Scusami, scusami tantissimo... Io... Io non volevo darti del coglione e del deficiente... Mi... Mi dispiace davvero tanto, ma... Credevo... Credevo fosse un'altra persona... Io..." prese a balbettare la giovane, nel disperato tentativo di riconnettere il cervello con la lingua, chiedendosi perché la sua voce era diventata fina e stridula come lo squittio di un topolino "scusami, scusami davvero, mi dispiace tantissimo. Non... Non immagini neppure quanto... Vieni, entra, ti faccio strada..".
Jennifer voltò le spalle a Roger, prese un profondo respiro nel vano tentativo di calmarsi, e lo guidò dentro casa, in cucina, dicendogli che poteva tranquillamente accomodarsi.
'Stai calma, Jen, stai calma e cerca di mantenere il controllo. Non puoi perdere la testa, non puoi fare di nuovo una figura di merda colossale come quella di poco prima. Questa è la tua grande occasione. Finalmente la tua grande occasione si è presentata e tu non puoi rovinarla comportandoti come una stupida ragazzina infantile. Non hai più quattordici anni. Non sei più la ragazzina pronta a cascare ad uno scherzo telefonico. Sei una donna di ventuno anni. Sei abbastanza grande da comportarti da persona adulta e matura, e non come una groupie esaltata' si ripeté mentalmente, nascondendo le mani dietro la schiena ed asciugandole di nascosto sul tessuto della maglietta perché erano diventate appiccicose a causa del sudore.
Ma era più facile a dirsi che a farsi.
Come poteva mantenere la calma e comportarsi normalmente quando davanti a lei, a pochi passi di distanza, c'era la persona che per anni aveva desiderato incontrare, sognato, visto solo su fotografie e riviste, e per cui continuava a sospirare di nascosto durante la notte?
Come poteva mantenere la calma e comportarsi normalmente quando davanti ai suoi occhi, in carne ed ossa, reale quanto la stanza in cui si trovavano, c'era Roger Waters?
Jennifer lo osservò in silenzio: nell'ultimo anno, Roger si era lasciato crescere i capelli senza preoccuparsi di accorciarli; ora gli arrivavano fino a metà petto, ed erano appena qualche centimetro più corti di quelli di David.
Dio... Con i capelli così lunghi era ancora più affascinante.
"Scusami davvero tanto" ripeté per l'ennesima volta la giovane, come un disco rotto "non era... Non era assolutamente mia intenzione offenderti... Io... Mi sento... Mi sento una completa idiota"
"Jennifer, tranquilla, non è accaduto nulla. Non sono offeso" rispose lui, con un sorriso, per tranquillizzarla "è successo anche a me un paio di volte di scambiare la voce di una persona con quella di un'altra. Non è un crimine da condannare con l'ergastolo".
Jen si ritrovò a trattenere il respiro.
Sapeva il suo nome.
Mio dio, Roger Waters si era ricordato il suo nome.
"Sì, in effetti è una cosa che può capitare facilmente, ma è stato... Terribilmente imbarazzante... Mi sento ancora terribilmente imbarazzata, io..."
"Allora facciamo finta che non sia accaduto nulla e ricominciamo da capo, d'accordo? Non c'è stato alcun malinteso al citofono, tu sei uscita subito ad aprirmi la porta e mi hai fatto entrare in cucina, d'accordo?"
"D'accordo"
"Ti senti meglio ora?".
Jennifer annuì con vigore.
In realtà, si sentiva sempre più vicina all'avere un collasso per la troppa emozione e per la figuraccia a cui continuava a ripensare: aveva detto a Roger che era un doppio coglione, un deficiente e che la sua voce era orrenda.
Una tripla figura di merda in un colpo solo.
Poteva considerarsi una campionessa olimpionica.
"Bene... Allora... Ginger è in casa? Sono venuto qui perché avrei bisogno di parlarle"
"No, non c'è. Al momento è uscita con mommi e Keith, ma dovrebbero essere di ritorno nel giro di poco tempo... Ma puoi tranquillamente aspettarla qui e se vuoi... Se vuoi, nel frattempo, posso prepararti una tazza di the! Stavo giusto per... Stavo giusto per mettere dell'acqua a scaldare nel bollitore"
"Accetto la tua proposta molto volentieri".
La ragazza riuscì a trattenere a stento un gesto d'esultanza: aveva la possibilità di rimediare alla tripla figuraccia che aveva fatto, e non se la sarebbe lasciata scappare tanto facilmente sbagliando ancora; doveva solo riacquistare il controllo del proprio corpo, del proprio cervello, della propria lingua e ricominciare a comportarsi normalmente... Altrimenti che idea si sarebbe fatto Roger?
'Smettila di fare la scema, Jen, e sii ragionevole. Fingi che Roger sia un tuo amico d'infanzia e comportati normalmente, come faresti in compagnia di Danny. Preparagli il the più buono che tu abbia mai fatto in tutta la tua vita e, per l'amor del cielo, dì qualcosa di sensato'.
"Allora ti preparo una bella tazza di the al gelsomino. Mommi ne ha presa una confezione nuova proprio ieri, e su una rivista ho letto, per puro caso, che è il tuo preferito" disse sforzandosi di parlare con un tono di voce tranquillo e distaccato, voltando a fatica le spalle a Waters, e frugando all'interno di una credenza per cercare la confezione di the al gelsomino; non era vero che Pamela aveva comprato quella confezione: l'aveva presa lei nella vana speranza che un giorno Roger capitasse per volere del Fato a casa sua.
Il bassista inarcò il sopracciglio destro e piegò le labbra in una strana smorfia nel tentativo di trattenere una risata.
"Non ho mai bevuto the al gelsomino in tutta la mia vita, ma se la stampa dice che è il mio preferito allora mi fido" commentò con una nota di sarcasmo nella voce; ma quando notò il panico più totale sul viso di Jennifer, che a quella notizia inaspettata si era girata di scatto facendo quasi cadere a terra il bollitore, si affrettò a minimizzare l'intera faccenda "però lo assaggio molto volentieri... Magari dopo aver bevuto quello preparato da te potrebbe diventare davvero il mio preferito, solo che io ancora non lo so"
"Già, sì, hai... Hai ragione" balbettò Jen, ritornando ad armeggiare con i fornelli, il bollitore, l'acqua, la bustina e la zuccheriera: la quarta figuraccia nel giro di pochi minuti era andata, e adesso sentiva sempre di più il panico crescere dentro di lei "e comunque questo dimostra appieno quanto siano poco affidabili i giornali, soprattutto quando si parla di gossip: da un lato inventano fatti che non corrispondo alla realtà, e dall'altro invadono fin troppo l'intimità di una persona quando si tratta di questioni molto delicate e personali... Per esempio... Per esempio come hanno fatto, e come continuano a fare, con Syd o... O anche con il tuo divorzio... Non che io abbia letto quella robaccia, forse mi è caduto l'occhio su un articolo o due, però so che ci sono andati giù abbastanza pesante e...".
Ma cosa diavolo stava dicendo?
Come le era saltato in mente di parlare di Syd e di nominare il divorzio da Judith proprio davanti a lui? A questo punto, già che c'era, poteva completare l'opera in bellezza dicendogli che gli dispiaceva per suo padre che non aveva mai fatto ritorno dalla guerra.
Così, poi, avrebbe raggiunto il massimo picco dell'umiliazione personale.
"... E ho messo due cucchiaini di zucchero nella tua tazza di the. Spero che almeno in questo la stampa ci abbia azzeccato"
"Più o meno. Io lo prendo sempre senza zucchero"
"Ohh".
Perfetto.
Tutto continuava ad andare di male in peggio.
E adesso? Adesso che altro le avrebbe fatto desiderare di essere assorbita dal pavimento e di sparire per sempre dalla faccia della Terra?
"Questo cos'è?".
Jennifer trovò la risposta alla domanda che si era appena posta mentalmente non appena si girò, con le due tazze contenenti the bollente in mano: quando aveva visto Roger dall'altra parte del cancelletto, si era precipitata fuori senza preoccuparsi di nascondere la rivista ed il disegno che stava realizzando, ed ora... Ora il bassista stava osservando un palese ritratto a matita di sé stesso, che doveva essere ancora aggiustato in diversi punti e rifinito nelle ombreggiature; la ragazza posò le due tazze di porcellana sopra il tavolo e, ignorando le guance in fiamme, scrollò le spalle e finse un'aria indifferente.
"Mi piace disegnare quando sono nervosa... Mi aiuta molto a rilassare i nervi... Ma lascialo perdere, è solo uno schizzo... Una bozza... Un soggetto maschile astratto" rispose agitando la mano destra, arrossendo ancora più intensamente.
Ma chi voleva prendere in giro? Era palese e chiaro come la luce del sole che quello era un ritratto di Roger.
E sulle labbra del bassista, infatti, si delineò un sorrisetto divertito.
"Un soggetto maschile astratto" ripeté senza mai smettere di sorridere, spostando gli occhi azzurri dal foglio al viso di Jennifer, facendole perdere un battito al cuore "sembra molto affascinante questo soggetto maschile astratto, anche se... Anche se ha dei lineamenti un po'... Un po' equini con questi zigomi sporgenti e questo viso così magro e lungo... Mi piacerebbe vederlo concluso questo ritratto".
Ecco, ora la stava pure prendendo in giro.
Grandioso.
Roger ripose il foglio da parte, prese in mano una tazza e mandò giù un lungo sorso di the caldo; Jen si augurò che almeno il the al gelsomino l'aiutasse ad uscire dalla orribile situazione in cui si era incastrata con le sue stesse mani, ma capì subito che le sue preghiere non sarebbero state esaudite quando vide Waters piegare le labbra in una smorfia di disgusto e mandare giù a fatica la bevanda.
"C'è qualcosa che non va?" domandò preoccupata, con voce tremante, per nulla sicura di voler sentire la risposta "non ti piace il the al gelsomino?"
"No, non è quello" mormorò lui, posando la tazza sopra il piattino coordinato "il the al gelsomino sembra essere buono. Il vero problema è un altro: credo tu abbia scambiato lo zucchero con il sale".
Jennifer spalancò gli occhi e la bocca incredula, si voltò a guardare la credenza e si rese conto che quello appoggiato vicino al fornello spento, ancora sprovvisto di tappo, non era il barattolo dello zucchero... Ma bensì quello del sale.
"Mamma, mamma, mamma!" esclamò Keith, tirando un lembo di stoffa della gonna di Ginger ed indicandole un paio di scaffali più avanti "mamma, posso andare laggiù a vedere le caramelle ed i cioccolatini? Per favore, mamma, per favore!"
"Va bene, tesoro, ma resta dove io e la nonna possiamo vederti e torna subito indietro quando ti chiamiamo, d'accordo?"
"D'accordo, mamma... Mamma, posso prendere qualcosa? Sono stato bravo e non mi sono mai lamentato! Per favore, posso prendere un dolcetto?"
"D'accordo, Keith, ma ad una condizione: o prendi una confezione di caramelle o una di cioccolatini, hai capito? Puoi scegliere solo una di queste due opzioni. Non voglio che mangi troppi dolci, altrimenti poi avrai i denti pieni di carie e sarò costretta a portarti dal dentista"
"Grazie mamma!" esclamò il bambino con uno sguardo ed un sorriso luminosi, affrettandosi a raggiungere la corsia dei dolciumi che aveva adocchiato nel momento stesso in un erano entrati nel grande magazzino e che aveva continuato a fissare con bramosia, finché non aveva trovato il coraggio di fare quella richiesta alla madre.
Ginger lo guardò allontanarsi con un sorriso sulle labbra.
Due mesi prima Keith aveva compiuto sei anni.
A settembre avrebbe iniziato ad andare a scuola.
A casa, piegata con cura e riposta in un cassetto dell'armadio, c'era già la sua prima uniforme scolastica.
Il sorriso sulle labbra della ragazza si spense, sostituito da una espressione malinconica: suo figlio stava per andare a scuola e forse non sarebbe stata a suo fianco; ed anche se da lì ad un mese la malattia si fosse dimostrata clemente con lei, permettendole di essere presente all'inizio del percorso scolastico del suo primogenito, in ogni caso non avrebbe assistito all'inizio di quello di Demi.
Non ci sarebbe stata ad aiutarli con i compiti, non ci sarebbe stata ad esultare con loro per i primi voti positivi ed a sgridarli per quelli negativi, e durante le recite scolastiche natalizie i suoi due bambini non l'avrebbero vista seduta in prima fila, ad agitare una mano con un sorriso a trentadue denti ed a scattare loro una valanga di foto: si sarebbe persa ogni cosa.
Il tutto per una stupida malattia che aveva deciso di presentarsi da un giorno all'altro all'inizio del suo ventiseiesimo anno di vita.
Ginger abbassò lo sguardo sul vestito che aveva in mano da ormai diversi minuti, e lo ripose al suo posto.
"Perché lo hai riappeso? Non vuoi provarlo? Credevo ti piacesse" disse Pamela, riprendendolo in mano, cercando di persuadere la figlia adottiva "perché non lo provi prima di scartarlo definitivamente? Avanti"
"Non mi va"
"Provare non costa nulla. Se non vuoi farlo per te, allora fallo per me" insistette la donna, allungando il vestito verso Ginger; lei lo prese in mano con un sospiro, entrò in un camerino libero ed uscì poco dopo con addosso il lungo abito rosa cenere, posizionandosi davanti ad uno specchio messo a disposizioni delle clienti "Ginger, questo vestito è semplicemente meraviglioso e ti sta d'incanto".
Le labbra della ragazza si strinsero in una pallida linea sottile.
Sì, il vestito era meraviglioso, con quella gonna lunga che scendeva morbida, la cintura in vita e le spalline sottili... Ma no, non le stava affatto d'incanto.
Rendeva solo più evidente il decadimento fisico a cui stava andando incontro giorno dopo giorno.
Da quando era stata dimessa dall'ospedale, Ginger era vistosamente dimagrita: i suoi fianchi, le braccia e le gambe si erano fatti più sottili, ed il rosa acceso della pelle si era trasformato nel pallore grigiastro tipico di chi covava dentro di sé qualcosa che non andava; anche il suo viso tondo e paffuto, che un tempo era il ritratto della salute, era diventato un ovale bianco, scavato e smunto.
Sempre più spesso, la giovane era costretta a fare ricordo a quantità sempre più consistenti di trucco per nascondere l'avanzamento progressivo della malattia che la stava divorando dall'interno, ma ad ogni giorno che passava, diventava sempre più difficile nascondere i segni ai suoi occhi, a quelli della sua famiglia ed a quelli dei suoi bambini.
Demi era ancora troppo piccolo per capire appieno, ma Keith era ormai grande abbastanza per rendersi conto che c'era qualcosa che non andava; Ginger era sicura che il suo primogenito non le avesse ancora chiesto nulla sul suo lungo ricovero ospedaliero e sul suo aspetto malsano per paura della risposta che avrebbe ricevuto, e non perché non si fosse accorto di nulla.
Anche i suoi capelli non erano più gli stessi: la folta e lunga chioma fiammeggiante di un tempo si era spenta ed era diventata più fragile, talmente fragile che a volte, quando si faceva la doccia, tra le mani della ragazza restavano delle piccole matasse rosse.
Quell'aspetto della malattia aveva portato Ginger a prendere una drastica decisione, ed all'ennesima rinuncia: un giorno di marzo, con la primavera alle porte, aveva impugnato un paio di forbici ed aveva detto addio per sempre ai suoi lunghi ed amati capelli fiammeggianti, che le avevano valso il soprannome che si portava appresso da quando aveva cinque anni.
Ora, le sfioravano appena le spalle.
La giovane distolse lo sguardo dal proprio riflesso allo specchio e si girò verso la madre adottiva, seduta su una poltroncina alle sue spalle.
"Non ha alcun senso spendere soldi per questo vestito. Non avrei alcuna occasione per indossarlo e finirebbe per restare dentro l'armadio con ancora l'etichetta incollata"
"Tesoro, non dire così"
"Perché? Sto solo dicendo la verità. Per quel che sappiamo, potrei andarmene in qualunque momento"
"No, non ti permetto di dire questo" Pamela si alzò dalla poltroncina, raggiunse la figlia adottiva maggiore e le strinse le mani "Ginger, non devi assolutamente dire così, non voglio mai più sentirti pronunciare parole simili. Non possiamo lasciarci andare alla disperazione in questo modo, dobbiamo avere speranza"
"Speranza?" le labbra della rossa s'incresparono in un sorriso sarcastico "che speranza posso avere, mommi, con quello che i medici hanno detto? Sono stati molto chiari a riguardo: non posso fare altro che godermi il tempo che mi rimane e sperare che sia il più lungo possibile"
"No, non è così che dovresti ragionare. Io non... Io non voglio perdere la speranza, non voglio perderla finché non sarà troppo tardi... Ogni giorno c'è una nuova scoperta, perché... Perché non può accadere che riescano a trovare la cura alla tua malattia? È già successo in passato. A volte accadono miracoli simili, perché non dovrebbe andare così anche con te?"
"Mommi..."
"Hai ventisei anni, Ginger" continuò Pam, con voce incrinata, rafforzando la presa sulle mani della giovane "hai appena ventisei anni ed una vita davanti a te da ricostruire. Non puoi... Non puoi andartene così presto, non ci puoi abbandonare ad appena ventisei anni, Ginger! È troppo presto, sarebbe troppo presto per chiunque! Come faranno Keith e Demi senza di te?"
"Di loro non mi preoccupo perché so che saranno in ottime mani: Demi ha suo padre e la sua nuova compagna, mentre Keith avrà te e Jennifer"
"Ma loro hanno bisogno della loro mamma, Ginger!".
La ragazza socchiuse le labbra per rispondere, ma venne bloccata dall'arrivo improvviso di Keith che ritornò, tutto trafelato, dal reparto dolciumi portando con sé una confezione di cioccolatini ed una di caramelle gommose e colorate, trasgredendo all'ordine ricevuto in precedenza.
"Mamma, mamma, mamma! Lo so che avevi detto che potevo scegliere solo una cosa, ma... Ecco... Io ci ho provato, ma è stato impossibile perché hanno entrambi un aspetto troppo invitante!" cercò di giustificarsi con gli occhi verdi spalancati "posso prendere entrambi, per favore? Solo per questa volta, mamma! Ti prometto che è solo per questa volta! Per favore, per favore, per favore!"
"D'accordo, Keith" si arrese Ginger con un sorriso, passandogli la mano destra tra i ricci neri "solo per questa volta".
Dio, quanto le sarebbe mancato accarezzare quei bellissimi e morbidissimi riccioli neri.
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