LIES (PARTE UNO)


Una giacca in pelle marrone col colletto in pelliccia bianca: Roger Waters fissò con uno sguardo stranito l'indumento appoggiato in bellavista sull'appendiabiti posizionato alla destra della porta d'ingresso di casa sua; continuò a fissarlo in silenzio senza accorgersi dei due grossi gatti neri, che possedeva da tre anni, che lo avevano raggiunto dalla cucina e che ora gli stavano dando il bentornato strofinandosi contro le sue lunghe gambe e facendo le fusa.

Roger adorava i gatti, aveva un debole per quelle creature a quattro zampe così affascinanti e misteriose; nel vecchio appartamento in cui abitava, prima di sposarsi e di comprare casa insieme a Judith, (quello con i scalini scivolosi che avevano quasi slogato una caviglia a Nick, ed erano riusciti nel loro intento con quella destra di Ginger) il proprietario dell'intero condominio aveva due meravigliosi gattoni persiani con cui aveva trascorso interi pomeriggi a giocare.

Secondo Nick, il bassista amava così tanto quei piccoli felini domestici perché in loro rivedeva il proprio essere arrogante ed altezzoso.

Prese in mano la giacca e la osservò più da vicino, nella speranza di riuscire a risolvere l'arcano mistero: non poteva appartenere a Judy perché era un modello palesemente maschile e ben lontano dai suoi gusti personali... Allora, forse, si trattava di una sorta di bizzarro regalo di bentornato a casa? Sua moglie aveva sistemato la giacca marrone col colletto in pelliccia bianca proprio lì, in bellavista, sull'appendiabiti in modo che la vedesse subito?

Forse.

Poteva essere.

Ma perché, allora, non l'aveva impacchettata e posizionata con cura sopra il divano, sopra il tavolo della cucina o davanti alla porta d'ingresso?

E perché la giacca era sprovvista di qualunque tipo di etichetta?

E poi, era palesemente troppo stretta per essere della sua taglia e Judith non aveva mai sbagliato a comprargli una maglietta, un maglione od un paio di pantaloni, anche se, ogni volta che uscivano insieme, si lamentava sempre perché era un'impresa quasi impossibile fare shopping per un individuo magrissimo che sfiorava i due metri d'altezza.

Roger scosse la testa e posò di nuovo la giacca sull'appendiabiti.

No, impossibile, non poteva essere un regalo. Un'opzione simile era assolutamente fuori discussione.

Ma, allora.... Che diavolo ci faceva una giacca marrone col colletto in pelliccia bianca nell'ingresso di casa sua?

Waters si spostò nel salotto alla ricerca di Judy, ma lo trovò vuoto; guardò in cucina, dentro al bagno al pianoterra, nel sottoscala, scese la scalinata a chiocciola che conduceva al seminterrato che aveva trasformato in uno Studio di registrazione personale, con i gatti che lo rincorrevano per giocare con l'orlo dei pantaloni neri, ma anche quello era vuoto.

Judith sembrava essere svanita nel nulla.

Eppure la porta d'ingresso era aperta, e la sua macchina era parcheggiata sul vialetto.

All'improvviso, alle sue orecchie arrivò un suono simile ad un tonfo sordo, ed il suo sguardo si spostò in direzione delle scale che conducevano al piano superiore dell'abitazione; iniziò a salire i scalini avvertendo una strana sensazione allo stomaco, forse dovuta al fatto che non aveva ancora mangiato nulla.

A causa della stanchezza e del fuso orario, aveva trascorso la maggior parte del viaggio di ritorno a dormire con la testa appoggiata all'oblò, le braccia incrociate e la bocca socchiusa, del tutto ignaro delle fotografie che Nick gli aveva scattato sforzandosi di non scoppiare a ridere.

Ad ogni scalino che saliva, la tenaglia allo stomaco si faceva sempre più stretta.

Arrivato al piano superiore, la tenaglia si era trasformata in nausea.

Roger percorse il piccolo corridoio senza fare rumore, facendo attenzione a non far scricchiolare le assi del pavimento, e passò affianco alla fotografia incorniciata che ritraeva lui e Judith, sorridenti e spensierati, nel giorno delle loro nozze; si fermò davanti alla porta chiusa della loro camera da letto ed appoggiò la mano destra sul pomello di ottone, stringendolo con più forza del necessario.

Dall'interno della stanza gli sembrò di udire una flebile voce.

'Non aprire la porta. Non aprirla. Non aprirla. Torna indietro finché sei in tempo. Scendi le scale, sali in macchina, fai un giro e torna tra un paio di ore fingendo di essere appena arrivato dall'aeroporto. Fa qualunque cosa ma, per l'amor del cielo, non aprire questa fottuta porta!'.

Girò il pomello verso destra e spalancò la porta.

Vide Judith, a letto, completamente nuda, in compagnia di un uomo, un verme, chino su di lei.

Anche lui era completamente nudo.

Erano entrambi completamente nudi.

Nudi come vermi.

A letto.

Nel loro letto.

Nel suo letto.

Alla vista del marito, la giovane avvampò ed annaspò alla ricerca di aria; scostò da sé l'uomo sconosciuto (il verme), si coprì con il lenzuolo e balbettò qualcosa che Roger non riuscì a capire.

Il bassista, senza dire una sola parola, voltò le spalle ad entrambi e fece ciò che avrebbe dovuto fare qualche minuto prima, quando ancora la sua vita era apparentemente perfetta: scese le scale, uscì di casa, risalì in macchina e si allontanò il più velocemente possibile, schiacciando al massimo il pedale dell'accelerazione.



David Gilmour prese un profondo respiro, girò il pomello della porta d'ingresso ed entrò in casa esibendo uno dei suoi migliori sorrisi.

"Sono tornato!" esclamò ad alta voce, in modo che tutti potessero sentirlo: non ricevette alcuna risposta, in compenso sentì Ginger gridare dalla stanza accanto.

Gilmour emise un profondo sospiro, posò la valigia affianco alla porta d'ingresso e si spostò in cucina: Ginger era là, intenta a destreggiarsi tra la cena che si stava cucinando sui fornelli accesi, il piccolo Demi, seduto sul seggiolone, che non voleva mangiare l'omogeneizzato e Keith che era sdraiato a faccia in giù sulla moquette, in evidente stato di crisi; indossava una maglietta larga, un paio di pantaloni da ginnastica ed aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo scompigliata.

Alcuni ciuffi rossi le ricadevano sulla fronte, altri erano incollati sulle guance.

David la guardò in silenzio e ripensò a Virginia che lo aspettava alla fermata dell'autobus, col suo vestito candido, le ballerine bianche, i vaporosi capelli sciolti ed il viso bellissimo che non necessitava di trucco.

Il confronto era spaventoso.

Ginger distolse gli occhi da Demi, che non voleva saperne di aprire la bocca e mangiare, e li puntò sul marito.

"Finalmente sei arrivato, David! Mio dio, ma quanto tempo ci hai messo a tornare indietro dall'aeroporto? Oggi tutti hanno deciso di farmi andare fuori di testa: Demi non vuole mangiare, il polpettone non vuole saperne di cucinarsi e Keith è in piena crisi! Vieni qui e aiutami, per favore, anziché stare lì impalato a fissarmi" disse in tono brusco, appoggiando il piattino ed il cucchiaino di plastica sopra il tavolo e spostandosi davanti ai fornelli per controllare il polpettone che non voleva saperne di cucinarsi; Gilmour obbedì in silenzio: si sedette davanti al seggiolone di Demi e provò a persuaderlo a mangiare l'omogeneizzato alla zucca.

Finse che il cucchiaino di plastica fosse un aeroplano e, dopo qualche tentativo, riuscì a convincere il bimbo ad aprire la bocca ed a mangiare la crema arancione.

Demi Richard, proprio come nel caso di Keith, non aveva ereditato i tratti della madre, bensì quelli del padre, come lo dimostravano i grandi occhi azzurri, i fini e soffici capelli biondi e la piccola bocca piena; a Ginger non dispiaceva affatto non rivedere nulla di sé stessa nei suoi due uomini in miniatura.

Andavano benissimo così, non li avrebbe cambiati per nulla al mondo.

"Almeno avresti potuto salutarmi, non ci vediamo da settimane..."

"Dave, ti prego, non è questo il momento. I saluti possono aspettare. Aiutami con Keith, piuttosto" ribatté seccata la giovane, mentre cercava di girare il polpettone, con una paletta, senza scottarsi le dita; aveva il viso arrossato a causa del calore che saliva dalla pentola rettangolare.

Il chitarrista abbassò lo sguardo sul bambino che non si era ancora mosso dalla moquette.

"Ehi, Keith, che succede?" domandò guardandolo; Keith non rispose, rotolò a pancia in su e David si accorse che aveva gli occhi lucidi "ehi, hai pianto? Perché hai pianto? È successo qualcosa in asilo? Un bambino ti ha dato una spinta? È successo qualcosa al tuo peluche George?".

Keith scosse con forza la testa, facendo ondeggiare i ricci neri, ma non disse una sola parola.

"Vuoi sapere che è successo?" rispose al posto suo la giovane, voltandosi a guardare il marito con le mani appoggiate ai fianchi "oggi, quando sono andata a prendere Keith all'asilo, sono stata seguita da alcuni fotografi... Di nuovo"

"Ed io che ci posso fare? Lo sai che tutto è cambiato dal quando è uscito l'album!" si difese il chitarrista, continuando ad imboccare il suo primogenito che aveva ritrovato improvvisamente l'appetito perduto.

The Dark Side Of The Moon era uscito solo il mese precedente e, con enorme sorpresa di tutti, non solo era stato un successo nelle vendite, ma aveva scalato vertiginosamente la classifica e non sembrava essere intenzionato a scendere dal gradino più alto del podio; con le vendite erano finalmente arrivati i primi veri cospicui guadagni e la vera fama, ma in quel modo la band aveva attirato su di sé anche l'occhio famelico della stampa e del gossip, e le rispettive mogli e figli non erano risparmiati da quel tritacarne mediatico.

La vita di Mary Jane Anderson si era trasformata in un vero e proprio incubo da quando la stampa si era accorta che Keith era identico a Syd.

"Non lo so che cosa dovresti fare, ma qualcosa devi pur fare! Così non può continuare perché non ce la faccio più! Trovo quei maledetti fotografi ovunque!"

"Ginger, è così che funziona quando diventi famoso, che cosa posso dirti? Credi che a me faccia piacere essere braccato come un animale, con le spalle al muro? Sai che quando scendiamo da un aereo, rischiamo di essere travolti da una folla di persone? Siamo stati costretti a far rialzare ulteriormente i palchi per le esibizioni dal vivo, per evitare che qualche fan troppo esuberante scavalchi le barriere e salga sul palco... E ti posso assicurare che ho visto con i miei occhi dei ragazzi che avevano portato con loro una scala a pioli per raggiungerci!"

"Me ne frego della scala a pioli o delle folle che siete costretti ad affrontare, David. Qui non si tratta né di voi né di me, ma di Keith. Io posso anche sopportare di essere seguita mentre vado a fare la spesa o mentre vado dalla parrucchiera, ma non accetto di essere pedinata quando accompagno o vado a prendere Keith all'asilo, quando esco con lui o quando lo porto al parco giochi. Non voglio vedere la faccia di mio figlio sui giornali di gossip associata a certi articoli. Lui non c'entra con tutto questo: è un bambino normale, come tutti gli altri, e deve vivere una vita normale!"

"Mi dispiace, Ginger, mi dispiace davvero per Keith. Io non voglio vederlo stare male... Però non dirmi che non immaginavi che prima o poi si sarebbe creata una situazione simile! Sapevi che prima o poi..."

"Non me ne frega niente! Loro non devono fotografarlo! Quando sono insieme a lui, devono farsi da parte, non devono neppure farsi vedere, altrimenti... David, la prossima volta che un fotografo prova a scattarmi una foto mentre sono con Keith, io gli strappo la macchinetta fotografica dalle mani e la uso per picchiarlo"

"Non faresti altro che aggravare ulteriormente la situazione, e daresti loro ciò che vogliono più di tutto: materiale per un lungo articolo di gossip. Cosa pensi che scriverebbero, se dovessi arrivare a compiere un gesto simile? Ti screditerebbero in qualunque modo possibile, e finiresti col mettere in mezzo me, Demi e soprattutto il gruppo... Perché poi tutto si ripercuoterebbe sempre e solo su di noi. La stampa userebbe il nostro nome per un guadagno sicuro"

"E cosa dovrei fare? Lasciare mio figlio in pasto alla stampa?"

"Perché continui a dire che Keith è solo tuo figlio? Non sarò suo padre biologico, ma per me ormai è mio figlio tanto quanto Demi! Parli come se a me non importasse nulla di lui"

"Perché a volte è questa l'impressione che ho!"

"Basta urlare!" gridò Keith, esasperato, tirandosi su a sedere; si coprì le orecchie con le mani e prese a singhiozzare con forza "non mi piacciono tutte quelle persone che mi fotografano in continuazione. Mi fanno sentire come se fossi diverso"

"Ecco, guarda cosa hai fatto. Pensa tu al polpettone, e cerca di non combinare un altro disastro" Ginger si allontanò dai fornelli, lasciando David interdetto a fissare il vuoto; prese in braccio Keith e lo portò al piano di sopra, in bagno, per asciugargli le lacrime e sciacquargli il viso con dell'acqua fresca.

Il bimbo tirò su col naso diverse volte, ma alla fine riuscì a calmarsi, anche se aveva ancora il labbro inferiore che tremava.

"Tesoro mio, non c'è assolutamente nulla di diverso in te. Non devi pensare mai più queste parole, va bene? Tu sei un bambino normale, proprio come tutti gli altri. Non c'è assolutamente nulla che non vada in te"

"Odio quando mi fotografano senza il mio permesso, e odio anche il modo in cui mi fissano. Non mi piace come lo fanno e quando lo fanno. Perché lo fanno, se sono un bambino come tutti gli altri?"

"Vedrai che non lo faranno più... E se dovesse succedere ancora, nascondi il viso contro una mia spalla e non sollevarlo finché non sarò io a dirtelo, d'accordo? Fammi un sorriso, ora, mio piccolo riccio, altrimenti anche la mamma sarà triste"

"Mamma, chi è mio papà?" chiese Keith di getto, lasciando Ginger senza parola: non si aspettava una domanda simile così presto "non mi hai mai parlato di lui. Dov'è? Perché non è qui con noi? Che cosa gli è successo?"

"È una storia troppo lunga e complicata da raccontare ad un bambino di quattro anni"

"Ma tra poco ne compierò cinque"

"Te la racconterò una prossima volta"

"Non puoi raccontarmela adesso?" insistette Keith con uno sguardo supplichevole negli occhi verdi; la rossa avvertì un doloroso tuffo al cuore.

Scosse la testa, facendo ondeggiare la coda di cavallo.

"No, tesoro, oggi no. Te la racconterò quando sarai più grande. Adesso vieni, torniamo da Demi e Dave che ci stanno aspettando per mangiare il polpettone" mormorò poi, sforzandosi di sorridere nel modo più persuasivo possibile.



Ginger sciolse la coda di cavallo, passò la spazzola tra i lunghi capelli rossi e poi raggiunse David, seduto sul bordo del letto; gli si avvicinò di soppiatto, da dietro, gli cinse le braccia attorno al collo e gli posò un bacio sulla guancia destra.

Attese una sua reazione, ma lui non reagì: i suoi occhi azzurri continuavano a fissare il vuoto.

"A cosa stai pensando?" gli sussurrò ad un orecchio, svegliandolo finalmente dal torpore in cui era caduto.

"A nulla"

"Nulla? Sicuro? Quando hai quell'espressione così corrucciata, significa che qualcosa ti turba... Allora, cosa ti turba? Ti va di parlarmene?" sussurrò la giovane con un sorriso, appoggiando il mento contro la spalla destra del chitarrista; Dave tornò a fissare il vuoto.

Sì, in effetti c'era qualcosa che lo turbava.

Qualcosa che si era portato appresso, dentro di sé, dall'America.

"Mi dispiace per Keith, per quello che sta passando. Hai perfettamente ragione, Ginger: lui è solo un bambino e non c'entra nulla con tutto questo casino mediatico che ci ruota attorno. I fotografi non dovrebbero passare tramite lui solo per arrivare a me... E lo stesso vale anche per Demi... E per te"

"Non pensiamoci adesso, per fortuna sono riuscita a tranquillizzarlo e sono sicura che per il momento non ci penserà più... Scusami per prima, sono stata orribile nei tuoi confronti, ma... Sono state delle settimane dure senza di te. Anche se mommi e Jen mi hanno sempre aiutata, quei due gnomi pestiferi hanno messo a dura prova i miei poveri nervi. Ho paura ad immaginare cosa accadrà quando entreranno nel periodo della pubertà" la ragazza posò un altro bacio sulla guancia destra del chitarrista "forza, i bambini stanno dormendo... Spegniamo le luci e andiamo sotto le coperte, così posso darti il benvenuto nel modo adeguato"

"Sì, va bene"

"Sei davvero sicuro che non ci sia altro a turbarti?" insistette la giovane con uno sguardo perplesso; David annuì e sorrise per rassicurarla.

"Assolutamente... Spegniamo le luci?" mormorò lui, continuando a sorridere.

Fecero l'amore e David lasciò che fosse Ginger a condurre i giochi perché aveva ancora la mente altrove, persa in pensieri oltreoceano: era a letto con la persona a cui aveva giurato amore eterno due anni prima, stavano facendo sesso, e non riusciva a smettere di pensare alla ragazza che aveva incontrato a Philadelphia e con cui l'aveva tradita.

Aveva detto che il suo nome era Virginia, ma che tutti la chiamavano Ginger.

Ginger.

Con tutte le ragazze che esistevano al mondo, lui aveva scelto proprio quella che aveva lo stesso nome di sua moglie.

Il destino si era divertito a giocargli proprio un bel scherzo.

A rapporto concluso, Ginger baciò David sulle labbra e si accoccolò con la testa appoggiata al suo petto.

"Ti amo, Dave" sussurrò chiudendo gli occhi.

"Ti amo anch'io" mormorò lui di rimando, fissando il soffitto; aspettò pazientemente che la giovane si addormentasse prima di sgusciare fuori dal letto, rivestirsi ed uscire in silenzio dalla camera da letto.

Scese le scale senza accendere la luce e si fermò davanti al telefono che avevano in salotto.

Sollevò la cornetta di plastica nera e l'appoggiò all'orecchio sinistro; lanciò un'occhiata in direzione delle scale, guardò il biglietto stropicciato che aveva in mano e digitò il numero telefonico scritto con una penna nera.

Aveva un disperato bisogno di risentire la voce di Virginia.



Judith guardò per l'ennesima volta l'orologio a cucù appeso sopra il caminetto e riprese a tormentare il fazzoletto bagnato che teneva stretto in grembo.

Undici e mezza.

Erano le undici e mezza di notte e Roger non era ancora tornato.

Aveva chiamato tutti, compresi la madre ed il fratello del bassista, ma nessuno era riuscito a dirle dove fosse perché nessuno lo aveva né visto né sentito.

Semplicemente, era sparito nel nulla da più di sei ore, e più i minuti passavano, più il panico si faceva strada nel petto della bionda e più lei iniziava a pensare al peggio.

Perché non era ancora tornato a casa? Dov'era andato? Cosa stava facendo? Aveva commesso qualcosa di stupido?

Si era chiuso dentro un pub a bere per dimenticare ciò che aveva visto, col rischio di ripetere ciò che era accaduto in Italia? O aveva commesso qualcosa di ancora più stupido, tipo assumere qualche sostanza pesante?

E se aveva avuto un incidente?

E se, fuori di sé dalla rabbia e dal dolore, si era schiantato a tutta velocità contro un muro, un albero od un'altra vettura ed ora si trovava in condizioni disperate nel pronto soccorso di un ospedale?

Judith si alzò di scatto dal divano con l'intenzione di uscire per andare alla ricerca del marito, quando sentì un rumore provenire dall'ingresso; girò il viso verso quella direzione, la porta si aprì ed apparve la figura alta e magra di Waters.

La ragazza sentì un peso togliersi dal petto, ma non era nulla a confronto dell'altro che le attanagliava in una morsa sia la gola che lo stomaco; tornò a sedersi sul divano senza mai staccare gli occhi rossi e gonfi dal bassista.

Roger si tolse lentamente la giacca, la posò sull'appendiabiti e solo allora si spostò nel salotto.

Judith impiegò diversi secondi prima di trovare il coraggio di guardarlo in faccia: contro ogni sua previsione, appariva fin troppo calmo e rilassato.

Era solo un po' pallido.

Lo fissò ancora, con maggiore attenzione, alla ricerca di qualche segnale preoccupante.

"Non ho bevuto, se è questo che ti stai chiedendo, puoi stare tranquilla" disse il bassista, intuendo i suoi pensieri; Judy deglutì a vuoto, abbassò gli occhi chiari e trovò finalmente il coraggio di parlare.

"Dove sei stato per tutto questo tempo? Mi hai fatta preoccupare terribilmente".

A quelle parole, il bassista gettò la testa all'indietro e scoppiò in una risata vuota e sprezzante.

"Eri preoccupata per me? Sul serio? Sul serio, Judith?"

"Rog..."

"No, zitta. Non voglio sentire le tue spiegazioni. Non voglio sentire le stronzate che ti sei inventata in queste ore" la bloccò lui, continuando a rimanere stranamente calmo e controllato "rispondi solo ad una domanda: da quanto tempo va avanti questa storia?"

"Rog, io..."

"Da quanto tempo va avanti questa storia, Judith? Rispondi alla mia domanda e non costringermi a fartela per la terza volta".

La giovane sollevò di nuovo lo sguardo e, dopo un attimo di esitazione, svuotò il sacco.

"Sei mesi" disse in un soffio carico di vergogna.

Waters la fissò in silenzio, senza dire nulla; per un intero minuto rimase completamente paralizzato, poi si voltò verso il camino, afferrò uno dei tanti vasi modellati dalla moglie e lo scagliò dall'altra parte della stanza.

L'oggetto di terracotta si schiantò contro una parete, andando in frantumi, e Judy lanciò un urlo, terrorizzata dalla reazione violenta ed improvvisa del marito.

"Ma che stai facendo? Sei impazzito?" gli strillò contro, con gli occhi spalancati.

Un secondo vaso finì in cucina e colpì il vassoio con la frutta fresca posizionato come centrotavola.

Un terzo si disintegrò contro la porta d'ingresso.

"Roger! Roger, smettila, per l'amor del cielo, così mi fai paura! George, basta!" urlò di nuovo Judith, ormai in preda ad un terrore viscerale.

"Come hai potuto?" urlò di rimando il bassista, lasciando scivolare via la maschera di impassibilità indossata fino a quel momento, risparmiando gli ultimi tre vasi che ornavano la mensola sopra il caminetto "come hai potuto tradirmi per sei mesi con quello? Come hai potuto portare avanti una relazione alle mie spalle per così tanto tempo? Per quanto ancora avresti continuato a vederti con lui, se non vi avessi scoperto per caso? Cazzo, avessi almeno avuto la decenza di andare in qualche squallido motel di seconda classe... Per tutto questo tempo avete scopato sotto il tetto della casa che io ho pagato, e sul letto che io ho pagato e dove io e te facevamo l'amore... Porca puttana, negli ultimi sei mesi ho dormito nello stesso letto in cui scopavi con un altro uomo!"

"Come ho potuto? Cristo, hai proprio un'enorme faccia tosta a chiedermelo! Proprio tu che mi metti le corna ogni volta che parti per un tour? Proprio tu che trascorri tutte le notti con una stupida troia diversa nella tua camera d'albergo o nella tua roulotte?"

"Ancora questa storia? Tu... Tu hai voluto farmela pagare per degli errori che ho commesso tre anni fa? Che tu ci creda o no, ho smesso con quelle cazzate da quel brutto litigio che abbiamo avuto poco prima della partenza per Saint Tropez... Ed in ogni caso, ho sempre avuto storie che non sono durate più di una notte. Ho solo scopato con le ragazze con cui sono stato e basta, non ricordo neppure i loro volti ed i loro nomi. Non ho mai intrapreso nessuna relazione stabile"

"E credi che questo faccia alcuna differenza? Pensi che renda più lecito il fatto che mi hai ripetutamente tradita chissà quante decine di volte? Pensi che io sia stata meno male, solo perché erano ragazze che hai visto per una notte e basta?"

"Di certo hai pensato ad un modo proprio devastante per vendicarti"

"E che cosa avrei dovuto fare, Roger? Non ti chiedi perché sono arrivata a questo punto? Che cosa mi ha fatto arrivare a questo punto?" gli occhi della giovane si riempirono nuovamente di lacrime "cazzo, non riesci proprio a capire che al mondo non esisti solo tu, ma anche altre persone?"

"Spiegamelo tu, allora" rispose il bassista, tornando stranamente calmo come poco prima, piegando il viso verso sinistra "spiegami che cosa ti ha portata a farti sbattere da un altro uomo per sei mesi a casa nostra, visto che io sono così idiota da non capirlo da solo"

"Sei cambiato completamente, Roger, non riesco più a riconoscere il ragazzo con cui sono cresciuta insieme e di cui mi sono innamorata. Sei sempre distante, assente, e quando siamo insieme non facciamo altro che litigare e discutere... E quando non discutiamo, passi tutto il tuo tempo rinchiuso nel tuo Studio!" la giovane si fermò un istante a riprendere fiato "io... Io mi... Io mi sento rifiutata da te, Roger. Tu non mi desideri più e lo dimostra il fatto che non sei intenzionato a creare una famiglia con me"

"Quindi tu mi hai tradito perché io non voglio avere dei figli? E non hai pensato di parlarmene anziché rifugiarti tra le braccia di un amante sotto il tetto di casa nostra?"

"Puoi smetterla di ripetere le stesse cose? Cazzo, te ne frega di più della nostra casa che della nostra relazione! Io ho provato a parlartene più volte, Rog, ho provato tantissime volte ad affrontare con te l'argomento 'figli', ma tu non..."

"Lo sai qual è il mio pensiero a riguardo. Lo hai sempre saputo"

"Sì, ma pensavo che avresti cambiato idea dopo il matrimonio... O dopo aver visto tutti gli altri crearsi una vera famiglia"

"Pensi davvero che un figlio sia la soluzione a tutti i problemi di una coppia? Un figlio porta gioia all'interno di una famiglia solo se lo desiderano entrambi i genitori, altrimenti non ha alcun senso, è solo un atto di egoismo. Il tuo è solo egoismo, Judith. Tu non desideri diventare madre perché lo senti, ma perché non vuoi essere inferiore alle tue amiche"

"Io volevo avere un figlio perché volevo creare una famiglia insieme al ragazzo che amavo" gridò esasperata la giovane, ricominciando a piangere "perché non lo vuoi capire? Perché non mi credi? In che modo devo spiegartelo?"

"Come posso credere ad una persona che mi ha tradito per sei mesi?" urlò a sua volta Waters; indietreggiò di un passo, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e spostò lo sguardo verso il caminetto acceso: improvvisamente si sentiva stanco di continuare quell'inutile discussione.

Non voleva più sentire la voce di Judith, non voleva più sentire le sue accuse, la sua rabbia ed il suo pianto disperato.

Perché nulla di tutto quello aveva più senso.

Per lui ogni cosa era finita nello stesso momento in cui era rientrato in casa, nel pomeriggio, ed aveva sorpreso sua moglie a letto con un altro uomo.

Judy guardò il bassista con gli occhi spalancati e le labbra che tremavano vistosamente, quel silenzio non le piaceva affatto.

"Che cosa vuoi fare?" chiese in un sussurro, rompendo il silenzio divenuto ormai insopportabile alle sue orecchie "Roger, che cosa vuoi fare adesso? Dì qualcosa, per favore, non restare... Così..."

"Che cosa voglio fare?" ripeté lui, senza staccare gli occhi dalle fiamme scoppiettanti "che cosa voglio fare? Che cosa dovrei fare, secondo te? Tu che cosa faresti al mio posto se scoprissi che ho un'amante da sei mesi? Non una scopata di una notte, ma una relazione vera e propria che va avanti da settimane, e settimane e settimane. Che cosa faresti?".

La bionda deglutì un grumo di saliva e si asciugò le lacrime che ancora le rigavano le guance.

"Io ti ho perdonato tre anni fa, Roger. Ti ho dato una seconda possibilità per rimediare e per non rovinare il nostro matrimonio. Forse... Forse se ci impegniamo entrambi, siamo ancora in tempo per rimediare per la seconda volta"

"Davvero? Tu credi? E magari per lasciarci questa brutta esperienza alle spalle dovremo iniziare con una bella scopata nel letto in cui mi hai tradito per mesi e mesi, senza usare precauzioni, così finalmente rimarresti incinta e non ti sentiresti più diversa dalle tue amiche? Perché tu sei assolutamente convinta che la nascita di un figlio possa risolvere qualunque problema esistente al mondo!" commentò Roger con una risata di scherno, per poi tornare subito serio "adesso ti dico io che cosa faremo, qual è l'unica cosa che possiamo fare"

"E quale sarebbe l'unica cosa che possiamo fare?"

"Io adesso prendo la macchina e vado a trascorrere la notte a casa di mia madre. Tornerò domani, a quest'ora, e mi aspetto di trovare la casa vuota. Avrai ventiquattro ore di tempo per portare via tutte le tue cose, i tuoi effetti personali, i tuoi vasi... Tutto quello che ti appartiene, ma non voglio trovarti qui al mio ritorno. Riguardo a tutto il resto avrai notizie dal mio avvocato"

"Stai dicendo che il nostro matrimonio è finito?" chiese la ragazza ad occhi spalancati.

"Mi stai chiedendo veramente di darti una risposta?" domandò a sua volta il bassista; indossò di nuovo la giacca, prese i suoi due gatti neri, uscì di casa e salì in macchina senza mai voltarsi a guardare Judith un'ultima volta.

Guidò per una decina di minuti e poi parcheggiò la macchina sul ciglio di una strada isolata e deserta; uscì dall'abitacolo, si sedette sul cofano della vettura e, lentamente, si accese una sigaretta ed iniziò a fumarla senza pensare a nulla, con la mente completamente sgombra da qualunque genere di pensiero e gli occhi fissi in un punto indefinito davanti a sé.

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