71 (hounds of winter)
ANTONELLO
Gli occhi di Riccardo passarono istintivamente da me a Giorgio; aveva capito che io sapevo, che quel passato, che lui tanto cercava di conoscere, era a portata di mano, bastava un solo istante perché potesse conoscerlo.
"La prego, signor Vinci," continuò Giorgio, cercando di mettersi seduto.
Giulia gli fu accanto, le sue dita sottili intrecciate a quelle più forti di lui. Il mio cuore perse un battito a quella visione; quanto avrei voluto avere avuto la stessa forza che animava quella piccola donna che strenuamente difendeva il suo amore.
Come raccontare questa storia, la mia storia, a uno dei suoi inconsapevoli protagonisti?
Come riuscire nell'intento di non ferire nessuno?
Come mettere quel fragile ragazzo di fronte a una verità tanto penosa?
Come ricordare... quando la sofferenza mi travolgeva come un mare in tempesta?
Perché io ero lì quella sera.
Inconsciamente sapevo cosa sarebbe accaduto. Sapevo che avrei parlato. Sapevo che non avrei potuto sottrarre Giorgio dalla verità, era ciò che mi aveva chiesto e aveva diritto di sapere. La mia mente tornò a quei giorni, agli ultimi giorni prima della sua drammatica fine di sua madre.
****
Dieci anni prima
Erano mesi che non sentivo più la sua voce, che non toccavo più il suo morbido, caldo corpo... Elisabetta mi mancava terribilmente; da quando non era più con me, sentivo un profondo vuoto inghiottirmi. Aveva tentato con tutte le forze di allontanarmi da sé, avevo capito cosa era costretta a subire da Maseri e avevo minacciato di denunciarlo. Non avrei mai dovuto dirlo. Quella frase, pronunciata in un momento di rabbia, aveva segnato l'inizio della fine.
****
"Quella sera, quella maledetta sera sarei solo voluto arrivare in tempo."
Mi misi una mano sulla bocca quando mi accorsi di aver pronunciato queste parole ad alta voce.
"Lei, sapeva..."
La voce di Giorgio era lieve come un soffio, nel suo tono c'era incredulità e rabbia.
"Lei avrebbe potuto... salvarla." Tristezza, dolore, sgomento, erano i sentimenti che vedevo alternarsi sul suo volto.
"Non capisco... cosa, cosa sapevi, perché non mi hai..."
Guardai Riccardo, cercando di arginare il fiume di domande che stava per riversarsi dalle sue labbra. Com'era possibile che fosse tanto stupido!
"Conoscevi questo ragazzo?" Si riprese accorgendosi dell'errore madornale che stava per compiere.
Giorgio continuava a guardarmi, apparentemente inconsapevole di ciò che lo circondava. Giulia invece alternò lo sguardo da suo padre a me. Era una ragazza intelligente e sveglia, avrebbe presto capito che l'incontro tra Giorgio e me, non era frutto di una semplice coincidenza. Non volli pensare alle conseguenze per il povero Riccardo.
"Qualcuno vuole spiegarmi?" Iniziò.
Se lo sguardo fosse stato un'arma, quello che Giulia rivolse al padre, equivalse a un colpo di avvertimento: significava stai attento, non mentirmi, te ne potresti pentire in seguito. Riccardo registrò l'avvertimento e si rintanò di più nella sua poltrona disponendosi all'ascolto del mio racconto.
"Vada avanti signor Vinci, la prego, non la interromperò." I modi di Giorgio erano naturalmente eleganti, quasi avesse ereditato i tratti distintivi di sua madre. Quasi che tutta la violenza subita, non avesse intaccato la sua più intima natura.
Tirai un sospiro e mi preparai riaprire le ferite del mio cuore. Sperai, con tutta l'anima di uscirne indenne. Aprii la cartella e ne trassi fuori un libro, " Il ritratto di Dorian Gray" poi ancora titubante, lo porsi a Giorgio. Il ragazzo mi lanciò uno sguardo tra l'incuriosito e il timoroso e infine lo prese in mano. Non era un'edizione preziosa, né particolarmente costosa, era però uno dei pochi regali che le avevo fatto.
"Aprilo!" dissi con la voce ridotta a un soffio.
"C'è una pagina sottolineata all'interno del libro e una lettera, l'ultima cosa rimasta di lei!"
Giorgio mi fissò con i suoi grandi occhi verdi dilatati dal dolore e con mani tremanti, aprì il piccolo libro che custodiva gli ultimi pensieri di sua madre. Prese la piccola busta tra le mani annusandone il profumo poi l'aprì ed estrasse i due fogli di preziosa carta filigranata.
"E' la scrittura della mia mamma!" Disse con voce piccola, quasi da bambino.
"Sono le sue ultime parole..." Un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra mentre stringeva al petto quel piccolo, immenso tesoro.
Mi porse la lettera come se toccarla gli provocasse un dolore quasi insopportabile.
"La prego, signor Vinci, la legga per me, io non posso farlo, non ci riesco, capisce?" Capivo più di quanto lui potesse immaginare; anche per me quel compito risultava piuttosto arduo.
Da quando l'avevo trovata, l'avevo letta solo un'altra volta e ne ero stato distrutto. Aprii la lettera e iniziai il doloroso Calvario che avrebbe portato la luce della verità nella vita di quel ragazzo.
"I più bei versi, le più belle scene a teatro riguardano sempre la morte, perché il più grande messaggio dell'artista è farci comprendere la bellezza della disfatta".
Da: il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde
"Mi chiamo Elisabetta Rosati-Stella, ho 37 anni e questa è l'ultima volta che scrivo. Affido a questa lettera i miei ricordi più intensi, le mie ultime riflessioni, le mie volontà.
Ho deciso di porre fine alla mia vita, non solo perché il dolore fisico e psicologico che avverto ogni giorno mi sono ormai insopportabili, non solo perché la violenza che alberga nella mia esistenza e in quella dei miei figli è talmente intensa da portarmi lentamente alla disperazione, ma soprattutto perché io conosco la vera natura di mio marito. Lui non cambierà mai, è troppo marcio. Presto, come ne' "Il ritratto di Dorian Gray", l'orrore delle sue azioni, travalicherà l'esile barriera della sua facciata sapientemente costruita e ripulita e quel giorno lui ne sarà finalmente distrutto.
Io l'amavo e anche quando la verità mi è stata sbattuta in faccia, ho continuato ad amarlo. Il giorno del mio fidanzamento è stato forse il più felice e bello della mia vita.
All'inizio, ho rifiutato di credere alle prove che mi venivano mostrate, prove inconfutabili d'inimmaginabili perversioni, di collusioni con la malavita e la politica locale, storie di violenza privata e di festini a base di prostituzione e droghe, storie di ricatti e soprusi. Non potevo crederci, il marciume che non mi aveva mai toccata e per me, cresciuta nel lusso e nell'amore, era impensabile immaginarle riunite in un solo uomo, l'uomo che amavo.
Qualcosa ha però rivelato l'inganno.
Non si può nascondere a lungo la propria natura quando si vive insieme. E così è stato. Giangi si è tradito, rivelando la sua vera natura, distruggendo la sua bella e lucida facciata. Aveva compreso che io sapevo.
Il pensiero che un giorno o l'altro, potessi decidere di rivelare la sua vera natura al mondo, gli era intollerabile.
Sono stanca, tremendamente stanca, non reggerò ancora per molto, sento già la vita scivolarmi tra le dita.
Mio marito mi picchia. Ogni giorno, il marito che per contratto avrebbe dovuto assicurarmi stabilità, cerca di annichilire il mio corpo, poiché non è capace di abbattere il mio spirito. Non mi arrenderò mai a lui, non smetterò mai di dirgli quanto, l'uomo che credevo di amare, mi sia diventato intollerabile. Freno i miei istinti più animaleschi, lo faccio solo per loro. Per i miei figli. Non può uccidermi, ha fatto un patto quando mi ha sposato, un patto di cui ero a conoscenza, un patto che ho accettato per il bene della mia famiglia...
Abbiamo venduto loro la nostra felicità.
Per le nostre famiglie abbiamo sacrificato la nostra anima. Cavie da laboratorio, ora ci muoviamo in una gabbia che solo la morte potrà aprire. Non abbiamo avuto scelta, tutto era stabilito da tempo e consenzienti, ne abbiamo accettate le condizioni. La vita reale, non è quella che si trova nei romanzi rosa, non è a lieto fine e nel nostro caso, la felicità coniugale non era negli accordi. Ho rinunciato all'amore vero per di onorare mio padre, la mia famiglia e il suo accordo. Avevano bisogno di me, come il padre di Giangi aveva bisogno di lui. Sono scappata via dall'uomo che amavo perché non avevo la forza sufficiente per rinunciare a tutto. Sono stata egoista, l'ho ferito e mi sono lacerata il cuore. l dolore che ho provato dopo avergli voltato le spalle in quella stanza, è stato infinito, ma non ho avuto ripensamenti.
No, solo una volta ho ceduto alla tentazione...
Quando ho scoperto di essere incinta l'ho chiamato. Avevo bisogno della sua voce rassicurante, ero terrorizzata dall'idea di diventare madre, di catapultare mio figlio nell'inferno nel quale vivevo. Tornò, senza chiedermi spiegazioni, senza pretendere nulla, confortandomi, coccolandomi, rassicurandomi... Tornò, ma il suo sguardo era cambiato, non c'era più nessuna luce a farlo brillare. Non mi volle mai raccontare cosa gli era accaduto in quei mesi.
Pochi giorni d'intensa felicità finché, conscia dell'impegno preso e delle mie responsabilità, infransi le sue speranze e il suo cuore.
Ancora una volta.
Spezzai la mia anima in due. Una parte è ancora con lui.
Spero che ovunque sia, mi perdoni e comprenda le mie ragioni.
Ho sperato che la nascita dei bambini segnasse una tregua nel rapporto con mio marito, che la vista di due morbidi fagottini intenerisse il suo cuore indurito dalla droga e dai vizi; per un po' mi sono illusa, ci ho quasi creduto.
Durante la gravidanza sembrava attento e felice di avere un erede, ho creduto che potesse cambiare. Mi sono sbagliata, ancora una volta. Un animo così corrotto non può cambiare, mai!
La loro nascita ha segnato l'inizio della mia fine.
La vista di due bimbi tanto diversi nell'aspetto e nei colori, ha rinfocolato la sua paura più grande, quella che avessi un amante! Non era innamorato di me, ma l'idea che il bel mondo in cui vivevamo potesse pensarlo gli era intollerabile. La mia vita, da triste, apatica e solitaria si è riempita improvvisamente di orrore, disperazione, dolore. Giorgio e Arianna, i miei piccoli sono stati divisi all'età di due anni, strappandoli dal mio petto, separando le loro esistenze.
Arianna, la mia piccolina, quella che lui, nella sua follia, credeva la sua unica figlia, più simile ai Maseri nei tratti somatici e nel carattere, allegro e sveglio, è stata mandata in un collegio di altissima classe, curata e vezzeggiata. Giorgio invece, il mio piccolo timido e riservato ometto è rimasto con noi, vittima innocente della sua furia e dei miei peccati.
Il mio pensiero va a lui, al mio Giorgio, che ha assistito a troppi orrori, a lui che non ho saputo proteggere, troppo annichilita dalla sofferenza; a lui che ha subito sulla sua pelle il dolore delle percosse e degli insulti. Perdona i tuoi genitori se puoi: tuo padre per la sua follia, e me per non aver avuto la forza di proteggerti. Non sono riuscita a fuggire neppure quando Antonello, in un ultimo, disperato tentativo ha provato a portarmi via.
Lo farò ora, andrò via in un posto dove il dolore non esiste, il mio gesto ti darà la libertà, piccolo Giorgio, e insieme a tua sorella, potrai finalmente vivere una vita migliore.
Un diario con le prove di tutti i crimini di cui si è macchiato mio marito, sarà recapitato alla Procura della Repubblica nel momento stesso in cui la mia morte verrà resa nota. Gli agenti hanno mandato di far scomparire per sempre da questa città i miei figli, cancellarne l'identità, dare loro una speranza di vita migliore. Una famiglia, accuratamente scelta tra le tante che chiedono l'affido di bambini, si occuperà di loro, li renderà felici, li ricoprirà di affetto, quell'affetto che io non sono stata né sarò mai più grado di dargli. Sono loro, i miei bambini, le vere vittime innocenti, sono loro che hanno pagato il prezzo più alto. Il grave prezzo per un amore che non sarebbe mai dovuto esistere e per un accordo che non avrei mai dovuto sottoscrivere.
Vi amo bambini miei e amo te, Antonello.
Non ho mai smesso di amarti.
Elisabetta
****
Richiusi la lettera.
Era la prima volta che la rileggevo, l'emozione era la stessa di allora.
Ricordai le lacrime disperate versate sul suo corpo ormai privo di vita, ricordai il sangue che le ricopriva la pelle, ricordai il piccolo Giorgio, il suo sguardo immobile e stravolto dall'orrore, ricordai il momento esatto in cui quella lettera aveva preso posto nella mia vita. L'avevo trovata in bagno, ripiegata accanto alla toletta; al suo interno, una ciocca dei suoi capelli, una foto dei bambini e una di Giangiacomo Maseri e lei nel giorno del loro matrimonio. Le voltai, dietro una scritta: "Per Arianna e Giorgio, un ricordo di mamma e papà".
"E' per voi." Dissi consegnando a Giorgio il mio tesoro; era suo diritto averlo, suo e di sua sorella, lo sapevo. Avevo conservato gelosamente le ultime memorie della donna che amavo per quasi dieci anni, aspettando il giorno in cui avrei ritrovato i suoi figli. Desideravo con tutto il mio cuore che Giorgio e Arianna, la conoscessero veramente, che sapessero che aveva sacrificato la sua vita pur di salvarli e donare loro un futuro più sereno. La mano tremante del ragazzo prese in mano la fragile carta da lettera, i suoi occhi grandi erano lucidi di lacrime. Mi si strinse il cuore.
Quanto dolore!
"Come stai?" chiesi guardandolo. Ero preoccupato dal suo silenzio.
"Giorgio..." Giulia gli fu vicino, chiamandolo dolcemente.
"E lei, come sta?" Rispose guardandomi dritto negli occhi. Non c'era astio nei miei confronti, né curiosità, né paura, solo rassegnazione e forse un pizzico di serenità.
Riccardo, che era rimasto in un attonito silenzio, si avvicinò alla figlia carezzandole la guancia umida. Non si era accorta di piangere.
"Mi dispiace," disse con voce carica di dolore, "mi dispiace Giorgio, ti ho giudicato male." Continuò posandogli lieve una mano sulla spalla. Aveva capito quanta sofferenza c'era nella vita di quel ragazzo così fragile e al contempo, così forte. Giorgio sussultò a quel tocco ma non si mosse né lo guardò. I suoi occhi erano solo per la lettera, quella che si era rifiutato di leggere, quella che ora osservava con attenzione e riverenza come fosse una reliquia.
"Antonello, forse è il caso lasciarli soli..." sussurrò Riccardo mettendomi un braccio attorno alle spalle.
"Hai proprio l'aria di qualcuno che ha bisogno di farsi un bicchiere!"
Cazzo, aveva dannatamente ragione.
Non era ancora pomeriggio, ma la mia gola esigeva un caldo, forte, biondo whisky. Avevo bisogno di riordinare i pensieri, calmare il cuore, offuscare la mente. Volevo stordirmi, annegare il mio dolore mai sopito; sapevo che sarebbe stata una pace effimera, ma ora come ora, l'unica cosa che desiderassi era dimenticare. Ritornare, anche solo per un istante, per il tempo di una sbronza, ai giorni felici del mio amore con lei. A lei, che sarebbe rimasta per sempre nella mia mente e nel mio cuore, a lei, che nessun'altra avrebbe potuto eguagliare: la mia Elisabetta.
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