68 (la canzone di Marinella)

ANTONELLO

Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta

questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno , come le rose

La città mi accolse con una cappa di calura quasi estiva: l'ultima volta che ero stato in quella casa c'erano ancora Carla e la piccola Giulia.

Lessi il cartello di benvenuto e tirai un sospiro di sollievo. Ero finalmente arrivato.

Era circa mezzogiorno e l'automobile del mio amico era parcheggiata lungo il vialetto di accesso, segno che si era preso la giornata libera per attendere il mio arrivo.

Suonai alla sua porta, tendendo l'orecchio, in attesa. Passi pesanti si avvicinarono e un volto familiare mi accolse con un sorriso cordiale.

"Buongiorno Antonello, sei arrivato finalmente, ce ne hai messo di tempo!"

"Ciao Riccardo, come ti va, amico, ti trovo bene!"

Mentivo, era invecchiato, certo, ma non era questo il cambiamento più evidente; i suoi occhi, una volta vivaci e attenti, avevano assunto una nuova tonalità, spenti, tristi e se ero ancora bravo a leggere le persone, un alone di malinconia aleggiava nel loro fondo.

Non tutti erano fatti per la vita solitaria.

"Ce ne hai messo di tempo!" Esordì Riccardo facendomi cenno di accomodarmi.

"Sono venuto in macchina!"

"Da Milano a qui?" Annuii, non era poi una distanza inaffrontabile e io non ero così vecchio; inoltre, se potevo scegliere, preferivo non volare.

"Il treno non è l'opzione che preferisco e sai quanto odio volare!" Risposi con un mezzo sorriso.

Riccardo non sembrava stupito dalle mie paure, sapeva ciò che mi era accaduto. Tentai di non pensarci, di parlare di altro, di gioire di questo rinnovato incontro con uno dei miei più cari amici; ma inevitabilmente mi persi nei ricordi.

****

Un rumore di mitragliatrice, il fuoco, le lamiere contorte, il mio pilota accasciato sulla cloche, il fetore di carne bruciata e sangue, le mie mani rosse come il fuoco che divampava, un tentativo di atterraggio di emergenza, lo schianto, la paura. Ero salvo, ero solo, nell'infinito deserto iracheno.

****

"Posso sedermi?" chiesi ancora sulla porta.

"Certo, Antonello, accomodati dentro, sarai stanco; ti preparo qualcosa. Sei impallidito, non starai ancora pensando a... " Sì Riccardo, proprio così, riflettei, ma le mie labbra rimasero sigillate.

Il mio amico mi porse una sedia, poi in silenzio, si diresse verso la cucina tornandone con una grappa invecchiata e due bicchieri.

"Grazie, Riccardo, grazie davvero!" Bevvi tutto in un sorso, lasciandomi pervadere dal benefico, quanto artificiale, calore dell'alcool.

****

Gennaio 1994

"Non puoi pubblicare quest'articolo, Vinci!" La voce di Carlo Landoni riecheggiò nella mia mente.

"Perché!" Urlai in preda all'ira, perché non sputtanare quel maledetto bastardo e salvare una ragazza innocente.

"Ragiona, Vinci, è la tua parola contro la sua e lui è più potente di te in questa città, ergo, tu non conti un cazzo!"

Non riuscivo ad accettare questa situazione, ero un giornalista giovane e pieno di passione per il mio lavoro, non potevo rinunciare al racconto dei fatti, anche se mi rendevo conto di quanto il mio capo redattore avesse ragione.

"Senti, Antonello, non ti dico di non pubblicare un articolo sulla famiglia Maseri, ma almeno raccogli delle prove più consistenti di una chiacchierata ascoltata di nascosto nel bagno, anche se si tratta di un bagno lussuosissimo."

Carlo aveva maledettamente ragione, stavo smarrendo la mia obbiettività e il mio distacco dai fatti.

Tutto per lei, per i suoi splendidi occhi.

****

Presente

"Antonello, ti senti bene?" la voce di Riccardo mi riscosse dai miei pensieri.

"Sì, bene." Dissi evitando deliberatamente il suo sguardo.

Riccardo voleva sapere, lo percepivo dal moto d'impazienza che animava ogni suo gesto, dall'insistenza con la quale cercava i miei occhi.

Che cosa pensava potessi dirgli?

"Ho aspettato che ti riprendessi dalle fatiche del viaggio ma ora, ti prego, dimmi, cosa hai scoperto su Giorgio Leardi e la sua famiglia?" Si muoveva nervosamente sulla sedia e con la mano tormentava una tazza di caffè ormai fredda. Era giunto il momento di metterlo al corrente dei miei sospetti; intuizioni non basate su fatti certi, ma piuttosto ricordi incastonati nella mia mente.

"Riccardo, quello che sto per raccontarti risale a molto tempo fa, la storia inizia quando il ragazzo di cui mi hai chiesto, forse, non era ancora nato e bada, non posso affermare con certezza che si tratti di verità assolute." Feci una pausa e lo guardai per assicurarmi che avesse compreso. Sentii un moto d'inquietudine alla bocca dello stomaco, perché ciò che stavo per rivangare era qualcosa che mi toccava fin nel profondo.
"E' una storia molto triste e prima che io scoperchi il vaso di Pandora, ti prego, dimmi, perché vuoi conoscere il passato di quei ragazzi. Tu sei un giornalista investigativo, o meglio, lo eri: non credi che se il loro passato sia sparito da tutti gli archivi, ci deve essere una valida ragione?" Lo vidi dilatare lo sguardo per un istante, segno che probabilmente non aveva riflettuto a lungo sull'argomento; era animato da talmente tanta preoccupazione per la figlia, che probabilmente, non si era fermato a riflettere.

"Quale ragione potrebbe esserci dietro tutto ciò? Chi potrebbe essere interessato a far sparire le tracce di bambini innocenti?". Mi guardò con i suoi penetranti occhi scuri poi si alzò facendosi più vicino a me.

Arretrai istintivamente affondando nello schienale della poltrona. Mi sentivo inquieto.

"Ecco quello che mi fa impazzire Antonello, non capisci?" esordì gesticolando con le mani.

"Che cosa dovrei capire, Riccardo!" Ancora una pausa.

"Giulia, la mia piccolina, frequenta un ragazzo dal passato oscuro, un ragazzo della cui famiglia di origine non si sa nulla." Sì, potevo capire la sua preoccupazione, ma qui si sfiorava l'ossessione.

"Ha così tanta importanza? Se Giulia è felice... " Lo sguardo di Riccardo si fece scuro.

"Antonello, tu non hai figli, non puoi capire. E se li avessero fatti scomparire perché sono figli di qualche pentito della Mafia?"

"Sì, magari c'è di mezzo l'INTERPOL!"

Risi, tentando di sdrammatizzare, ma con la mente cercavo di rimettere insieme tutti i tasselli... qualcosa sfuggiva ancora al mio controllo.

"Ascolta amico mio, io non sono pazzo, forse sono iperprotettivo, ma non pazzo! Ho delle strane sensazioni; se il passato di questo ragazzo tornasse nella sua vita mettendolo in pericolo... mettendo in pericolo mia figlia?".

Aveva alzato la voce, facendomi trasalire.

"Stiamo parlando per via ipotetica! Il ragazzo di tua figlia potrebbe non essere lo stesso ragazzo della mia storia, non dimenticartelo.".

"Mi hai parlato di gemelli, non può essere un caso..."

"E se quello che scoprissi non ti piacesse, cosa faresti Riccardo, impediresti a tua figlia di frequentarlo? Se ricordo bene Giulia è maggiorenne." Lo guardai, si sedette nuovamente, le spalle abbassate come se fossero gravate da un peso insostenibile, gli occhi sfuggenti, pensierosi, tristi.

"Da quando Carla mi ha lasciato, vivo nel terrore che qualcuno faccia del male a Giulia. Non so cosa farei se anche lei mi abbandonasse.".

"Ascoltami Riccardo, forse non so cosa vuol dire avere dei figli, ma sono sicuro che se mai tenterai di allontanare Giulia dal ragazzo che ama, allora sì che rischierai di perderla per sempre. Non lo fare, non ti mettere tra loro. Se hai bisogno di sapere, ti aiuterò, ma ti prego, non fare cose di cui potresti pentirti."

"Voglio solo proteggerla, Antonello! Tu non sai quanto sia stata male per colpa di Giorgio Leardi!".

"Cosa vuol dire che è stata male?" Sentivo i sensi tesi come una corda di violino, la piccola Giulia, la mia figlioccia, così tenera e buffa.

Cosa poteva averle fatto quel ragazzo?

"L'ha abbandonata per mesi e Giulia era come impazzita di dolore, ha rischiato grosso e io ho rischiato di perderla."

Sentivo l'ansia e la preoccupazione montare nella sua voce. Sentivo il mio cuore battere più forte. Proprio come lei...

"E poi?"

"Poi è tornato da lei, ha chiesto perdono a tutti, se non fosse stato per Carla, probabilmente ora non sarebbe più un problema!"

"Carla... "

"Sì, l'ho chiamata, non riuscivo a gestire la situazione; lei ha deciso che Giorgio è perfetto per nostra figlia, che sono una coppia destinata a durare. Io non mi fido del giudizio della mia ex moglie e soprattutto, non mi fido di lui."

Abbassò lo sguardo.

"Io voglio solo proteggerla, assicurarmi che sia al sicuro. Ti prego, Antonello, aiutami!"

Era davvero il caso di riaccendere un faro sulla vita di persone che, con ogni probabilità, ora vivevano finalmente serene? Era giusto scoprire le carte, mostrare il mostro che si nasconde dietro una facciata fatta d'ipocrisia?

La mia mente tornò indietro nel tempo e per un solo istante, rivissi il preciso istante che aveva cambiato tutto.

"Sono incinta, aiutami Antonello!" la voce terrorizzata di Elisabetta tornò a riecheggiare nella mia mente... era incredibile come nonostante fossero passati quasi ventidue anni da allora, ne ricordassi ogni sfumatura. Come se il suo spirito vivesse ancora dentro di me. Se mi concentravo, potevo ancora percepire il calore del suo corpo, il profumo delicato della sua pelle, la morbidezza delle sue labbra; come se Elisabetta, l'unica donna che avessi davvero amato, fosse ancora accanto a me. Mi passai una mano tra i capelli, stavo sognando ad occhi aperti, la immaginavo viva al mio fianco; io le avrei dato tutto il mio amore, ma lei aveva fatto la sua scelta, era morta. In una notte di tempesta, si era tolta la vita.

10 anni prima

Il corpo senza vita di una giovane donna dell'alta società milanese è stato ritrovato riverso in una vasca da bagno. Si tratta probabilmente di suicidio. Unico testimone il figlio minorenne.

Questa era la notizia che aveva battuto l'ANSA.

Una giovane donna ricca, un figlio minore, poteva essere chiunque, il lancio d'agenzia non faceva nomi; ma io sapevo, conoscevo perfettamente il nome della vittima. Lo sentivo in fondo al cuore che, per un istante, aveva smesso di battere. Arrivai per primo a casa della famiglia Maseri, ero stato lì soltanto un'altra volta, quattordici anni prima. Il cuore mi batteva all'impazzata, sapevo già cosa avrei trovato, ma non ero preparato a un simile orrore. Non lo si è mai.

Il corpo di Elisabetta, livido e gonfio, giaceva riverso in una pozza di sangue. Il volto era quasi sereno, con un sorriso appena accennato sulle labbra. Accanto a lei un altro corpo, un altro volto, quello di un bambino: gli occhi, dello stesso verde di quelli di lei, sbarrati dall'orrore; la bocca tremante e muta; lo sguardo adulto e triste.

Il volto di suo figlio, il volto di Giorgio Maseri.

Fabrizio de Andrè _ La canzone di Marinella

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Scusate l'immenso ritardo con il quale pubblico questo capitolo, è stato difficile scriverlo tra mille impegni fuori da questa piattaforma e con il nuovo racconto che preme per uscire.

Comunque ce l'ho quasi fatta, ogni tassello sta lentamente andando al proprio posto. A presto per il prossimo capitolo.

Barbara

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